venerdì 31 ottobre 2008

Dolcetto o Scherzetto?

Tre secondi fa hanno suonato al campanello della porta di casa mia. Guardo dallo spioncino e cosa vedo? Quattro ragazzini sui dieci dodici anni vestiti da streghe e fantasmini. Mi sorridono e mi chiedono: Dolcetto o Scherzetto? Tutti in coro. Mi emoziono come non mai. E rispondo: Dolcetto! Poi rimango inebetita e dico: Dove lo prendo? Mi rispondono: Ce lo deve dare lei!! Sorridendo inteneriti dalla mia ingenuità. Dico: Aspettate!!! E corro in cucina come Marion di Happy Days. Scartabello nella credenza e, a causa della dieta ipocalorica della mia mamma, non trovo neanche un cioccolatino avanzato da Pasqua. Vedo però delle noccioline. Con un entusiasmo immotivato corro alla porta che avevo lasciato aperta ed ecco che getto generosamente manciate di noccioline nella loro cesta di vimini. Poi in preda a un attacco di folle timidezza, ringrazio e chiudo in fretta la porta arrossendo con il cuore che batte veloce. E' mai possibile?

Esercizi di sopravvivenza/1.

A volte mi sento morire. Altre volte mi chiedo cosa ci sto a fare in questo mondo. A volte soffro davvero come un cane bastonato. Mi vergogno di me stessa, mi metto a piangere e mi faccio pietà. Potrà sembrare esagerato ma è proprio così: è la verità della mia vita, succede spesso, e bisogna rimediare. Devo smetterla con questa faccenda, non per me ma per le persone che mi vogliono bene e soprattutto per mia mamma che ha rischiato sul serio di morire, che ha lottato per me, che ha provato dolori nella vita che io neanche riesco a immaginare e che non ho la forza di descrivere. Quindi, così, per lei e per tutti i miei cari parenti e i miei cari amici, quelli che vedo e sento spesso ma anche quelli perduti e per il mio fidanzato Claudio, è giusto che mi metta d'impegno una buona volta. E per raggiungere qualsiasi obiettivo, nel mio caso una degna sopravvivenza, è importante allenarsi, fare esercizio tutti i giorni. Così da oggi inizio gli esercizi di sopravvivenza. Cioè provo a elencare tutte quelle cose, azioni o letture o pensieri che mi aiutano ad andare avanti quando in preda allo sconforto più nero non so cosa fare.


Primo esercizio:

Universo Bimbo.
E' un supermercato ma anzichè la frutta e la verdura, ci sono tutte le cose che servono alle mamme e ai bambini piccoli. Da quando stanno ancora nella pancia a quando hanno, all'incirca, tre quattro anni. Io vado lì e nessuno mi chiede niente. Nessuno si insospettisce, perché è un posto aperto anche alle zie, alle sorelle, alle amiche di mamme. Potrei essere lì per fare un regalo, ad esempio. E invece ci vado per sopravvivenza, ma questo nessuno lo sa. Faccio il giro come in un vero supermercato, ordinatamente, percorro a uno a uno i corridoi a S, come se stessi visitando una mostra. E' la mostra della vita che nasce, che mi trasmette vita che nasce. Ci sono i lettini rosa, celesti, verde chiaro, arancioni o di legno. Ci sono le culle bianche, di vimini. Ci sono tutti gli ordini di animaletti che la mente umana può concepire. Ci sono le carrozzine superergonomiche, i passeggini per due o tre gemelli. Di tutti i colori. Ci sono i giocattoli teneri, musicali. Ci sono le creme per la pelle, le pappe, il latte in polvere. I girelli, le "palestrine", la biancheria delicata e profumata. Ci sono le scarpine, i costumi da bagno minuscoli, i baby pullman! Lì è il grado zero della vita. Quando esco da lì ho energia per molti altri giorni. Vedo le mamme e i papà imbambolati di fronte ai loro bambini, uno dei due tiene il bambino con amore, l'altro genitore trotta tra i prodotti e si consultano e scelgono insieme. E io li osservo senza farmi accorgere. Da loro prendo un po' di vita che mi manca e me la porto a casa.

Raccontare.

"Chi tenta di raccontare, tenta di dare un ordine, dunque di cancellare".


(Mario Desiati, Il paese delle spose infelici, Mondadori, Milano 2008)

giovedì 30 ottobre 2008

Come si fa?

Come si fa a farcela? A vedere il futuro. A vivere nonostante l'incertezza e il fallimento? Come si fa se si è meno bravi degli altri? Come si vive lo stesso? Con che diritto?

Il medico.

"Il medico si occupa (a differenza del naturalista)...di un singolo organismo, il soggetto umano, cercando di conservarne l'identità in circostanze avverse".


(Ivy McKenzie)

Notizie dalla clinica occupata.

La clinica è in buone mani. Anche se, come esordisce nel suo articolo la giornalista Federica Cravero sulla cronaca di Torino della Repubblica di ieri, "E' ancora lontano da una soluzione il caso dei rifugiati politici che hanno scelto Torino come destinazione di un viaggio verso una vita nuova (...)", molte persone se ne stanno occupando. Ho letto, nello stesso articolo, che Don Ciotti ha accolto in abitazioni i rifugiati con le storie più difficili, che la protezione civile ha forino un'ottantina di letti almeno per le mamme e i bambini e che la Circoscrizione si sta interessando per far ottenere loro la tessera sanitaria e un lavoro. Le risposte dal governo non sono ancora arrivate ma l'attenzione a questi duecento disperati sta salendo e crescendo in modo esponenziale. Questa è una bella notizia. Ieri la mia mamma ha anche visto l'europarlamentare Vittorio Agnoletto. Sono proprio contenta che non siano lasciati a se stessi. A volte la mancanza di un aiuto tempestivo diventa infatti motivo irreversibile di distruzione.

mercoledì 29 ottobre 2008

Elementi di Afasia applicata/15.

Figlia:

- James Dean...


Mamma:

- ...ingenuo e sregolatezza!

Testa vuota.

Questa mattina mi sono svegliata con la testa vuota. Mentre mi lavavo i capelli mi sembrava fossero attaccati a un palloncino anziché al mio solito cranio.
E solo una stupida canzoncina che gironzolava occupando lo spazio lasciato dai neuroni in vacanza:

Gnammy.... Gnammy Gnammy Ah Ah le gommose più golose.

Ma che diavolo è? Immagino una pubblicità di caramelle degli anni Novanta. Conto tuttavia di ritornare seria nel prossimo quarto d'ora.

martedì 28 ottobre 2008

Porte chiuse.

Questa mattina dovevo andare in tanti posti e li ho trovati tutti chiusi. Dovevo fare delle telefonate e non ha risposto nessuno. Come nessuno ha risposto alle ultime lettere che ho spedito. Tutte porte chiuse. Come minimo domani si spalancheranno i portoni del Paradiso!

lunedì 27 ottobre 2008

Filippo/7.

