lunedì 29 febbraio 2016

#RareDiseaseDay

Oggi è il #RareDiseaseDay, la giornata internazionale delle malattie rare, giunta alla nona edizione. Le "giornate mondiali" ormai non si contano, ma a me piacciono, specie quando si tratta di parlare di argomenti come questo.

Approfitto di questa giornata allora per raccontarvi di una cosiddetta malattia rara che poi in verità è una sindrome. Si chiama Sindrome di Williams e colpisce una persona su 20.000 nascite. Una vera rarità. Le malattie portano con sé afflizione e accettazione, e questo vale per qualsiasi disease, come si dice in inglese. 

Per quanto riguarda la Sindrome di Williams, però, come accade in alcune malattie genetiche su cui la ricerca si sta ancora interrogando, esiste anche un risvolto della medaglia, un portato di caratteristiche uniche e particolari che regalano alle famiglie con ragazzi colpiti in questo modo anche molte emozioni positive. 

Ho conosciuto alcune persone con questa sindrome e posso dire di aver scoperto un mondo. Come prevedibile, un mondo di dolore in alcuni casi, ma anche di possibilità e di fiducia. 

I ragazzi con la Sindrome di Williams sono costretti a sopportare molti effetti collaterali, oltre che in taluni casi, specie nel passato, di una difficoltà nella diagnosi, che spesso arrivava tardi. Oggi di passi se ne sono fatti molti e speriamo che questa giornata, o altre iniziative come il cicloraduno del 2 aprile, possano aiutare!

Cos'è il cicloraduno? Si tratta di un'iniziativa promossa dalla AISW - Associazione Italiana Sindrome di Williams. 

L'associazione è nata nel 2003 e riunisce parecchie famiglie, operatori e ragazzi. Il 2 di aprile a Torino ci sarà una pedalata che seguirà un percorso piuttosto intenso e divertente. Per un totale di circa 55 km. Lo scopo è benefico: una raccolta fondi per l'associazione, e ci sarà anche un premio per la società con il maggior numero di iscritti. 

Insomma: se qualche sabaudo ciclomunito ha voglia di pedalare per una buona ragione, può informarsi meglio chiamando questo numero: 338 461307

La rarità di questo tipo di malattie talvolta le rende misconosciute e i ragazzi che ho conosciuto io hanno le spalle non larghe, larghissime.

Sono abituali, loro e le loro famiglie, a cavarsela da soli, e molto bene: tendenzialmente i ragazzi con la Sindrome di Williams, proprio per natura della sindrome, hanno un carattere aperto e gioviale, sono spesso abili musicisti e hanno una caratteristica che li accomuna tutti: l'iride dei loro occhi è stellato. Ovvero, attorno alla pupilla, hanno la forma gialla di una stella. 

A voler cedere a un po' di poesia, li hanno staccati dal cielo. 

Ciò detto, proprio perché sono così abituati a faticare per conto proprio, penso sia giusto fare qualcosa per diffondere invece il più possibile questa sindrome, affinché la qualità della vita possa migliorare. Dicono che nel particolare ci sia l'universale, e a me piace credere che sia davvero così.





domenica 28 febbraio 2016

My cup of caffè!

Garth Risk Hallberg, Città in fiamme, Mondadori

Inauguro oggi, alle soglie del 29 di febbraio, una nuova rubrica. Pian piano ve le sto presentando tutte, svelandovi in corso d'opera pezzetti di novità. Quelle che vi ho già presentato sono: Chicchi di caffè e Tazzina di sakè, oltre all'intramontabile Taccuino di caffè.

Ma perché? Perchè? Direte - giustamente - voi. Perché mi piacciono le rubriche e conto così di incanalarci dentro tante letture e tante storie che vi voglio raccontare in maniera più cadenzata che in passato.

In My cup of caffè! confluiranno romanzi anglo-americani!

La letteratura anglo-americana è il mio primo amore letterario ed è la mia materia di laurea. Mi sono laureata con Barbara Lanati con una tesi su Martin Amis e la scrittura autobiografica e i memoir: i ricordi degli anni di studio con lei sono indelebili. Nel tempo le mie letture si sono diversificate ma quel patrimonio e quella curiosità resistono, così perdiodicamente vi dirò cosa mi ha colpita e mi colpisce di quel mondo narrativo.

