domenica 23 aprile 2017

Tempo di Libri a Milano (imho).

Qualche pensiero su Tempo di Libri, in forma di pro e contro. 



In rete ho trovato questa citazione sul cambiamento, attribuita a Marcel Proust: "Gli uomini non cambiano dall'oggi al domani, e cercano in ogni nuovo regime la continuazione dell'antico". Chissà se è vera, giacché, ormai è noto, tra post verità e fake news, la credibilità delle parole online è uno dei punti interrogativi e dei crucci massimi della contemporaneità internettiana.



Fatta questa premessa, ci tengo a scrivere qualche parola anche io visto che avevo seguito con interesse le vicende del Salone del Libro, tra scandali finanziari e trasformazioni, critiche e virtù. 


Al Salone di Torino ci sono stata tutti gli anni (trenta!) e ci ho anche lavorato dentro in diverse occasioni, ci ho presentato il mio primo romanzo, ho parlato in pubblico del mio blog, ho fotografato tantissimi stand con la mia tazzina azzurra per farmi conoscere, ho condotto eventi e trasmissioni radiofoniche, ho partecipato a tavole rotonde, convegni, incontri vari, interviste eventuali: ci sono, in una parola, cresciuta. 

E ho scritto talmente tante cose - su questo blog - che non saprei nemmeno cosa linkarvi. 

Vi consiglio, se volete recuperare qualche cosa, cercare il tag "salone del libro" o #SalTo (hashtag di cui sono stata, tra l'altro, anche creatrice tempo orsono insieme ad altri amici su twitter). 

Un'ultima curiosità strappalacrime, pensate che addirittura il mio primo articolo, sul giornalino della scuola al liceo, parlava proprio del Salone. Insomma, è un tema che mi è caro e mi coinvolge da sempre. Immagino come molti di voi lì all'ascolto. 

E dunque, mi è sembrato opportuno fare un (#)salto a #TdL17 e ora rendervene conto.

Una prima considerazione è che non credo sia saggio supporre di avere risposte facili in tasca oppure porsi d'ufficio in una posizione di rivalità, ripicca o campanilismo sabaudo (nel mio caso, come torinese). 

Questi sentimenti, di cui pochi possono dirsi liberi, non fanno bene, anzi ottundono e si fatica poi a stare al mondo sereni. Per questo mi sono impegnata a osservare Tempo di Libri con occhi nuovi, prendendo per mano la "me" bimba che entrava per la prima volta al Salone torinese e accompagnarla in una nuova esperienza da scoprire. 

E queste sono le piccole cose che ho notato durante la scampagnata milanese. Scampagnata durata molto poco perché lo scopo della gita era poi di assistere a un poetry slam nella sede di Radio Popolare, ma questa è un'altra storia. 

Dunque, imho che in milanese  inglese è l'acronimo di in my humble opinion:

Pro. 

L'accredito per blogger. Una conquista pura e semplice che sono contenta si sia fatta. In cinque minuti, da casa, mi sono accreditata e in ancor meno tempo, ho ricevuto una risposta positiva. Sono entrata gratuitamente in fiera e ho potuto visitarla sentendomi riconosciuto ipso facto un ruolo, senza tanti pregiudizi fuori tempo massimo. 


Il wi fi. Funzionante e libero. Per diverse ragioni, non ultima una fisiologica mutazione che è giusto secondo me fare di se stessi, frequento sempre meno i social in modo propulsivo, compulsivo forse e attivissimo come qualche anno fa. Però sento che questa possibilità di un wi fi comodo e veloce in una fiera editoriale sia bella e utile.

Gli incontri pubblici e privati. Ho incontrato amici, lettori dei miei scritti (evento cui non mi abituo mai e mi emoziona) e persone autorevoli del settore editoriale tra cui la cara Giulia Ichino con cui è stato bello conversare per un po'. Quanto invece agli incontri organizzati dalla fiera, beh mi parevano tutti interessantissimi. Non sono riuscita a fermarmi che per qualche minuto in uno solo, ma ho fiducia nel prossimo anno.

Il cambiamento, di cui sopra. Cambiare, dopo tanti anni, è una bella idea. Creare una fiera che non c'era, anche. Il fatto che sia nata una nuova fiera è giusto. Al punto che mi sento di equiparare questo lieto evento alla nascita di un nuovo bambino: merita sempre la fatica. 