Era troppo tardi per pensare a qualsiasi cosa. Ma anche per muoversi. Filippo l'aveva afferrata al braccio e stringeva così forte da far cadere a terra il telefonino. Che si era aperto in due sul pavimento come il guscio nero di una cozza.

- ah.

Era riuscita a dire Celeste. Ma Filippo aveva preso dalla tasca un boccetto simile a quelli di un profumo da viaggio, un campioncino, e aveva spruzzato una sostanza acida nei suoi occhi. In un momento che non finiva mai, sono rimasti in silenzio a guardarsi.
Celeste aveva la nausea e non capiva più bene dove si trovasse. Filippo aveva nello sguardo il vuoto scuro di chi esegue un semplice lavoretto come fosse al tempo stesso molto importante e di nessun peso. Con precisione e indifferenza. Con professionalità seriale e noia estrema. MTV proseguiva la sua estenuante rotazione estiva. Nessuno in strada si accorgeva di nulla.

Mai raccontare i sogni/2.

Questa notte ho sognato che ritrovavo tutti i miei giocattoli di bambina. Tutti, nessuno escluso. Messi in fila in un a libreria di legno. Potevo stare nella stanza tutto il tempo che volevo!

domenica 26 ottobre 2008

Buco nero.

Abbiamo una casetta in campagna, nel Canavese, vicino a Torino. Un tempo era un forno, il mio bisnonno era panettiere. Poi l'attività è cessata, il forno murato e i muri riconvertiti in un'abitazione. Ci viveva mio nonno con la sua famiglia da bambino. Durante la guerra nello stesso piccolo paese, Cuceglio, è sfollata mia nonna. Si sono conosciuti e sposati. Alla fine della guerra si sono trasferiti a Torino per lavorare. Però la casa è rimasta e ci passavano le vacanze i miei bisnonni con mio papà bambino. Anche io ho trascorso lunghi mesi estivi della mia infanzia e adolescenza lì, con i miei nonni e i miei genitori. Leggevo Topolino insieme a mio nonno nel piccolo cortile dove si affacciavano anche i vicini: una coppia di anziani contadini. C'erano i conigli, le galline e ai tempi di mio papà anche una mucca. C'erano i gatti che facevano i cuccioli e una volta ci scorazzava anche un cane. Mia mamma organizzava dei giochi con la palla, i gavettoni o le carte in cui coinvolgeva i bambini del paese. Avevo anche degli amici. Oltre ai cugini di mio papà e tanti che portano il nostro stesso cognome. Negli anni poi sono spariti gli animali. La moglie del vicino è mancata, il vicino ora sta in una casa di riposo per anziani. Dopo la morte dei miei nonni abbiamo continuato ad andarci sporadicamente ma non sono mancate le occasioni di pranzi o brevi fine settimana. Mi sono anche rifugiata lì nel 2004 in un momento che credevo difficile. La casa era arredata in modo modesto ma dignitoso, solo le reti dei materassi presentavano qualche scomodità.

(Dopo la morte di mia nonna abbiamo dovuto cambiare casa qui a Torino: la nuova casa, quella in cui vivo adesso con i miei genitori, è così piccola che la casa di Cuceglio ci è servita negli anni per respirare un po', per stare un po' più larghi. Qui a Torino non c'è il divano. Lì c'è. Qui a Torino non c'è la vasca da bagno ma solo la doccia. Lì c'è. In più l'aria era buona. Così come l'acqua.)

Ma la malattia di mia mamma ha interrotto tutto questo. Da due anni non mettevamo piede in quella casa. Oggi è capitato ed è stato brutto. L'edera si sta espandendo ovunque e le sue liane magre come zampe di ragno giganti entrano nelle finestre delle stanze. Le tre rose canine sono diventate enormi e annerite, spuntano in steli troppo lunghi, troppo sporgenti. Il sole ha cotto la tenda sul cortile. Uccellacci neri, tanti, almeno venti, svolazzano rumorosamente per le scale. Ragni morti si sono depositati nei lavandini e nella vasca da bagno. L'umidità fa pizzicare la gola. La muffa si è formata sugli oggetti da cucina. Un piatto comprato a Londra tanti anni fa è caduto a terra in mille pezzi. I vestiti si sono impregnati di un odore cattivo. Le mie foto da bambina ricoperte di polvere marrone. Ragnatele nella dispensa. Sedie e tovaglia mangiate dalle termiti. Posta arretrata di mesi. Muschio che cresce sotto al cemento. Asciugamani sporchi senza essere stati usati. Luce fioca, getto dell'acqua gorgogliante, insufficiente. Scatoloni chiusi rigonfi, spezzati in due dal peso di altri scatoloni.

Due anni. Un buco nero. Di fronte a quello scenario ho pensato che non riesco a controllare le cose. Ho paura di fare una brutta fine. Di non farcela con i soldi e con le energie. Che il disordine, il caos e la miseria entrino così in silenzio nella mia vita come hanno fatto nella mia casa. Come quel tizio di cui parla oggi il giornale che hanno iniziato a non pagarlo più al lavoro, che sua moglie è incinta e vivono come barboni. Che paura, che malinconia. Mi faccio una tisana sperando che la notte mi restituisca le forze per andare avanti.

sabato 25 ottobre 2008

Notizie dalla clinica occupata.

Questa mattina in piazza Sabotino, dove abito io, si è radunato di buon'ora una gruppuscolo di esponenti della Lega Nord, capitanati da Borghezio in persona. Questo ha scatenato l'arrivo di numerosi presìdi della polizia. Erano davvero tanti. La gente del quartiere aveva un po' paura. E ho pensato anch'io: cosa c'è, la guerra?

Dalla clinica occupata dai rifugiati - anche bambini, tutti con permesso di soggiorno per asilo politico o umanitario - provenivano musiche sparate al massimo volume, organizzate in sequenza da persone dei centri sociali che intervallavano i pezzi con discorsi di spiegazione sulla situazione degli occupanti. Leggendo il giornale nei giorni scorsi so anche che questi rifugiati portano ancora sulla pelle il segno delle percosse e delle torture con il filo di ferro.

Li vedevo tutti dal balcone di casa mia. Ma alla fine sono scesa giù con le cose che avevo in casa, portandomi dietro anche i miei genitori. Loro due sono rimasti sul marciapiede in mezzo ai rifugiati - mia mamma sentiva la musica e accennava qualche passo di danza (...) - mentre io entravo nella clinica, accompagnata da una ragazza bianca. Dentro ho visto uno spazio grande ma angusto, sporco e diroccato. Non certo una casa. Ci vorrebbe un'impresa di pulizie: gli aiuti dei semplici cittadini non bastano assolutamente. Continuo a non sapere come andrà a finire se il Comune non interviene in tempo. A me sembra assurdo, senza voler mancare di rispetto a nessuno, che queste persone siano lasciate nelle mani solo di volontari, che inevitabilmente prendono in mano la situazione a modo loro e come possono, organizzandosi in un Comitato di solidarietà che, nel volantino che distribuisce in strada, specifica di non voler trasformare la clinica in un nuovo centro sociale...
E poi: quanto può reggere la loro salute: mi sembravano tutti un bel po' sperduti e spaventati, tante ragazze tutte abbracciate, con i veli colorati. I maschi che distribuivano volantini in pantofole.