Ed eccoci finalmente qui. A quello che Michiko Kakutani, rispettata giapponese critica letteraria del New York Times definisce "Un romanzo dall'ambizione travolgente che lascia con il cuore in gola" - oltre ad affermare "Hallberg ha solo 36 anni, eppure riesce a catturare l'aura pericolosa e magnetica della New York degli anni '70". Beh, solo 36 è una bella affermazione. 

Questo è dunque il primo Grande Romanzo Americano che leggo scritto da un mio coetaneo (quasi). 

Come dice il nome, l'autore si è preso un bel rischio. Esordisce con un mattone di quasi mille pagine, ricche di inserti grafici gustosi che rendono l'eserienza anche un gioco, oltre a un'immersione in una New York che arde di atmosfere dolenti, punk ed esplosive. Per la trama e approfondimenti vi rimando a questo lungo articolo apparso su la Lettura. 

Quando a me, ecco le mie considerazioni. A me, questo romanzo, ha dato:
1) Consolazione. C'è vita dopo DFW, dopo Franzen, dopo Amis, dopo Auster, dopo Eggers, dopo Zadie Smith, dopo Safran Foer, dopo la Egan etc. etc. Ero rimasta a loro, e a pochi altri (tralasciando i padri naturalmente) e avevo perso la speranza di ritornare in Nord America e a New York con occhi nuovi e con occhi diversi. Invece gli occhi, e le tastiere, si rinnovano come la coda della lucertola. 

2) Tempo. La possibilità, tranquilla e serena, di esplorare un'epoca storica (fine anni Settanta, con incursioni nell'immediato passato) e una città, prendendosi mille pagine e proponendosi coraggiosament,e al lettore mi ha fatto pensare che per la buona letteratura cìè sempre tempo. Sarà un'illusione, ma ci voglio credere.

3) Il gusto della trama perfettamente costruita. Dal pezzetto qua sotto non si capisce nulla ma quello che posso dirvi è che su quella panchina si è appena seduto un personaggio su cui si sviluppa una trama parallela a quello di cui si parla, e così via di incastri molto difficili da seguire ma che stanno in piedi come una ragnatela al centro della quale c'è un Capodanno e un fuoco che divampa a dispetto della neve e il cui disegno finale è la Città, una città in fiamme. Dentro questa acquisizione che devo al libro, ci metto la lentezza del piacere di affezionarsi all'interiorità e alle azioni e alle paure e desideri e idiozie e amori e svolte e fragilità di molti personaggi. In definitiva questo è un romanzo colto, corale, psicologico, a tinte noir e contemporaneo, qualsiasi cosa ciò significhi.

Quando uscì fuori all'aria notturna l'effetto delle sostanze cominciava già a svanire, e la sua vergogna si raffreddò in una specie di malinconia. Eccolo qui, scacciato dall'Eden, di nuovo sulla strada, dove un lampione era di nuovo un lampione, un'auto parcheggiata. Le guglie di Midtown erano perdute nella neve, e anche il balcone da dove (seppur brevemente) aveva posseduto la vita scintillante a cui aspirava sembrava fosco e incerto come la memoria di un sogno. Per un attimo l'unica prova che si trovasse in una città funzionante e non tra le macerie del futuro fu la panchina sull'altro lato della via dove una chiazzaverde di forma umana in mezzo alla neve testimoniava di un'occupazione recente. Senz'altro qualcuno che aspettava l'autobus. 
Poi, per miracolo ne apparve uno che discendeva Central Park West, proprio al limite della visibilità concessa all'ormai debole nevicata, nel barbaglio di due fanali sormontati da una striscia di luce. 

 Ringrazio l'editore per avermi spedito in lettura il romanzo. 

mercoledì 24 febbraio 2016

Taccuino di caffè

Grafica nuova ma foto vintage!

Torna la rubrica di questo blog legata alle notizie letterarie dal web (ma anche fuori)! Un tempo la compilavo al mercoledì come data fissa, proverei a riprendere questa sana abitudine. Vediamo cosa succede! Senz'altro è la nuova grafica che mi mette allegria e fa tornare le energie. Dev'essere come quando ci si compra una macchina nuova e non si vede l'ora di viaggiare, di metterla in moto!