Contro. 

Troppe analogie con Torino. Mi riallaccio all'ultimo punto dei pro, perché ci troviamo su un confine frammentato. Per chi è abituato, come me, a solcare i corridoi del Lingotto, il disorientamento si è fatto sentire. Mutuare un'idea può essere bello, evolutivo. Ma applicarla, identica, con minime variazioni percettibili appena, può denotare una mancanza di fantasia.

Troppo poche persone. Il che, a me come Noemi Cuffia, non importa nulla. Anzi, sto imparando quanto intensamente sia falso l'assioma tanto pubblico = qualità. Sto imparando che in letteratura, e in editoria, come in altre cose della vita, non esistono assiomi così rigidi e che la quantità di qualsiasi cosa può fare rima con eccesso. Tuttavia, è pur vero che uno dei risultati che si pone l'organizzazione di un evento pubblico è quello, appunto, del numeroso pubblico. E ahimè c'era proprio da notare una scarsa affluenza, almeno quando sono andata io, al colpo d'occhio. 

Prossimità con le feste e, con buona pace di Monsieur Lapalisse, con il #SalTo. La sensazione è che questa fiera sia troppo vicina a Pasqua, 25 aprile e 1° maggio e soprattutto con l'imminente "competitor" di maggio se così si può dire, torinese. Il che è deleterio per le energie fisiche e finanziarie per tutti i lettori di buona volontà.

Naturalmente, tengo fuori dalle mie considerazioni tutte le questioni politiche, economiche, relazionali strategiche e commerciali relative a questa faccenda e che coinvolgono i grandi gruppi editoriali, l'editoria indipendente, i librai e tutti gli onesti operatori. Un po' mi sono espressa in passato ma a oggi, lo ammetto, non ho proprio nulla da aggiungere. Solo forse che una fiera di queste proporzioni, così come tutte le imprese umane, salvo rare eccezioni, ha bisogno di evidente rodaggio e che un'opinione più strutturata spero di poterla esprimere tra qualche anno. 

Oggi invece spero farete buone letture!





Con la mia cara amica Sara Bauducco. 

Con Sabrina Lorenzoni, che mi ha ricordato perché mi piace e ha senso scrivere qui :)

Con tre fantastici poeti: Alessandro Burbank, Marko Miladinovic e Francesco Deiana. Chiamatemi D'Artagnan! 


E questi poeti sono Davide Passoni (mc del poetry slam) con i finalisti Filippo Balestra e Francesco Deiana (che ha vinto gloriosamente lo slam). Al Leggiamo Cooperativo Poetry Slam, evento Fuori Tempo di Libri nella sede di Radio Popolare. 

venerdì 21 aprile 2017

Benedizione di Kent Haruf.

Kent Haruf, Benedizione, NNE


Questo libro fa parte di una trilogia che si chiama Trilogia della pianura e comprende anche i volumi Crepuscolo e Canto della pianura. Tutti pubblicati dalla casa editrice NNE

Dello statunitense Kent Haruf, mancato da pochi anni, nel 2014, della sua scrittura e della controversa storia editoriale dei suoi libri hanno scritto e detto un po' tutti ultimamente. Oddio tutti, diciamo quelli della povera nicchia della letteratura, critici, appassionati, lettori e affini. 

Per una disamina preziosa ed esaustiva, rimando allora a una delle più ricche risorse in materia che secondo me è il dossier che lo scrittore Giacomo Verri ha curato e compilato nel tempo sul suo blog, qui. 

Invece per quanto mi riguarda mi unisco al coro di chi afferma senza remore che questo (e forse anche gli altri che io non ho ancora letto di Haruf) è un libro che cambia la vita.

Quando si dice che qualcosa "cambia la vita" si entra in un territorio disordinato e polveroso. Non è che ci sia qualcosa che ti cambia la vita, perché la vita è essa stessa continuo cambiamento. Eppure, questa lettura può compiere nella vita media di un lettore medio un piccolo miracolo.

Personalmente, l'ho capito un po' dopo averlo finito di leggere. Avevo - proprio per via del grande hype che ha coinvolto questo autore (il quale ahimè, come talvolta accade, non ne potrà mai trarre giovamento) - esagerate aspettative che, lì per lì, mi parevano, capitolo dopo capitolo, disattendersi. 