Dopo qualche ora è tutto finito in pace, senza nessuna violenza. Mia mamma mi ha detto che per tutto il giorno non ha pensato alla sua malattia. Questo a me oggi basta per essere contenta. Ma loro? Ma domani?

venerdì 24 ottobre 2008

Elementi di Afasia applicata/14.

Una luce nell'oscurità...


Figlia:

- Hai visto a Catania...


Mamma
:

- Sì: hanno vinto il Superfanaletto!

"L'ira dei ragazzi miti".

Ecco le parole di uno studente romano, Marco, pubblicate su Repubblica di oggi:

"Sai cosa c'è? Alla fine uno si rompe le balle di avere paura. Ho 22 anni e vivo ogni giorno a sotto ricatto. Paura di non farcela a riscattare tutti i crediti, del contratto da precario in scadenza, di non poter più pagare l'affitto e dover tornare dai miei, di non trovare un vero lavoro dopo la laurea, della crisi mondiale e dell'aumento delle bollette. Campo a testa china e tiro avanti sperando che domani sia migliore. Ma se mi dicono che domani non c'è più, l'hanno tagliato nella finanziaria, allora basta. Non mi spaventa più Berlusconi che dice di voler mandare la polizia. Non mi spaventa nulla, sono stufo. E finalmente, respiro".

Io di anni ne ho 28 e mi chiedo: ma quando arriva questo domani? Non ho ancora capito se sono io che non funziono, perché incapace, pigra, inetta o se c'è qualcosa di storto nella nostra società, nella nostra (in)civiltà. Penso forse un bel misto di entrambe le cose. C'è già una piccola differenza tra il 22enne Marco e una 28enne come me. Io all'Università ancora sognavo a occhi aperti, lavoravo sodo, a testa china ma senza sentirne il peso perché avevo speranze e progetti. Studiavo e studiavo immaginando davvero un bel futuro. A 22 anni fantasticavo di una me 28enne soddisfatta, lavoratrice retribuita, moglie, mamma. E invece eccomi qui a lavorare sì a volte, ma con l'incertezza del lavoro stesso e naturalmente della paga (quanti si abbiamo risposto alla domanda/affermazione: "naturalmente lavorerà gratis?! O per 300 euro o per 500 euro al mese??" Scagli la prima pietra chi non l'ha fatto almeno una volta!), con molti sogni infranti, eterna fidanzata a casa con i genitori e ancora non mamma. Lo so che è anche colpa mia. Marco invece è già disincantato. Ha visto noi quasi 30enni per la maggior parte ridotti male. Pavidi e per nulla intraprendenti. Fatte le dovute ammirevoli eccezioni. E si è giustamente spaventato e stufato e preoccupato per se stesso. Voglio allora però imparare dai miei stessi sbagli se ci riesco e prendere esempio da lui e non avere più paura dei miei diritti e dei miei doveri.

Senza parola. Un bel libro da leggere.


Oggi vorrei leggere e consigliare agli amici questo libro. Si chiama Senza Parola. Storie di afasia. (Edizioni Nottetempo, Roma 2008) Un libro che racconta l'afasia attraverso i lucidi e dettagliati interventi della neuropsicologa Anna Basso e i racconti di due afasici piuttosto giovani, Andrea Moretti, studente di Scienze della Comunicazione, che viene "colpito ma non affondato" dall'afasia nel 2003, a 27 anni. E Marta, una maestra di 39 anni e madre di 3 bambini che si ritrova afasica dopo alcuni interventi chirurgici. Entrambi, come quasi sempre accade dopo una lesione nella parte sinistra del cervello, sono diventati anche emiplegici - cioè insensibili nella parte destra del corpo. Questi due autori scrivono benissimo, con pochi errori. Sono davvero bravi e leggere la loro storia è facile e commovente. Purtroppo non tutti gli afasici conservano un linguaggio così fluente. Alcuni smettono quasi completamente di parlare, dipende dalla vastità e dall'area precisa della lesione. Credo che questo libro sia nato anche per loro. Per difenderli e farli conoscere. Quante più persone infatti conoscono questa strana condizione tanti meno equivoci accadranno nelle nostre città. Tanti personaggi che a volte frettolosamente scambiamo per "ignoranti", "stupidi", "malati" magari sono afasici. Cioè: sono intelligenti e sensibili, vanno solo un po' al rallentatore.

"Nella migliore delle ipotesi le persone afasiche vengono scambiate per stranieri e quasi sempre l'interlocutore occasionale, non rendendosi conto delle reali difficoltà di chi gli parla, non ha la pazienza sufficiente per ascoltarlo e cercare di capire cosa voglia dirgli".
(dall'introduzione di Anna Basso)

"Pensiamo che avevo tutto nella vita. Parlare, giocare, dialogare, era il mondo sotto ai mio piccoli piedi. Ero immortale, giovane e pieno di vita, avevo i capelli lunghi e andavo sempre avanti. Volevo sempre correre senza fermarmi mai. Ma non era così e non per la macchina o il motorino o la moto che sognavo ma non avevo. Ma per la vita stessa, quella stretta stretta, la mia. Pensiamo che la velocità mi scorreva davanti e io volevo correre ancora, stare vicino, attaccato, superarlo. Ma non ce la faccio, non lo fa nessuno, non basta mai, stavo sempre indietro, a rincorrere. Correvo, correvo, correvo e pigiavo l'acceleratore. E a un certo punto, clic, cambia tutto".
(dal diario di Andrea Moretti)


Volevo aggiungere che anche per mia mamma è stato così. Un clic di poco conto, e la nostra vita è stravolta da un anno e mezzo. La sua sfida adesso è provare ad andare al lavoro qualche ora, nonostante tutto, affrontare la confusione totale e una fatica che prima non conosceva, affrontare il silenzio, il nervoso, il male fisico. La sua lotta è tornare a essere la mia mamma, prepararsi magari chissà un giorno a diventare anche nonna. Rafforzarsi i muscoli per provare a tenere in braccio un nipotino, per dirgli quelle poche semplici parole che un bambino può capire. In una parola: vivere lo stesso anche senza parola.

giovedì 23 ottobre 2008

Scene della Torino Brava/2.

Sempre ieri mattina, poco prima di entrare in piscina, ho pensato di prendermi un bel caffè vero al bar. A casa mia esiste solo più il decaffeinato. Nemmeno il tè posso bere in pace. Perché nella mia piccola credenza, ad accompagnare l'altrimenti solingo dek, sono stipate svariate confezioni di altrettanto sano e inutile deteinato. Bevo e bevo ma non succede mai nulla. Così, tagliando corto, ho pensato di bere un ottimo caffè vero di prima mattina.