Ed ecco allora le tre notizie che ho trovato interessanti dal mio parziale punto di vista questa settimana:
 
Tutta la città (in fiamme) ne parla.  Siccome non ho la voce da tre giorni, posso finalmente concentrarmi e così ho cominciato questo romanzo. Ringrazio la casa editrice Mondadori per avermelo inviato in lettura. Sono sempre, anche io come molti cultori della materia, in attesa del Grande Romanzo Americano e sembra essere arrivato quello scritto da un mio coetaneo (quasi), come lettrice è una bella cosa. Sono molto curiosa e dai primi cinque/sei capitoli sembrerebbe un bel romanzo, nuovo e antico insieme, vediamo come procede. 

Complimenti a 20lines! 20lines è una delle più grandi community per "scrittori, lettori e sognatori". Da questo mese HarperCollins Italia ha acquisito la piattaforma, consacrando il progetto come uno tra i più seguiti del mondo. Se mi perdonate l'autoreferenzialità, vi dico che su 20lines ci sono anche alcuni miei scritti e che qualche anno fa ho pertecipato insieme a loro a un convegno su letteratura e web, eravamo vicini di banco e spero di aver portato anche io un po' di fortuna!

Libri e salute mentale. Sono fermanente convinta che alcuni libri possano essere molto utili alla salute mentale dei lettori. Sia in quanto esperienze per "esorcizzare" le proprie paure, ansie etc. sia come veri e propri strumenti di apprendimento su come funzionano i nostri comportamenti e stati d'animo. Di questo si parla in un articolo uscito oggi sul Guardian in cui si mostra come i libri possano addirittura essere terapeutici e si racconta di una interessante seduta di biblioterapia. In inglese ma di facile comprensione. Read more...


Agli albori di questa rubrica consigliavo una canzone, ed ecco quella di oggi! La Cura. Buona lettura e metà settimana.  


lunedì 22 febbraio 2016

Nuova veste per Tazzina di caffè!






Buongiorno, buongiorno! Ieri la festa per gli otto anni di questo blog è stata bella davvero. Grazie per l'ospitalità alla Luna's Torta.
Mi sono così emozionata che oggi sono completamente senza voce.

In questi casi si pensa sempre a un segno del destino: meglio parlare poco per qualche giorno (o coprirsi di più quando si esce ;). E ascoltare di più, e soprattutto, è proprio il caso di dirlo, lasciar parlare le immagini!

Infatti proprio questa mattina sono felice di presentarvi la nuova veste di Tazzina di caffè. Sono davvero molto contenta di aver affidato l'identità grafica di questo blog a un bravo artista che si chiama Gerald Bala, ecco qui i suoi lavori. 

Mi ha colpita il gusto letterario delle opere di Gerald e ho pensato che avesse la sensibilità giusta per aiutarmi in questo cambiamento. Non è sempre facile prendere un'iniziativa in questi tempi, ma vi posso dire che secondo me è stata la scelta giusta. 

Tra la festa di ieri e questa bella novità, mi sembra che questo spazio cominci a respirare un'aria nuova e fresca, ne sono proprio contenta.

Spero che piacerà anche a voi! E grazie per avermi seguita fino a qui.




mercoledì 17 febbraio 2016

Grazie!


Oggi sono così! Sotto la tazzina, si nasconde un sorriso e un grazie.



Avevo promesso su Facebook (pensa te, ora le cose importanti si dicono sull'Internet!) un luuuuungo post di "celebrazione" per gli otto anni di questo blog. 

Il comple-blog esatto sarebbe stato il 13 febbraio ma la vita quotidiana mi ha assorbita, e solo adesso trovo qualche minuto per concentrarmi su questo grande GRAZIE che voglio dire a tutti i lettori di Tazzina-di-caffè.

Dunque dunque.

Questo blog è nato nel 2008 quando avevo 28 anni e la mia vita stava cambiando in modi inaspettati e mi toccavano alcune sfide complesse da affrontare. 

Se avete del tempo libero e avete voglia di sfogliare l'archivio, ritrovate alcune tappe della mia strada fino a qui, parziali e frammentate eppure costanti - ma non è questo ciò di cui desidero parlare in questo post.

Ci tengo a dirvi piuttosto che tramite questo blog ho imparato molte cose, ho cercato la mia voce e il mio spazio nel mondo. Uno spazio che è nato come un angolino e che, come fanno gli uccelli con il nido, sto cercando di curare e ampliare e rendere ospitale per me e per gli altri.

Ho cominciato a raccontare la mia vita (per lo meno alcuni pezzi) e le mie letture (non tutte ma parecchie) poco alla volta e all'inizio la sensazione era di mistero: chissà chi leggerà, chissà se qualcuno si interesserà alle mie parole.

