martedì 30 marzo 2010

Le ricette di Tazzina-di-caffè!

Oh, la giornata scorre lenta. Finalmente rispunta il sole torinese (un ossimoro? No, una realtà). Abbiamo parlato di politica. Ci siamo appesantiti l'anima. Ci siamo riparati dalla pioggia e dal buio pesto delle tre del pomeriggio. Dunque è ora di alleggerirci il cuore e metterci ai fornelli (con buona pace di Ciccio e Nonna Papera). Scusate la foto, non rende. Quella che andrò a descrivervi è molto di più di questo. Parlo della mia proverbiale (?) torta salata ai carciofi*.
Cari lettori di Tazzina-di-caffè: procuratevi 6 o 7 carciofi. 2 spicchi d'aglio. 3 o 4 alici lavate e senza lisca. 1 cipolla. 3 uova, 70 g di parmigiano, 200 ml di latte, un po' di prezzemolo tritato, scamorza.

E poi. Preparatevi al peggio. Alla tortura volontaria. Alla sofferenza fine a se stessa. Alla banalità del male. Ovverosia: mondate i carciofi. Mondate mondate. Infilzatevi con quelle orrorifiche spine che sembrano unghie di gatti assassini riposseduti dal demonio. Trascorrete in tale operazione il vostro tempo prezioso domandandovi cosa avete fatto per meritare una simile punizione. Dopodiché, mettete a mollo in acqua e limone i pezzi di carciofi - mondati eh mi raccomando - e lasciateli lì con estremo vostro sollievo. Ora, più semplicemente, tritate i 2 spicchi di aglio e fateli imbiondire nell'olio. Aggiungetevi i carciofi precedentemente scolati. Occhio ai semini di limone. Aggiungete sale e pepe. Con un mestolo di acqua calda ammorbidite il tutto e lasciate evaporare. Poi in un'altra padella (ebbene sì) fate saltare la cipolla tritata con 2 cucchiaio d'olio extravergine di oliva e le simpatiche alici. Con destrezza! Unite tutto quanto insieme. Ci va una certa manualità e tempra di spirito. Ora sfumate con vino bianco. Salare e aggiungere il prezzemolo tritaro. Nel frattempo, sbattete le uova unendo il latte e parmigiano. Tagliate a tocchetti la scamorza. Ora stendete la sfoglia in una teglia. Mettere i carciofi con annessi e connessi, aggiungete la scamorza e infine le uova & company. In forno per mezz'ora a 180 e via. Della serie: stanchi ma felici!

*sul perché fare una torta salata non ho risposte, è un po' come l'ascesa al monte ventoso o giù di lì.

Però.

C'è sempre un però... sento il dovere di aggiungere una postilla al post precedente. Vedere la Lega vincere non mi ha fatto piacere, anzi. Però di certo non sono affezionata a questa sinistra. Politicamente, oggi non riesco proprio più a scegliere un colore netto. Forse per carattere, forse anche perché i nostri politici di destra e di sinistra con il tempo si sono lasciati andare a meschinerie e si sono autocompiaciuti del proprio ruolo e del proprio potere. Sogno una classe politica che si occupi di politica, con passione e attenzione vera ai cittadini. Scuola, sanità, lavoro...
Non capisco le ragioni di una lista come quella di Beppe Grillo, non capisco il programma della Bresso a Torino. A questo punto, mentre scrivo, mi rendo conto di non capire molte cose.

I'm so tired.

Che stanchezza. Ieri, secondo e ultimo giorno di elezioni regionali, per me in quanto scrutatrice è stato il peggiore. Lo scrutinio è qualcosa di delirante. Il momento più teso e concitato, cui si arriva già stramazzando dopo tutta la mattina (dalle 6.30 in avanti) ad accogliere alla spicciolata gli ultimi elettori. Gente smarrita, piccoli plotoni di anziani in confusione, giovani seccati e per fortuna anche parecchia umanità gentile e sorridente. Litri di caffè ustionante. E poi, mi sbilancio un po', smettendo i panni dell'imparzialità ufficiale, e confesso che dover rigorosamente assegnare tutti quei voti alla Lega, nella mia stessa città, mi ha molto turbata. Un bel mal di pancia tra ieri sera e oggi non me lo toglie nessuno.

Così, un po' di malinconia generalizzata, un po' di vecchi pensieri che ritornano bui infiltrandosi nelle pieghe lasciate scoperte dalla stanca mia fragilità che sopraggiunge appena mi ritrovo un po' in scacco, alle prese con circostanze competitive o scomode. Stanchezza mentale, non solo fisica.