Al bar ho sentito "involontariamente" una conversazione tra una cliente e la barista. La cliente aspettava visibilmente un bambino ed era un po' raffreddata. Così parlavano di quello, dell'uscire di casa nonostante il blando divieto del dottore. Mi sono subito intromessa per chiacchierare un po' della gravidanza che è un argomento che mi appassiona tanto e mi affascina tantissimo, pur non aspettando a mia volta nessun bambino. Allora, alla fine questa giovane donna aveva una bella storia da raccontare. Si chiama Renata e ha 33 anni. Appena sposata, a 30, scopre di avere una malattia molto grave. Sulle prime si crede e la credono spacciata. Subito perde il lavoro. Così si ritrova malata e disoccupata. Decide di affrontare comunque le cure con insospettabile fiducia.

- Ho avuto fede. Non avevo altro.

Dice. E dopo un po' di tempo guarisce. Senza mezze misure. All'improvviso e con sorpresa di tutti. Contemporaneamente, una sua amica le segnala la possibilità di spedire il curriculum a un'azienda. Renata lo fa. La prendono. Dopo un po' di tempo le viene fatto un contratto a tempo indeterminato. Dopo due mesi scopre di aspettare un bambino. Che brava Renata che non si è persa d'animo. Voglio prendere esempio da lei.

Entusiastic/1.

Come tutti i supereroi, anche il mio papà Catastrofic (scritto proprio così alla piemontese!) ha una doppia identità. Dal "catastrofismo sfrenato" sa mirabilmente balzare ad accessi di entusiasmo non indifferenti...


Papà
:


- Sai quella trasmissione che ascolto sempre alla radio...


Figlia
:


- Si, la Barcaccia, su radio tre?!


Papà
:


- Esatto. Ma sai che la fanno da vent'anni?


Figlia:


- Ah, cavoli.


Papà
:

- Mah...hai capito bene? v-e-n-t-'-a-n-n-i


Figlia
:

- Si, si.


Papà
:

- Secondo me è un miracolo.

mercoledì 22 ottobre 2008

Elementi di Afasia applicata/13.

Relax a fine pasto...


Figlia:

- Vuoi della frutta?


Mamma:

- Ma no, magari prima passami quel Massaggino Mio.

Scene della Torino Brava/1.

Questa mattina ho pensato di andare in piscina. La mia mamma sta facendo un reinserimento al lavoro di qualche ora al giorno. Così ne ho approfittato per fare una nuotata. Eccomi che entro camminando in fretta e guardandomi la punta dei piedi. Mi immergo nell'acqua tiepida e dopo due o tre bracciate sento:

- Tuffati Noemi!

Ma non ci voglio fare caso. Non mi erano mai capitati episodi schizofrenici prima: penso subito a una semplice suggestione. Anche considerato il periodo per me strano. Poi era da tanto che non stavo da sola in uno spazio così grande. Ma la voce continua:

- Vai Noemi! Buttati!

Ma cos'è? Un messaggio per me? Confesso che non sono più tranquilla e inizio a nuotare veloce.

- Brava Noemi. Bravaaaa!

Adesso sono preoccupata sul serio. Mi batte forte il cuore e decido di fermarmi. Un attacco di panico di quelli corti e fulminanti si impossessa di me per qualche secondo. Insieme a quel respiro asmatico che fa sempre piacere.
Mi guardo intorno con gli occhi lucidi. E vedo alla fine della prima vasca una piccola bambina down con la sua cuffietta celeste abbracciata a una giovane istruttrice. Altre due persone a bordo vasca le guardano. Quell'uomo e quella donna che facevano il tifo.

Così attraverso in apnea le due corsie che mi separano da lei e cerco di nuotare vicino a loro. Attacco bottone dicendo che anche io mi chiamo Noemi. Da quel momento la piccola Noemi mi dice:

- Brava!

A ogni vasca. E me lo sussurra anche sotto il phon, per come mi asciugavo bene i capelli. Prima di andare via mi ha mandato anche un bacio con la manina. Brava Noemi. Brava l'istruttrice. Bravi i genitori!

In Italia!

I ricercatori e Roberto Saviano secondo me dovrebbero poter restare in Italia e agire e vivere liberamente. Dovrebbe esserci uno spazio dignitoso per tutti. La minaccia della morte e della povertà invece incombe sulle teste delle menti migliori della nostra generazione. Come affrontare una nuova giornata con questo enorme peso che fa sbarrare gli occhi? Io oggi traggo la mia forza da tutti quelli che non stanno mai fermi e cercano soluzioni di ogni tipo. Grazie a voi che avete il coraggio di lottare per i diritti. Grazie da una piccola persona che ha paura e troppo spesso si sente triste.

martedì 21 ottobre 2008

Elementi di Afasia applicata/12.

Il dottore tuttofare!


Mamma, rivolgendosi al medico curante:


- Allora dottore: per il mutuo siamo a posto?


Dottore:

- Lo spero per voi.


Figlia:

- ...

lunedì 20 ottobre 2008

T.S.Eliot.

[...]
O buio buio buio. Tutti vanno nel buio.
Nei vuoti spazi interstellari, il vuoto va nel vuoto.
I capitani, gli uomini d'affari, gli eminenti letterati,
I generosi patroni dell'arte, gli uomini di stato e i
governanti,
Gli esimi funzionari, i presidenti di molti comitati,
I capitani d'industria e i piccoli imprenditori, tutti vanno
nel buio,
E bui il Sole e la Luna, e l'Alamanacco del Gotha
E la Gazzetta della Borsa, l'Annuario delle Società
Anonime,
E freddo il senso e perduto il motivo dell'azione.
E tutti noi andiamo con loro, nel funerale silenzioso,
Funerale di nessuno, perché non c'è nessuno da
seppellire.
Ho detto alla mia anima: taci, e lascia che scenda su di te
il buio.
Che sarà l'oscurità di Dio. Come, in un teatro,
Si spengono le luci, per poter cambiare la scena
Con un cupo rombo d'ali, con un moto del buio sul buio,
E noi sappiamo che le colline e gli alberi, il panorama
lontano
E l'ardita facciata imponente, tutto viene arrotolato e
messo via...
O come quando un treno della ferrovia sotterranea si
ferma troppo a lungo tra due stazioni
E s'ode la conversazione, poi un po' per volta svanisce nel
silenzio
E si vede che dietro ogni faccia si spalanca il vuoto
mentale
E non resta che il crescente terrore di non aver nulla a cui
pensare;
O quando, sotto l'etere, la mente è cosciente, ma
cosciente di nulla...
Ho detto alla mia anima: taci, e attendi senza speranza
Perché la speranza sarebbe speranza mal collocata: attendi
senza amore.
Perché l'amore sarebbe amore mal collocato; rimane la
fede
Ma la fede e l'amore e la speranza stanno tutti nell'attesa.
Attendi senza pensiero perché non sei pronta al pensiero:
Così il buio sarà la luce, e la quiete la danza.
Mormorio di correnti ruscelli, e lampi d'inverno.
Il timo selvatico non visto, e la fragola dei boschi,
Le risa nel giardino, eco di un'estasi
Non perduta, ma che richiede, che tende all'agonia
Della nascita e della morte.
[...]

(T.S. Eliot, da Quattro Quartetti, East Coker in Opere 1939.1962, Bompiani Milano 2003)

domenica 19 ottobre 2008

Segreto.