Passo dopo passo ho scoperto che dall'altra parte c'erano delle persone che si sono affezionate a me, a questo blog. Persone che aspettavano anche quelle che non ho mai osato definire recensioni e che sovente decidevano che libri comprare dopo i miei consigli.

Mi hanno "scoperta" anche le case editrici, che hanno iniziato a incuriosirsi, coinvolgermi, talvolta anche a propormi pubblicazioni e lavori. 

Per me è stato bello, ho provato momenti di felicità veri e forti. 

A questa euforia, due anni fa, è seguita una crisi. Dopo aver pubblicato il mio primo romanzo, si sono moltiplicate le proposte e moltissimi autori ed editori hanno cominciato a coinvolgermi in svariate attività. Purtroppo, a un certo punto non sono riuscita a gestire tutto quanto: le proposte spesso non prevedevano un compenso o paghe molto basse e la crisi economica (frammista ai casi della mia vita personale) stringeva sempre di più me e molti miei coetanei in un vicolo cieco. Mi pareva di girare a vuoto e quella che prima era una sorgente di energie buone sembrava trasformata in una fonte di fatiche extra. Ho creduto che fosse meglio interrompere i ritmi troppo frenetici legati a questo spazio, per dedicarmi a una concreta e strutturata ricerca di lavori utili a essere indipendente. Non è facile, lo dico chiaramente. 

Però mi è stato utile attraversare la crisi, personale e generale. Perché se quando hai le spalle al muro continui a credere in qualcosa, vuol dire che quella cosa conta più di tutto per te. La mia "cosa" era la scrittura. Così ho ricominciato ben presto a scrivere qui e altrove, a correggere bozze, a mandare cv, a girare video e a progettare libri e romanzi e racconti e post etc. e a consegnarli e a proporli agli editori. Insomma a lavorare, a restare sempre in movimento. Ora mi è chiaro che l'emozione di sapere che a qualcuno interessano le mie parole, imparata soprattutto su queste pagine, mi ha dato la fiducia che mi mancava.

E adesso eccomi qui a considerare che sono passati otto anni. 

Grazie a questo impegno che mi sono presa con me e con chi legge, e che di fatto alla fine non ho mai interrotto veramente, mi sento più forte. Diciamo che insieme a questo blog ho guadato quell'agitato fiume che traghetta la gente dalla giovinezza all'età adulta. Questo blog mi ha fatto da zattera. Certi giorni di siccità l'ho stramaledetto, certi altri di mare mosso l'ho glorificato, più spesso era lì ad aspettarmi in silenzio come un amico. Insomma gli ho voluto bene sul serio.

Quanto a tutto il resto: ovvero il web, gli ebook, i blog, i social, la letteratura, la critica, lo stato dell'arte dell'arte narrativa etc. etc. ovvero tutto ciò su cui ho lavorato, mi sono espressa e sono stata interpellata in questo tempo beh, non ho molto da aggiungere: sono robe umane. 

E come tali, ho realizzato, risentono di tutto ciò che ci connota come vulnerabili creature. 

Contano le capacità, conta il talento, contano le skill e i prop e lo storytelling e il postpostmodernismo e le pagine culturali e i sepolcri imbiancati e i ganci e le app e l'intelletto ma soprattutto, supremamente, conta il carattere.

Consiglio agli aspiranti blogger (e scrittori) come mi ritengo per certi versi ancora io (mentre per altri posso dirmi ormai una senior!): applicatevi molto sulle relazioni umane - e mi spiego meglio: sul rispetto, sulla gentilezza, sulla buona fede - perché le abilità si possono acquisire ma se non siamo forti d'animo, il nostro destino è soccombere.

E ora vi dico perché è così importante per me il caffè: perchè è un forte simbolo della scrittura.

 -------> vi impone di operare con calma, miscelando elementi delicati, materiali sottili e ricchi di vita e mistero come l'acqua e la polvere del caffè. Vi costringe a tornare sempre sullo stesso strumento - la caffettiera - che dovrete trattare con cura, senza lavarla troppo né troppo poco. Vi obbliga a occuparvene in prima persona, ogni santo giorno. Impone un'attesa, una gioia, una discrepanza tra il profumo e il bruciore, le aspettative e la realtà, può avere mille sapori ma un gusto solo, inconfondibile. Si "consuma" piano, oppure di corsa, ma sempre a sorsate per la maggior parte delle volte benefiche. E serve a rimanere svegli.