Ma guardando avanti già so che domani sarà per me una bella giornata. Mi aggrappo a questa piacevole idea e sopporto la pioggia e il grigiore.

domenica 28 marzo 2010

Letture domenicali+tazzinadicaffè.

Con gli occhi già semichiusi, ribadisco ancora una volta questo particolare consiglio di lettura - la tazzina in realtà questa volta consiste nel bicchierino della macchinetta di una scuola elementare. La giornata d'uno scrutatore di Italo Calvino. Leggerlo durante la mia esperienza di scrutatrice oggi, tra un elettore e l'altro, nei momenti di minore affluenza, è stato bello, giusto, emozionante, decisivo per la mia vita. Naturalmente, non potrei trovare parole migliori di queste:

"Ambienti insomma nudi, anonimi, coi muri tinti a calce; e oggetti più nudi e anonimi ancora; e questi cittadini, lì al tavolo - presidente, segretario, scrutatori, eventuali 'rappresentanti di lista' - prendono anch'essi l'aria impersonale della loro funzione. Quando incominciano ad arrivare i votanti allora tutto s'anima: è la varietà della vita che entra con loro, tipi caratterizzati uno per uno, gesti troppo impacciati o troppo svelti, voci troppo grosse o troppo fine. Ma c'è un momento, prima, quando quelli del seggio sono soli, e stanno lì a contare le matite, un momento che ci si sente stringere il cuore".

sabato 27 marzo 2010

Il seggio.

Sono agitata come il primo giorno di scuola! Non è vero, ma quasi. Per me è tutto nuovo. Da molto tempo non mi capitavano cose in cui devo per forza conoscere persone nuove. In effetti era ora. La prima istanza è l'ansia da prestazione. Mi imbranerò, mi comporterò da bambina, sbaglierò sicuramente a contare le schede e non saprò rispondere a quel tanto di domande da far diventare il mio bruxismo notturno anche diurno. E, oddio no, se davvero davvero sotto pressione potrei anche, pur essendone ormai uscita da tempo e con estremi sforzi, ricascarci e fare-la-voce-di-Fantozzi reclinandomi tutta da un lato. Per la cronaca, è successo tutto questo, puntuale come un orologio. Ma è successo anche qualcosa di più. Qualcosa di inspiegabile e inestimabile. Qualcosa che mi ha riagganciata alla vita come le foglie che rispuntano in cima agli alberi.

Comunque: 672, hanno iniziato a scrivere i presidenti del seggio - una coppia collaudata di marito e moglie, ho già dimenticato i nomi ma sono simpatici e lui è uguale a Giovanni, di Aldo Giovanni e Giacomo. 672 è il numero di schede che noi scrutatori dobbiamo contare, siglare, timbrare e sigillare. Sono poche. Noi siamo in quattro. Faremo in fretta.

Ho sbagliato a contarne qualche mazzetta.

- 300!

Esclamo. E invece erano 150. Dannate tabelline. Poi mi sono rifatta mostrandomi la siglatrice di schede più veloce del west. La sensazione è stata quella di maneggiare carte importanti e delicate. Pesavano, come pesa il voto stesso. Mi pareva di avere una notevole responsabilità nello sfogliare quei materiali, nell'impregnarmi le dita di quell'odore forte di carta. Non entravo in una scuola elementare da vent'anni più o meno. Che piccole cose. Piccoli attaccapanni, piccoli tavolini, piccole seggiole. Muri spogli, grandi finestre, disegni colorati. Manca la carta per lavarsi le mani, i bambini di oggi, si sa, se la portano da casa. Però ogni seggio è dotato di un kit per l'igiene. La cosa mi conforta parecchio. Non dico di esserne malata, ma il lavaggio delle mani per me è vitale.
Tutto si è svolto in fretta e bene. L'agognato 672 si è raggiunto in poco tempo. Ero così concentrata che mi fumavano le orecchie. Chiusa la porta con un sigillo e lasciata la luce accesa dell'aula, ce ne siamo usciti dalla scuoletta che fuori c'era un vento azzurro fresco.

Domani mattina: appuntamento alle 7.20. Che con l'ora legale significa 6.20. Alla luce di questo dato, ogni altra considerazione mi pare superlfua. Cosa non si fa per servire la patria!

Girarrosto.