Ho scoperto un segreto e come tale non posso rivelarlo. Questo segreto ha generato un tale turbamento da sottrarmi anche le più semplici parole.

sabato 18 ottobre 2008

Complesso.

Ho capito adesso cose che non avevo mai capito prima. Su cui ero confusa, ostinata. Ma questa comprensione è complessa, nebulosa, struggente. Ho capito di errori che credevo scelte giuste. Sbandano in me come biglie veloci tanti sentimenti quante le piccole stelle nel cielo di notte. Girano e sbattono uno contro l'altro, si fondono in una vaporizzazione che mi commuove fino a un limite che non so sopportare senza mettermi qui a scriverlo.

Giornata nazionale dell'Afasia.

Oggi è la giornata nazionale dell'Afasia. Di questa malattia o insieme di disturbi legati al linguaggio non si parla mai. Ma colpisce 20.000 italiani all'anno. Una persona afasica ha difficoltà a capire e a pronunciare le parole, a leggere e a scrivere. Se lasciata a se stessa tende all'isolamento, scompare semplicemente dalla società e rinuncia alla propria vita. La sua intelligenza e la sua sensibilità però sono però conservate. Chiunque può diventare afasico in seguito a incidenti, tumori, ictus e aneurismi. L'Afasia si può manifestare in forme più o meno gravi o evidenti, ma in tutti i casi restituisce un senso di inutilità, impotenza, panico e malinconia. All'esterno le persone sono uguali a prima, ma dentro il loro mondo è stravolto. Ogni piccola attività quotidiana diventa complessa. Amici vi chiedo di pensare a loro oggi con un po' del vostro affetto. Grazie Mille.

venerdì 17 ottobre 2008

Elementi di Afasia applicata/11.

Contaminazioni culinarie al bar!


Figlia:

- Per me un caffè normale!


Mamma
:

- Per me un caffè d'orso!

Scene della Torino inquietante/3.

Sul tram sale una signora con una gabbietta di ferro verniciato di azzurro che contiene una gatta rossa. La gatta inzia a miagolare disperatamente guardandosi intorno terrorizzata. La signora la fissa e, con tono serissimo e perentorio, le intima:


- Non miagolare.

giovedì 16 ottobre 2008

fiction/nonfiction.

Vorrei solo comunicare amichevolmente una piccola cosa: tutti i "post" che compaiono in questo mini blog si riferiscono alla mia vita quotidiana o ai miei pensieri personali, ecc. Fatta eccezione per i due racconti "Una lunga notte" e "Filippo". La mamma di "Una lunga notte", pertanto, non è la mia vera mamma, mentre è verissima quella dell'Afasia (e mi ha autorizzata ovviamente a scrivere, come anche mio papà). Ciò che ho raccontato o sto per raccontare in quelle due storie quindi non ha alcuna corrispondenza nella realtà passata, presente e futura.

Elementi di Afasia applicata/10.

Strade che si ricongiungono...


Mamma
, in prossimità di un tizio che tutta la famiglia non rivedeva da tanti anni:

- Ecco quel ragazzo, come si chiama già...


Figlia
:

- Riccardo.



Mamma
:

- Ah, si Raccordo.

Una lunga notte/10.

Cosa era successo? La domanda strisciava dentro ogni mio pensiero subdolamente. Mentre cercavo di imparare un nuovo mestiere, tra i tasti del computer, eccola che strisciava visibilmente come una sostanza densa e blu. La spiegazione della dottoressa Santachiara era stata precisa e dettagliata. Ma non ci aveva detto le cause. Rischiava di soffocare, crisi respiratoria: certo, ma cosa vuol dire? Da cosa era scaturito tutto quel disastro? Aveva a che fare con quelle nuove pillole rosa che prendeva da qualche tempo? Omeopatia, medicina alternativa: nuove parole che da qualche tempo echeggiavano sulla bocca di mia mamma e rimbalzavano spente nei miei timpani distrattissimi. A me avevano sempre lasciata indifferente. Non avevo nulla in contrario. C'è da dire che nostra madre non ne parlava mai volentieri. E poi: non fumava, non soffriva di asma né di bronchite. Era magra, correva, nuotava. Mangiava sano. Cosa diavolo poteva essere successo. Tutti si erano accontentati della descrizione del male, senza approfondire. Ma io iniziavo a mettere in discussione anche le poche certezze che avevo. E, senza mai parlarne esplicitamente, so che anche Clare non dormiva tranquilla ormai da qualche giorno. Il pomeriggio della sua ecografia forse sarebbe stata l'occasione giusta per discuterne insieme. Finalmente sole, finalmente tranquille davanti a un caffè italiano, come lo chiamava lei.
[Continua...]

mercoledì 15 ottobre 2008

Elementi di Afasia applicata/9.

Il tempo è denaro!


Figlia:

- Oggi sei uscita a mezzogiorno...


Mamma:

- Si, in tutto ho lavorato 3 euro e 45 minuti!


Figlia:

- Però!!

Catastrofic/3.

Figlia si prepara tranquillamente per uscire, sono le sette e trenta del mattino.

Papà:

- A che ora hai l'appuntamento?


Figlia:

- Alle nove.


Papà:

- Sei in ritardo.


Figlia:

- Ma no.


Papà:

- Secondo me non arrivi più.

martedì 14 ottobre 2008

Regala ciò che non hai.

Occupati dei guai,
dei problemi del tuo prossimo.
Prenditi a cuore gli affanni,
Le esigenze di chi ti sta vicino.

Regala agli altri la luce che non hai,
la forza che non possiedi,
la speranza che senti vacillare in te,
la fiducia di cui sei privo.
Arricchiscili con la tua povertà.
Regala un sorriso
quando hai voglia di piangere.
Produci serenità
dalla tempesta che hai dentro.
“Ecco, quello che non hai, te lo do”.
Questo è il tuo paradosso.

Ti accorgerai che la gioia
a poco a poco entrerà in te,
invaderà il tuo essere,
diventerà veramente tua
nella misura in cui
l’avrai regalata agli atri.


(Alessandro Manzoni)

Le invasioni barbariche.