Un'ultima cosa: avevo promesso per questo ottavo compleanno un regalo. Ci sarà! 

Alla festicciola che si terrà domenica qui a Torino proporrò una sorta di tombola! (è bello essere vintage!). Il fortunato vincitore avrà un regalo. Quindi il dono privilegerà i nativi piemontesi più che i nativi digitali.

Ma, ma, ma sono in arrivo altre novità e un dono anche per i lettori stranieri (ovvero quelli fuori dal mero confine sabaudo ;)! 

Insomma in una parola, grazie. 




venerdì 12 febbraio 2016

Tazzina di sakè. Mia amata Yuriko - intervista ad Antonietta Pastore

Antonietta Pastore, Mia amata Yuriko, Einaudi
Mia amata Yuriko è un romanzo delicato e profondo come sanno esserlo solo le emozioni e le opere d'arte più autentiche della vita. Confluiscono, in questa storia vera - e verosimile solo nelle parti in cui la memoria dell'autrice ha dovuto essere completata da piccoli inserti di immaginazione - diversi elementi, tutti accurati e importanti. Il lettore, alla fine della lettura, resta legato alla bellezza elegante delle ambientazioni ma soprattutto ai personaggi e scopre anche se stesso come in uno specchio: si possono ritrovare temi decisivi come il contrasto tra il destino (qui rappresentato, fondamentalmente, dalla guerra e dalla bomba atomica che ha colpito Hiroshima il 6 agosto del 1945) e la scelta individuale. La difficile concordanza tra l'amore per un'altra persona e il rispetto per sé. La capacità di sopportare il dolore, la vergogna e la determinazione. Fino all'illuminazione finale che fa entrare la luce in tutta la storia e, senza paura di svelare troppo, si può dire che abbia a che fare con la piccola, ma ineguagliabile gioia della consapevolezza di avere fatto la cosa giusta. In tutto questo, nelle parole che compongono questo romanzo breve e perfettamente composto, c'è il tocco della scrittrice e traduttrice Antonietta Pastore che descrive di come abbia raccolto la vicenda di Yuriko. Si capisce bene quali passaggi, quante attese e quanta delicatezza d'animo abbia richiesto la tessitura di una trama impeccabile proprio perché reale. Si sente una voce sì delicata, ma anche fortissima. Strutturata da una dote naturale e insieme, si può intuire, dal pluriennale lavoro di traduttrice dal giapponese e dalla assiduità dell'autrice con questa cultura – sappiamo infatti che ha abitato in Giappone per sedici anni sia per amore sia per lavoro.

Personalmente, dal momento che Murakami Haruki è uno degli autori che più hanno influenzato la mia esperienza di lettrice e la mia vita, non posso non notare una analogia di sentire tra l'autrice e traduttrice dei suoi lavori e Murakami stesso, come immagino degli altri autori da lei tradotti. A un certo punto, nel corso della lettura, ricordo proprio di aver pensato: il mistero di Yuriko assomiglia al mistero chiuso in certi personaggi del mio autore giapponese preferito! Ma nel romanzo di Antonietta Pastore ci ho letto un pezzetto di qualcosa in più: Yuriko è reale, è una donna come tante, come me. Una donna da cui imparare come si decidono le grandi cose della propria esistenza, e anche quelle minime. Infine, ho capito leggendo che è possibile che un no o un sì detti al momento opportuno ripaghino di un'unica, ma vitale cosa: la dignità che ci rende umani.

C'è da aggiungere che di per sé la lettura di questo libro è un privilegio, come lo è la meticolosità intellettuale ed emotiva che fa sì che arrivino, confezionate con purezza estetica, racconti belli e utili come questo. Ci aggiungo però un mio personale privilegio, che voglio condividere con i lettori affezionati di questo blog: la possibilità di rivolgere a un'autrice che leggo e seguo da tempo nel suo lavoro, alcune domande.

Mia amata Yuriko è un romanzo che tocca diversi temi, ma quello che, al termine della lettura, pare più evidente è il valore della scelta. Un nodo che si scioglie solo alla fine di tutto il racconto, quasi a svelare un mistero, che è quello della personalità e della vita stessa di Yuriko, una donna che appare subito forte ma anche, inizialmente e al tempo stesso un po' “strana”. Può raccontarci come lei, Antonietta Pastore, abbia invece scelto di trasmettere ai lettori questa storia? Dal capitolo finale del libro, sappiamo infatti che tutto è nato dopo i tragici eventi di Fukushima del 2011. 