Quando a qualcosa si gira così tanto intorno, si dedicano serate, discussioni, si elaborano dichiarazioni tanto enfatiche, ho imparato - coi libri come con tutto il resto - a diffidarne. Perché a questi libri si è prestata così tanta attenzione? Anche alle cose più dannose, la si presta. Quindi non è stato il passaparola a convincermi. Anzi lì per lì è stato d'intralcio. Tanto che a un certo punto, nel corso della lenta lettura, ricordo anche di aver pensato che si stesse trattando di un grosso equivoco. Ho pensato al vuoto di valori e di impegni che circola sul web e fuori e che porta tanti di noi a ingigantire tutto, ad, appunto, enfatizzare. 

Invece poi è toccato anche a me riconoscere l'eccezionale diversità di queste pagine, l'incredibile pregio di questo scritto così bello, cui ci si affeziona così tanto. 

Tutto parte dalla copertina di Carolyn Drake che a rimirarla più volte si entra nell'atmosfera. E si procede al dentro, ai personaggi, le storie, le trame. 

Dalle molte recensioni, saprete anche che la scrittura di Haruf è essenziale, autentica. Nonostante i molti paragoni che ho letto con i grandi della letteratura americana, non ci ho trovato in trasparenza altre voci. Ne ho sentita davvero una nuova, come succede così di rado da non accorgersene sul momento. Destino del controtempo!

Mi sono accorta allora di questa eccezionalità leggendo altri libri di altri autori dopo Benedizione e di colpo quasi tutti mi parevano meno belli o meno esatti o carenti di qualcosa che non sapevo identificare. Andando ancora più in profondità, ecco cosa ho realizzato. 

Con Benedizione a me è successo di ingranare la lettura dopo diversi tentativi. Nelle prime pagine si sa già che uno dei protagonisti morirà a breve e non avevo voglia di affrontare la morte. Posavo il libro, negavo il desiderio di riaprirlo o per meglio dire la necessità. 

Come a volte accade, avrei preferito restare nella mia superficialità, ma ben sapevo che non funziona così, che tocca scrollarsi dal torpore. Ed è proprio questo che ti consente e ti chiede di fare il libro: affrontare. 

Volendo traslitterare la morte con altro, si può anche dire che bisogna, se si vuole una vita vera, affrontare le proprie verità, il proprio vero e inconfondibile dolore. 

Attraverso quindi la semplice vita piena di conflitti e benedizioni di questi personaggi, si rivive la propria, qualcosa di sé, si guardano bene le proprie sofferenze e i propri piccoli sollievi fino alle gioie pure e inattese o a lungo cercate. Ed è da questo scendere nella dannazione di ciò che ci contraddistingue, che si guarisce o, per restare con Haruf, si riceve una benedizione.

Non riesco a immaginare titolo più bello né romanzo migliore per chi è in cerca di una rivelazione. Come vi hanno già detto altri prima di me: mi raccomando, leggetelo, lasciatevi trasformare e benedire. 

mercoledì 12 aprile 2017

Letture pasquali.

Pellegrino Artusi, Pranzi di magro - Jean-Luc Nancy, La custodia del senso, EDB Lampi

Ho ricevuto questi due libricini dall'editore, che ringrazio. Mi sembrano le letture perfette per Pasqua. Sono piccoli e belli, Uno è facilissimo nella scrittura (sono tutte ricette) ma difficile nella realizzazione: per cucinare come Pellegrino Artusi, ne converrete, ci vuole il tocco magico.

Pellegrino Artusi è stato un cuoco e scrittore di fine Ottocento e di lui si sa che provasse e riprovasse le sue preparazioni fino alla perfezione. Queste ricette sono tutte pensate per il tempo cristiano della Quaresima in cui è consigliato mangiare meno e guarda caso ne escono delle idee anche per una più laica dieta sana e disintossicante. Inoltre, sono deliziose nel modo in cui le ha scritte. Dal gelato di pistacchi, ai classici tortelli o la zuppa di fagiuoli (!): è bello scoprire come si può ideare un menu elegante e semplice insieme. Poi certo tra il dire e il fare...