"I libri dei sociologi, dei moralisti, dei critici della civiltà contemporanea occupano da alcuni anni a questa parte un posto di rilievo nelle letture di noi tutti, e il vocabolario con cui interpretiamo la nostra vita quotidiana si è arricchito di espressioni divenute presto familiari come alienazione, industria culturale, persuasori occulti, uomini dell'organizzazione, folla solitaria e così via. Il quadro che ne salta fuori non è roseo. Io che sono ostinatamente ottimista, penso che la civiltà umana ne ha passate di peggio, e per rassicurarmi cerco dei paralleli storici che facciano al nostro caso. Di veramente calzante, ho trovato solo questo, e non so se varrà a consolarvi: stiamo vivendo al tempo delle invasioni barbariche.
E' inutile che vi guardiate intorno cercando di identificare i barbari in qualche categoria di persone. I barbari questa volta non sono persone, sono cose. Sono gli oggetti che abbiamo creduto di possedere e che ci possiedono; sono lo sviluppo produttivo che doveva essere al nostro servizio e di cui stiamo diventando schiavi; sono i mezzi di diffusione del nostro pensiero che cercano di impedirci di continuare a pensare; sono l'abbondanza dei beni che non ci dà l'agio del benessere ma l'ansia del consumo forzato; sono la febbre dell'edilizia che sta imponendo un volto mostruoso a tutti i luoghi che ci erano cari; sono la finta pienezza delle nostre giornate in cui amicizie affetti amori appassiscono come piante senz'aria e in cui si spegne sul nascere ogni colloquio, con gli altri e con noi stessi.
Ed è chiaro che l'elenco delle cose barbare e assoggettatrici non può culminare che con l'evocazione di quella che tutte le comprende, le simboleggia e le vanifica, la cosa barbara e assoggettatrice per eccellenza, la bomba che può porre fine alla storia umana".
(Da una conferenza del 1962 riportata con il titolo I beatniks e il "sistema" in Una pietra sopra di Italo Calvino Mondadori 2003)

lunedì 13 ottobre 2008

p.s.

Non so cosa accadrà, che trattamento riceveranno, che fine faranno ma vedere a una a una riaprirsi le finestre della clinica dopo tanti anni mi colpisce tantissimo. E' un'emozione strana e totalmente inaspettata per me e per il quartiere. La disperazione del cercare il proprio posto nel mondo la capisco e mi fa pena. In questo momento al degrado di prima credo sia preferibile questa sistemazione di fortuna. Speriamo solo che per loro arrivi un po' di fortuna vera o almeno un pasto caldo...

Ecco cosa è successo ieri notte.

Ho scoperto cosa è successo ieri nella clinica abbandonata di fronte a casa mia. (vedi post precedente) E' stata effettivamente occupata da un gruppo di rifugiati in prevalenza somali che non avevano trovato risposte dalle istituzioni. Ai balconi hanno attaccato degli striscioni e avevano già distribuito volantini ai passanti nel pomeriggio per spiegare la propria situazione, ma non me ne ero accorta. Per quanto riguarda l'elettricità in effetti non funzionava nella clinica in disuso, così utilizzano dei generatori di corrente. Questa clinica adesso si chiama Casa Africa 2. Sul sito www.globalproject.info ho trovato il loro comunicato per la stampa: eccolo.

Comunicato degli occupanti e delle occupanti della ex-Clinica San Paolo

Domenica 12 ottobre 2008

Siamo donne e uomini rifugiate/i, arrivate/i in Italia da alcuni mesi. Il governo Italiano ci ha riconosciuto un permesso di soggiorno per asilo politico o per motivi umanitari, ma poi si è dimenticato di noi, lasciandoci in mezzo a una strada, senza una casa, senza la possibilità di trovare lavoro, senza la possibilità di costruirci una vita migliore di quella che abbiamo lasciato nei nostri paesi martoriati dalle guerre. Il comune di Torino, attraverso l’ufficio stranieri, non da’ nessuna risposta concreta che non sia l’iscrizione in improbabili liste d’attesa, per pochissimi posti che prevedono qualche mese di assistenzialismo fine a se stesso, dopo di che le persone sono ributtate in strada, così come succede anche alle persone italiane con le liste d’attesa per la casa popolare.

Noi pensiamo che la casa è la cosa più importante, avere una casa e una residenza consente alle persone di lavorare o studiare, è la condizione per una vita dignitosa. L’inverno torinese è molto freddo e già le temperature si abbassano, i dormitori non bastano né sono il luogo dove possiamo stare.

L’anno scorso un gruppo di rifugiati/e provenienti come noi dal Corno d’Africa, nelle nostre stesse condizioni ha occupato uno spazio vuoto da anni in via Bologna, si sono organizzati per viverci insieme, dividere le scarse risorse e rivendicare i loro diritti. Oggi anche noi, forti ed insieme a quella esperienza, prendiamo questo posto inutilizzato, perché non ci lasciano altra scelta e perché ci sembra una vergogna che con tante persone senza casa, anche italiane, ci siano edifici tanto grandi che non servono più a nessuno.

Oggi siamo qui per conquistarci una casa, siamo determinati e determinate a restare, non vogliamo creare problemi in questo quartiere che nella sua storia è stato più volte il punto di arrivo di tanti immigrati/e che come noi volevano solo dignità. Non abbiamo niente se non la solidarietà di chi ci sta vicino, vi invitiamo a venirci a trovare, vi chiediamo di sostenerci con generi di prima necessità, coperte, cibo, amicizia: tutto ciò che pensate possa servire in nuova casa!

CASA/LAVORO/SANITÀ/ISTRUZIONE
gli occupanti e le occupanti della ex-Clinica San Paolo
(pza Sabotino ang via Revello)
comitato di solidarietà con rifugiate/i e migranti

Scene della Torino inquietante/2.

Vivo in un palazzo pinzato tra una via e un corso molto trafficati. Abito al secondo piano, così vedo tutto ciò che accade in strada e nei pressi dei palazzi di fronte. Non nego che sia opprimente a volte, però può capitare anche il caso di osservare strani movimenti che sono un po' il termometro della salute cittadina. Ad esempio, ieri sera un gruppo di persone molto folto, saranno stati più di quaranta, si è radunato di fronte a una vecchia clinica dismessa. Questa clinica ospedaliera dismessa l'ho sempre vista con la porta d'ingresso murata e l'immondizia che si rigenerava di mese in mese nei cunicoli, negli interstizi, nelle cavità, un po' ovunque. Mio papà la ricorda perché lì da bambino è stato circonciso circa cinquant'anni fa. Da allora nessuno della mia famiglia ne aveva saputo più nulla e oggi per caso ci ritroviamo a viverci di fronte. Per tornare al gruppo di persone: benché da lontano, era facile capire che la maggioranza delle persone era di pelle nera. I bianchi erano pochissimi, in netta minoranza. Queste persone sono rimaste lì intorno per parecchie ore, a mezza notte c'erano ancora. Si sentivano parole confuse, apparentemente strozzate dalla volontà di attirare il meno possibile l'attenzione. Infatti io non me ne sarei neanche accorta, non fosse stato per mia mamma che sta spesso sul balcone a guardare fuori: si appassiona molto più al traffico costante che ai programmi TV ultimamente.
Comunque queste persone a un certo punto non si sa come sembra proprio che siano entrate nella clinica, che l'abbiano occupata. A poco a poco si accendevano le luci di stanze rimaste chiuse per anni. Mi sono chiesta come fosse possibile che funzionassero ancora. A un certo punto si è sentita una sirena, ma eravamo già rientrati in casa. Quando siamo usciti di nuovo, si intravvedeva un'auto nascosta dalla prospettiva delle foglie, ancora numerose nonostante l'autunno inoltrato, di un grande albero a ridosso del corso. Così non ho capito bene la conclusione di questa loro impresa.

domenica 12 ottobre 2008

Filippo/6.