Le scelte, a volte, si impongono, diventano una necessità. Per fortuna non tutte sono drammatiche come quella che deve fare la protagonista del libro, Yuriko, davanti a un dilemma da cui dipende la sua dignità di donna e di persona. Nel mio caso, la decisione di raccontare la sua storia è nata sì da un’urgenza reale, però il mio ruolo è solo quello della testimone. Negli anni in cui vivevo in Giappone, la mia esistenza per un breve momento ha incrociato quella di Yuriko, e quest’incontro ha lasciato in me una traccia, come un punto in sospeso in fondo alla mia coscienza. A lungo ho pensato che la sua vicenda meritasse di essere narrata, ma al tempo stesso mi dicevo che non era il caso di riesumare eventi molto lontani, molto tristi, sui quali era forse preferibile lasciar calare il silenzio.
Nel marzo del 2011 però, quando ho visto che la tragedia di Fukushima provocava danni − che non giudico collaterali −, analoghi a quelli che già si erano constatati dopo Hiroshima e Nagasaki, ho sentito che era venuto il momento di parlare di Yuriko. Perché a distanza di decenni altre persone, altre donne, erano vittime di ingiustizie simili a quella subita da lei. Avendola conosciuta, mi sentivo in qualche modo autorizzata, anzi, quasi tenuta, a raccontare la sua storia, come se fossi stata scelta a testimone, appunto, di una realtà sconcertante, mai divulgata. 

Per la stessa natura delle esplosioni di Hiroshima, quello della bomba atomica che ha colpito gli abitanti di quelle zone del Giappone pare essere un tema a lunga percorrenza. La storia di Yuriko ci parla di tempi lentissimi, di attese apparentemente senza fine e di indeterminatezza. Si può immaginare che il suo lavoro abbia richiesto molto rispetto e capacità di far sedimentare il materiale narrativo di cui disponeva per dargli ancora più valore: è così? E quanto è determinante l'attesa, nella vita come nella scrittura? 

Come ho appena detto, ero a conoscenza della storia di Yuriko da molti anni, la prima parte mi è stata rivelata nell’82. Era una vicenda di un valore e di una gravità tali che, anche dopo aver iniziato a scrivere sul Giappone, dubitavo di avere il diritto di raccontarla. Prima del marzo 2011, è stato soprattutto questo dubbio a trattenermi dall’imbastire anche solo un progetto di narrazione. Rischiavo di inoltrarmi in un terreno che aveva una sua sacralità, di oltrepassare una soglia che nemmeno il ruolo di testimone mi autorizzava a profanare. Non ero abbastanza motivata per infrangere un tabù: toccare l’argomento Hiroshima.
A parte questa considerazione, sono contenta di aver lasciato che il silenzio calasse per tanto tempo sulla storia di Yuriko, di averla relegata in un angolo della mia memoria − senza però dimenticarla. Perché col passare degli anni e con l’accumularsi delle esperienze ho acquisito, come la maggior parte delle persone della mia età, “la cognizione del dolore”, senza la quale non è possibile raccontare la sofferenza altrui. La consapevolezza della drammaticità intrinseca alla vita mi ha aiutata a illuminare una storia “sedimentata” in una zona oscura della mia mente, dove rischiava di sprofondare al di là della soglia dell’inconscio. Non dico che debba essere così per chiunque, ci sono persone − e scrittori − che questa consapevolezza, bene o male che sia, la raggiungono relativamente presto.

Nel romanzo appare anche la contraddizione tra il silenzio e la parola. Come se l'uno non potesse fare a meno dell'altra, proprio come i due innamorati protagonisti della storia. I noti silenzi che contraddistinguono il carattere dei giapponesi, qui si mostrano come antesignani però di una parola finale che si fa necessaria. Il silenzio sembra proprio il territorio in cui la parola, come un seme, impara a germogliare. Nel caso del romanzo, attraverso una lunga lettera che rivela il senso stesso dei fatti accaduti. Si può dire che anche la letteratura abbia questo ruolo? Come uno svelarsi di contenuti che maturano solo nel silenzio?