L'altro piccolo libro che vedete è più complesso nello stile di scrittura, è un saggio sulla poesia scritto dal filosofo Jean-Luc Nancy. Ma alla fine - ed è qui che i libri si scambiano i ruoli - restituisce una sensazione di estrema semplicità. 

Cos'è la poesia? 

"Il fare compie ogni volta qualche cosa e al contempo compie se stesso. Il suo fine è la sua compiutezza: in ciò si pone infinitamente al di là della sua opera. Il poema è quella cosa fatta dal fare stesso".

Quindi, sembrerebbe, in breve, che la poesia è il fare. Così come la cucina lo è.

Non so a voi, ma a me pare che il peggio della vita è quando ci si sente immobili. Non parlo di onorevole stanchezza ma di quella che Joyce chiamerebbe paralisi. Recuperare invece, anche attraverso il significato della Pasqua, che è di rinascita, un movimento bello che è quello del fare le cose che servono a stare bene, mi sembra una buona idea. Ben vengano allora i libri che portano a questo, all'industriarsi e al costruire o custodire un po' di senso.

Buona Pasqua e letture.  

lunedì 3 aprile 2017

Tazzina di sakè.

Vikram Seth, Autostop per l'Himalaya, Longanesi

Aprile, diceva il poeta, è il più crudele dei mesi. Lo sapete voi che lavorate e anche voi che non lavorate. Mese difficile, di corse e tante cose da fare o da sperare di fare insomma per tutti c'è un bel carico di stanchezza.

A vederci però il lato positivo, è anche il mese della primavera, mite e colorata. 

Insomma, mese di allergia e di allegria al tempo stesso. Non saprei, infine, dire nemmeno bene io il perché, ma aprile per me è un mese rosso. O meglio la parola "aprile", nella mia testa, è rossa, mentre la primavera è rosa e bianca. Ma bando alle divagazioni.

Ho ricevuto in lettura questo romanzo nel 2014 da Longanesi (ciò può far intuire i miei tempi di lettura oltre che la mole di arretrati che, benché mi ripeta "niente panico", può mettere ansia). 

Però che bello, questo libro di viaggio e chi se ne importa se è "vecchio" secondo il rigido schematismo editoriale (non me ne vogliano gli amici editori, ma tant'è).

Intorno a me ci sono mucchi di escrementi secchi di yak e cespugli di fiori gialli. Nel tardo pomeriggio la grandine scende da un cielo assolato. Siamo adesso vicino a Nagqu e il panorama è di nuovo a colori rossi e verdi così accesi da sembrare innaturali. Le acque piovane ristagnano in pozzanghere rosse, i rossi canali di scolo paralleli alla strada sono pieni; la strada stessa, una striscia rossa, si stende su un tappeto verde completamente piatto. Sull'orizzonte si staglia un picco di forma elaborata ma simmetrica, coperto di neve. Dei cavalli vengono condotti verso Nagqu, forse per la fiera annuale e per le corse che vi si tengono in questo periodo dell'anno.

In breve, Vikram Seth è uno scrittore indiano (nato a Calcutta nel 1952). Vi lascio qui un'intervista su you tube in cui parla di amore, perdita e blocco dello scrittore. 

Autostop per l'Himalaya è il suo racconto di viaggio che tocca un tragitto che va dalla Cina al Nepal. 

Un viaggio che l'autore ha compiuto davvero nel 1981 prima di diventare famoso e di scrivere la gran parte dei suoi libri più letti.

Lo scrittore ama la lingua cinese e la studia all'Università di Nanchino, scoprendone i segreti. Ed è durante una gita organizzata dall'Università che gli viene la folle idea di tornare a piedi attraversando il Tibet e il Nepal. Farà l'autostop su mezzi di fortuna, dovrà spesso cambiare rotta e scoprirà diverse cose di sé e della propria esigenza di avventura. 

E dunque mi è parso il libro giusto per il periodo giusto. Non lasciamoci travolgere troppo - se possibile - dalle nostre incombenze quotidiane e vediamo un po' cosa c'è al di là del nostro naso e del nostro Paese. Mi sembra un buon suggerimento nato dalla lettura di questo libro rosso come il cuore e come questo mese di fatica e di risvegli.