Era senza ombra di dubbio il momento di parlare. Ma Celeste non riusciva. Un'ondata spaventosa di senso di colpa la stava opprimendo come la più potente delle crisi asmatiche. Senso di colpa per essersi distratta. Per aver tergiversato. Per aver ceduto alle fantasticherie invece di restare lucida. Troppo spesso le capitavano simili perdite di controllo, simili cali di attenzione. Tuttavia capiva che era inevitabile, non poteva farne a meno. La superficialità la stava portando a estreme conseguenze, cui non sapeva più riparare. Era iniziato tutto con semplici sbadataggini: le chiavi cadute nel tombino, il bicchiere di vino rovesciato, il dito pinzato nella porta. Poi era incominciata l'amnesia dei nomi di persona, seguita dalle strane vertigini nel salire le scale. Continuava a rinviare la visita da un bravo specialista. Credeva di potercela fare, ti poter tirare la corda, di ingannare così maldestramente il tempo, la vita che sembrava eterna. Sapeva di sbagliare, ma non immaginava fino a che punto. E ora che si ritrovava davanti all'armadio di Filippo, ora di colpo una doccia fredda l'aveva risvegliata dal sonno e dal torpore dell'indolenza. Ma forse era troppo tardi.
[Continua...]

Elementi di Afasia applicata/8.

Piovono virus...


Figlia
:

- Quali malattie infettive ho avuto da bambina?

Mamma:

- Dunque: gli orecchioni, la pertosse e l'ombrello!

Catastrofic/2.

Figlia si prepara per uscire per poche ore un sabato pomeriggio:

- Ciao, io vado.


Papà (detto Catastrofic Man), con tono neutro, normale, tranquillo:

- Allora non ci vediamo più?

sabato 11 ottobre 2008

Le Clézio.

"Non provavo orrore o pietà, ma al contrario interesse e amore, gli stessi che suscita la vista della verità, della realtà vissuta."
(L'Africano, Instar Libri, Torino 2007)

Elementi di afasia applicata/7.

Quando un'intera città si mobilita...

Figlia:

- Chi era al telefono?

Mamma:

- Enna!!!

Figlia:

- Caspita!

venerdì 10 ottobre 2008

Scene della Torino inquietante/1.

Oggi in corso Matteotti - zona piuttosto elegante della città - ho visto una donna di mezza età rivolgersi al cane e al figlio (o nipotino, chi lo sa?) utilizzando lo stesso identico nome:

Donna, guardando di sbieco, verso il cane, dietro gli occhialoni griffatissimi:

- Dai Gabrieleee muoviti!

Cane, bianco, tramortito, dallo sguardo sperso:

- Woof!

Donna:

- Andiamo a prendere Gabriele che esce da scuola!

Cane:

- Wooooooooof!

Donna:

- Bravo!

Cane:

- ...

giovedì 9 ottobre 2008

2004/2008.

Oggi esce il sole
e nonostante tutto
nonostante il basso continuo dolore
che mi fa sempre male e non mi
lascia mai sola.

Oggi penso a ieri di quattro anni fa
a qualcuno che in silenzio
è rimasto con me e non mi
lascia mai sola.

Oggi penso a una parola
che non so pronunciare
una parola d'amore
che non mi lascia mai sola.

Oggi penso a nulla
che mi sconvolge ancora
penso a tutto insieme in un brusio
che non mi lascia mai sola.

mercoledì 8 ottobre 2008

Caso calmo.

[...]
Il caso ci guarda a fondo negli occhi.
La testa comincia a farsi pesante.
Ci si chiudono le palpebre.
Ci vien voglia di ridere e di piangere,
è davvero incredibile -
dalla quarta B a quella nave,
deve esserci un senso.
Ci vien voglia di gridare:
come è piccolo il mondo,
come è facile afferrarlo
a braccia aperte!
E per un attimo ancora ci colma una gioia
raggiante e illusoria.

(dalla poesia Sèance di Wislawa Szymborska)

Una lunga notte/9.

E adesso questo sogno diventerà realtà. Pensavo, seduta sul furgoncino bianco traballante di mio papà che mi portava come un sacco di patate al lavoro. Vedevo la città limpida del mattino scorrere dai finestrini, mi sentivo come ai primi tempi della scuola. Un combattimento all'ultimo sangue tra la bellezza delle piante che ondeggiavano, i marciapiedi semivuoti con i cani e i padroni addormentati, il profumo di croissant e la prospettiva imminente di restare chiusa tutto il giorno seduta in mezzo a persone sconosciute. Stare seduta in particolare in quei giorni mi terrorizzava. La posizione seduta significava calma, concentrazione, padronanza di sé. Cosa che per me non era. Queste persone nuove poi, di questo nuovo ennesimo lavoro, mi sembravano un piccolo plotoncino militare della felicità. Non avevo mai visto tante persone di bell'aspetto e contente, anzi entusiaste nonostante i tentativi di coltivare il tipico cinismo da ufficio. Tentativi che avevo smascherato in pochi istanti: era chiaro che il benessere, l'agio, la soddisfazione e l'impegno serpeggiavano come una sorgente sotterranea di lunga vita, che tutti speravano di coprire con il fango. Mai visto tante persone tutte insieme così ben vestite, così uniformi nel ben vestire. Così appagate dal lavoro, così compatte. Ho subito capito che la squadra era fatta, e che me ne sarei stata in panchina per non so quanto tempo e che poi le cose della mia vita mi avrebbero sovrastata e me ne sarei andata. E così è stato. Ma oggi era il momento di lottare per la sopravvivenza. E di capire i particolari di quanto era successo.
[Continua...]

martedì 7 ottobre 2008

Superenalotto.

Non ho vinto ma se avessi vinto avrei comprato...

Catastrofic/1.

Il mio papà è il migliore dei padri per me, e gli voglio molto bene. Però ha un difetto, o meglio una caratteristica perculiare che gli è valsa il soprannome di Catastrofic Man. In tutto ciò che fa, ma soprattutto che dice, mio papà introduce l'eventualità di una catastrofe imminente. Per esempio, questa mattina....

Ore 7.00. Figlia decisamente adulta dorme nella sua cameretta, ma poiché l'appartamento è di piccole dimensioni sente tutto ciò che i genitori dicono in cucina:

Papà:

- Il Bozzo (mio soprannome per mio papà) dorme?

Silenzio.

Mamma:

- E certo.

Papà:

- Vado a controllare.

Mamma:

- Ma lasciala in pece.

Papà:

- E se è stata male nel sonno???



lunedì 6 ottobre 2008

Elementi di Afasia applicata/6.

Lavorare stanca.

Figlia
:

- Allora com'è andata oggi al lavoro?

Mamma:

- Mah, mi sento un po' sette sopra.

Tre pensieri.

Uno: ci sono giorni in cui anche i gesti più elementari, come una ricarica telefonica, mi riescono impossibili.
Due: questa mattina presto, saranno state le otto, ho visto una donna che spingeva un passeggino. La bambina avrà avuto non più di undici mesi, mentre della donna era difficile identificare l'età. Poteva essere la mamma come la nonna o la zia o la baby-sitter. Camminavo dietro di loro, così la donna si sarà sentita inosservata dal momento che gridava liberamente forte contro la bambina:

- Non c'ho voglia, hai capito.