Sì, certo. Basta pensare a Jorge Semprún, che per lungo tempo non ha voluto raccontare, anzi ha cercato di dimenticare, il periodo trascorso a Buchenwald. Per lui era la condizione per poter continuare a vivere, come spiega nel libro La scrittura o la vita. Sentimenti analoghi credo che abbiano indotto molte vittime di Hiroshima e Nagasaki a non parlare della propria esperienza, se non in tempi recenti. Ma naturalmente non si può generalizzare: ci sono autori − quelli appartenenti alla cosiddetta “letteratura della bomba atomica”, il cui massimo rappresentante è Hara Tamiki − che già pochi mesi dopo l’agosto del ’45 hanno scelto di scrivere delle esplosioni nucleari e delle conseguenze che hanno avuto sulla loro vita.
Nel caso di Yuriko, tuttavia, il silenzio mantenuto fino all’ultimo era forse strumentale al suo bisogno di proteggere l’amore che ha continuato a nutrire per il marito. E non è stata lei a romperlo alla fine.

Domanda inevitabile: quanto il suo lavoro di traduttrice ha influenzato il suo stile di scrittura? Consiglierebbe a un aspirante scrittore di imparare anche a tradurre da un'altra lingua?

Dopo l’uscita di Mia amata Yuriko, più volte mi sono sentita dire che la mia scrittura è “molto giapponese”. Non capisco bene cosa significhi, dato che ho tradotto autori molto diversi fra loro − Natsume Soseki e Murakami Haruki sono stilisticamente agli antipodi. Forse quest’osservazione si riferisce alle atmosfere che troviamo nei romanzi dei narratori classici moderni − quali Soseki, appunto, o Tanizaki −, atmosfere che il mio romanzo, considerata l’epoca in cui si svolge gran parte della vicenda, probabilmente evoca. Posso dire però che non sono esente dall’influenza di Murakami, perché uno dei temi a lui più cari − il senso di perdita e il rimpianto per quello che non si potrà mai più ritrovare − è sempre stato nelle mie corde, e forse per questo motivo la storia di Yuriko mi ha così profondamente commossa quando ne sono venuta a conoscenza.
Riguardo al consiglio di provare a tradurre qualcosa prima di mettersi a scrivere, no, non lo ritengo molto utile. Tradurre, da qualsiasi lingua, non è una cosa facile, è già un mestiere in sé e rischia di assorbire tutte le energie. Inoltre, è ovvio che la traduzione è un’ottima scuola di scrittura, ma sono due cose diverse, avere talento per la prima non implica necessariamente che si riesca a fare bene la seconda. Ci sono scrittori eccellenti che non hanno mai tradotto una riga in vita loro, così come ci sono traduttori bravissimi che non sanno dar vita a una storia, a dei personaggi, veri o immaginati che siano. E poi ci sono gli scrittori di professione che traducono − come Murakami Haruki − e i traduttori di professione che scrivono, come me. Un’attività non esclude l’altra, possono alternarsi a ritmi che variano da persona a persona. 

Quello di Yuriko pare un destino che la connota soprattutto in quanto donna. Quasi come se i diritti umani, quando si tratta di persone di sesso femminile, assumano una valenza più sfumata. Attraverso una storia d'amore, il romanzo ci spiega anche questo: come le donne, a Hiroshima ma anche altrove nel mondo, abbiano subìto un carico di dolore morale diverso rispetto a quello degli uomini e in questo risiede anche la forza del personaggio. Pensa che racconterà ancora di donne, come ha già fatto in precedenza nei suoi lavori?

È vero che in tutte le crisi sono le donne a pagare il prezzo più alto, sia nello spirito che nel corpo, ma questa discriminazione non avviene impunemente per nessuno, anche se non sempre se ne percepisce subito la portata. L’infelicità di una donna, soprattutto quando è causata da un sopruso, da un’ingiustizia, si irradia sull’ambiente che la circonda e ne riduce le potenzialità, lo spegne. Così alla fine qualche danno ne deriva a tutti, anche se spesso la gente − in primo luogo gli uomini, ma non soltanto loro − non se ne rende conto e continua a infliggere alle donne lo stesso trattamento iniquo. È quello che succede a Yuriko, vittima soprattutto delle convenzioni sociali.
Quanto a raccontare ancora di donne, vorrei farlo. Non riesco a immaginare di narrare una storia il cui protagonista sia un uomo, forse perché ho tendenza a scrivere in prima persona.
 

mercoledì 3 febbraio 2016

Chicchi di caffè: i percorsi tematici di Tazzina!