Gridava senza ritegno, raschiando la gola. Poi di colpo si è piegata verso la piccola e le ha spinto malamente il biberon da cui stava bevendo, procurandole dolore e accompagnando il gesto con un rabbioso:

- Noooooooooooooooooooooooooo.

Tre: mi chiedo: quando certi adulti decideranno finalmente di lasciare in pace i bambini?

domenica 5 ottobre 2008

Le Benevole.


Verso le sei del pomeriggio ho deciso di camminare senza meta e scoprire dove mi avrebbero portata le gambe. Mi sono ritrovata al Caffé Platti. Per arrivarci ho perso tutti i semafori - ondata rossa - e due tram. Ma ho ritrovato la concentrazione che non avevo da tempo. Così ho letto le prime pagine di questo libro, mentre osservavo la gente serena e tranquilla trascorrere in pace la domenica.

Ministro Gelmini.

Oggi Maria Stella Gelmini è ospite di Paola Perego a Buona Domenica. (Anzi al suo nuovo programma che si chiama Questa Domenica: ma non illudiamoci, andrà in onda anche nelle prossime).

Paola Perego dice qualcosa come:

- Eh si in effetti la maestra è un po' una vicemamma, alle elementari. Poi dopo no, ma alle elementari si.

E accompagna la frase con uno sguardo dolcissimo.

La Gelmini annuisce. Stanno parlando del ritorno alla maestra unica. Vorrei solo portare la mia personale testimonianza sui danni irreversibili della maestra unica nella mia esperienza.

Il 1986, anno in cui ho iniziato le elementari, infatti, credo sia stato l'ultimo a prevedere la maestra unica. La mia era una donnona di mezza età maschilista e maliziosa. Mi prendeva in giro perché ero una bambina troppo alta per la mia età. Metteva in competizione gli alunni, era ossessionata dalla guerra, ed era anche un po' ignorante. I maestri delle altre due sezioni: uno toccava i bambini (lo so perché al prescuola lo aveva fatto anche con me, nessuna violenza però toccava e non è una bella cosa), l'altra li picchiava ed era stata anche denunciata da qualche mamma. Certo: erano eccezioni. Il mondo sarà pieno di brave maestre pronte a passare tutto il giorno sole con i loro vicefigli. Però secondo me la varietà nell'isegnamento e nei comportamenti ai bambini non può che giovare. Imparano ad ascoltare più punti di vista e a conoscere metodi e atteggiamenti diversi. Ne sono convinta e mi dispiace per questi nuovi piccoli che come me dovranno avere a che fare con una sola persona per tante ore della giornata.

Filippo/5.

- Allora, prego da questa parte.

Celeste lo seguiva nei suoi piccoli passi di uomo che stava per diventare definitivamente anziano. Guardava in basso, verso i suoi talloni screpolati che si appiccicavano alla ciabatta di plastica.

- Ecco, è qui che tengo il materiale.

- Ma che materiale?
Aveva pensato Celeste, stringendo sempre più forte il cellulare.

- Prego dia pure un'occhiata.
Aveva bisbigliato con tono seccato Filippo, asciugandosi ancora una volta il sudore che in quei pochi istanti si era riformato, attirando anche le insistenze di uno zanzarino che continuava a tormentarlo svolazzando insistentemente intorno agli occhialoni che aveva da poco inforcato.

Celeste si ritrovò, senza il minimo preavviso, di fronte allo spettacolo più incredibile cui avesse mai assistito. Guardando Filippo e poi l'armadio aperto. Poi ancora Filippo e poi l'armadio, non sapeva cosa dire, come uscire da quel silenzio di tomba.

sabato 4 ottobre 2008

Conversazione tra decenni.

Ero sul tram e ho sentito una conversazione tra una bambina e un bambino di circa dieci anni, anzi forse qualcuno di meno, tipo sette/otto.

Bambina:

- Poi mio papà fa: no, la Picasso non si vende. E mia mamma: a me basterebbe una Panda a quattro porte. Anche a me basta la Panda. Oppure una come quella.

Indica fuori dal finestrino un'auto costosissima nera. E continua, mentre il bambino fissa il vuoto.

Quella nera. Vedi? Quella mi basta. Oppure quella gialla (un Maggiolone). Oppure quella azzurra, anzi no quella no. (una Seicento usata).

Bambino:
- Mia mamma ha la Matiz. Ma non la vende eh. E' piccola ma va bene. A me basta. Ha un baule molto spazioso. Anche la Toyota è molto grande. Ci è costata un sacco di soldi.

La conversazione poi è andata avanti così per tutto il tempo, con piccole variazioni fino a quando i genitori li hanno chiamati per scendere. E allora ho pensato:
  1. Che cosa ci facevano sul tram visto che possiedono tutte quelle macchine?
  2. Che cosa diranno di me un domani i miei bambini: - Mia mamma ha visto un vecchietto fiorito!? Mia mamma si sente a testa in giù sulle Montagne Russe!? Mia mamma ha sognato dei gatti aggressivi!????????????????????????????????????
Oddio, aiuto.

Non so cosa accadrà.

Non so mai cosa accadrà il giorno dopo. E' così: non succede mai ciò che penso, che spero o che programmo. Succede sempre qualcosa di diverso, dominato dal caso più totale. Questo perché per pigrizia non mi impegno abbastanza? O perché?

Un vecchietto fiorito.

Verso l'una di questa notte tornando dal cinema ho visto un vecchietto che camminava da solo a passo spedito. Indossava una giacca bianca di velluto decorata con grossi fiorelloni blu e celesti disegnati. Era un po' curvo e i capelli erano bianchissimi. Questo vecchietto notturno mi ha fatto capire che al mondo c'è posto per tutti. Anche per la sua giacca fiorita e per me!

venerdì 3 ottobre 2008

Mai raccontare i sogni/1.

Questa notte ho fatto un sogno terribile: una dozzina di gatti bianchi e rossi mi saltavano sui capelli e sulle braccia e mi graffiavano il cranio e la schiena. Facevo molta fatica a scacciarli via. Risvegliandomi ho capito subito che si trattava di un triste presagio.

giovedì 2 ottobre 2008

Montagne Russe.

Sono in quel pezzo del tragitto dell'otto volante in cui si sta a testa in giù.

mercoledì 1 ottobre 2008

Una lunga notte/8.

Due creature che avevo sempre in mente.
Mia mamma, Clare, il suo bambino ancora nella pancia. Erano i tre lati di un quadrato perfetto di cui io mi sentivo il quarto.

Da sempre immaginavo il momento in cui Clare o io o tutte e due avremmo avuto un bambino. Quando ero piccola come molte bambine giocavo con le bambole. Era il mio gioco preferito. Niente Barbie, solo bambole il più possibile simili a bambini veri. Li accudivo con tutto il mio amore. Davo loro dei nomi, li vestivo a seconda delle stagioni e mi occupavo della loro educazione.