In questo periodo mi stanno molto a cuore gli animali. E dire che non ci ho a che fare da molto tempo: nove anni fa mi lasciò il compianto Cinzio (nome vero: Saltello. Nome scelto da lui stesso: mai saputo. Cit. T.S. Eliot e la sua poesia sui nomi dei gatti), un gatto meticcio con cui vivevo dal 1984, quando avevo 4 anni, e da allora nessuno lo ha più sostituito nella mia vita e nel mio cuore. Per una strana ragione però ultimamente mi ritrovo spesso in diversi parchi della mia città ad avere a che fare in modo diretto con le bestiole, specie i cani ma anche scoiattoli, piccioni e gabbiani e gatti randagi.

Come raccontavo nel penultimo post, scrivo anche racconti con protagonisti gli animali da ormai più di un anno, spero che vi incuriosiscano: il blog si chiama, in consonanza con la "tazzina di caffè": Acqua Naturale e l'ho aperto in un momento in cui avevo letteralemente sete di vita e di cambiamenti. Ci tengo tanto a quel blog!

(Una piccola parentesi per chi mi scrive in privato ultimamente su Facebook: non ho mai spesso di scrivere su questo blog, semplicemente due anni fa sono andata un po' in crisi perché le attività, che ho sempre svolto per passione e gratuitamente, tranne le volte in cui ho dichiarato piccole collaborazioni lavorative, legate al blog e alla promozione dei romanzi che mi proponevano in gran quantità ogni giorno editori e autori non mi permetteva di dedicarmi al lavoro (con la partita iva) e alla mia vita quotidiana, così avevo deciso di "chiudere" tazzina per come la gestivo prima e tornare a ritmi più tranquilli di scrittura. C'è da dire che negli ultimi due anni non ho mai smesso di scrivere sia per questo blog sia per altri sia per conto mio, anzi non ho mai scritto così tanto come negli ultimi due anni e spero di darvi presto notizie!).

Insomma insomma dicevamo che gli animali sono importanti. E i libri, che per me sono il punto di contatto con quasi tutto ciò che mi interessa e che mi aiuta nella vita, mi rimandano proprio lì: nel regno animale. Non posso enumerare tutte le storie con protagonisti animali attualmente in commercio: starei qui dodici anni a fare l'elenco e la mia vita si trasformerebbe in uno spettacolo di stand-up comedy ambulante: immaginate una signorina di Torino, attaccata a un pc, che scvive per dodici anni un interminabile elenco di libri con protagonisti animali! Surreale.

Ma ultimamente mi sono concentrata su tre, che sono i miei consigli di lettura per questa nuova rubrica: Chicci di caffè - i percorsi tematici di Tazzina! 


Considerate il genio puro che si esercita a raccontare la Natura perché ritiene che questo sia il suo compito su questa terra. Assaporate i titoli di questi racconti: Romanzi dettati dai grilli, Naso contro naso, una storia d'amore al buio, Il gabbiano di Chivasso (senza dubbio il mio preferito!) e altri. E avrete questa raccolta che Einaudi ha appena ripubblicato e che mi sono comprata ieri con somma gioia. 


Ho votato questo libro quando sono stata giurata al Premio Sinbad, il primo Premio Internazionale per gli Editori Indipendenti. L'autore è uno scrittore entomologo che vive con la famiglia su un'isola incontaminata a quindici kilometri a largo di Stoccolma e studia le mosche. Questo libro è il frutto dei suoi viaggi ed esperienze ma è anche una storia che assomiglia a un flusso di coscienza fino a una conclusione esistenziale importante e che a me è piaciuta molto. Quale? Scopritela leggendo! Ho ricevuto questo libro in uno scatolone pieno dei libri partecipanti al premio e che tutt'ora troneggia nel centro della mia mansardina, occupandone in definitiva ogni centimetro quadrato rimasto libero.  
 
3) Le api di Meelis Friedenthal.

Ho ricevuto questo libro dalla casa editrice Iperborea, che ringrazio di cuore. Questo è davvero un gioiello letterario, un'opera che vi porta a fine Seicento in compagnia di un mago dal lungo mantello in compagnia di un baule e un pappagallo. Cosa c'entrano le api e gli alveari? Scopritelo leggendo! 


Ecco qui. Spero che questi percorsi tematici vi incuriosiscano, conto di prepararne altri.