- un pollo?
- sì grazie uno.
- e patatine? Quante? Per due?
- sì grazie, per due.
- no chiedo perché...
- ...
- negli anni Ottanta la gente prendeva almeno due polli, e patatine a volontà.
- ...
- ad esempio, quattro porzioni per due persone.
- cavoli.
- sì.
- invece oggi?
- anche mezzo pollo. Per due. E una porzione di patatine per due.
- ah.
- è la crisi.
- già: è la crisi.

venerdì 26 marzo 2010

Cielo di Torino.



Cielo di Torino a due secondi di distanza. Ecco laggiù qualcosa di bello che arriva. Siamo sotto le nubi nere. Ma ancora per poco. Bella Torino in Primavera. Oggi mi sento anche io così. E buon week end a tutti! :)

Io, scrutatrice.

Come vi preannunciavo qui, domani inizia la mia avventura di scrutatrice: "un compito modesto, ma necessario e anche d'impegno", per citare Calvino.

Ne La giornata d'uno scrutatore. La storia è quella di Amerigo Ormea, "intellettuale comunista" che si impegna proprio in questa attività, nel 1953, all'interno di un "grande istituto religioso", il Cottolengo di Torino.
Questo è il libro al quale penserò molto nei miei tre giorni da scrutatrice e che rileggerò, se ce ne sarà il tempo, con grande attenzione. Intanto lo sfoglio qua e là, soffermandomi sulle frasi che avevo già sottolineato una volta.

"(...) altrimenti detto Piccola Casa della Divina Provvidenza - ammesso che tutti sappiano la funzione di quell'enorme ospizio, di dare asilo, tra i tanti infelici, ai minorati, ai deficienti, ai deformati, giù giù fino alle creature nascoste che non si permette a nessuno di vedere. (...) Era un'Italia nascosta che sfilava per quella sala, il rovescio di quella che si sfoggia al sole, che cammina le strade e che pretende e che produce e che consuma, era il segreto delle famiglie e dei paesi, era anche (ma non solo) la campagna povera col suo sangue avvilito, i suoi connubi incestuosi nel buio delle stalle, il Piemonte disperato che sempre stringe dappresso il Piemonte efficiente e rigoroso".

Queste frasi, inevitabilmente, mi rimandano a un periodo ormai lontano della mia vita. Avevo sedici-diciassette anni. Forse l'anno stesso in cui ho letto il libro. Quell'anno mi capitò un'esperienza che ho portato dentro di me silente fino a oggi. Frequentavo il liceo - una scuola religiosa. Nella mia scuola era prevista un'attività di volontariato nel corso del penultimo anno Per me: "la seconda classico". Noi scolari lo chiamavamo il "volontariato obbligatorio". A ciascuno veniva affidato un compito, un luogo in cui recarsi settimanalmente a prestare - appunto - questo servizio di volontariato. Non era in effetti poi così facoltativo, nessuno, se non ricordo male, rifiutava questa proposta. A me capitò - o fui io a scegliere, questo l'ho dimenticato - proprio il Cottolengo di cui racconta Calvino nel suo romanzo.

"L'istituto s'estendeva tra quartieri popolosi e poveri, per la superficie d'un intero quartiere (...)".

Vero. Il Cottolengo è una vera città nella città. Un mondo a parte, con le sue regole, le sue leggi. Capitai allora, in quanto ragazza, in un reparto di donne. Queste pazienti non avevano una diagnosi: erano semplicemente donne anziane, abbandonate dalle famiglie quando erano bambine perché menomate in qualcosa - cieche, sorde, mute, paralizzate - spesso tutte queste cose insieme. Loro, mi spiegavano le suore, erano cresciute lì e non conservavano alcun ricordo del mondo esterno.
L'impatto per me fu devastante. Non avevo mansioni difficili. Dovevo servire a tavola, stare con loro, aiutare eventualmente a cambiarle, fare qualche massaggio ai piedi o alle mani che dolevano. L'impatto. tuttavia, fu tragico. Perché non conoscevo, a diciassette anni, alcun tipo di sofferenza fisica. A scuola, ad esempio, non c'erano ragazzi disabili. Nella mia classe il tasso di salute e bellezza era strabiliante e l'intelligenza contraddistingueva ogni alunno quasi come un marchio di fabbrica. Per dire: io stessa, che ero "normale", proveniente da una famiglia "normale", certe volte mi sentivo "sbagliata", "inferiore" rispetto ad alcuni compagni di scuola contraddistinti da qualità di ogni tipo assolutamente al di fuori del comune. La malattia, nella mia classe, non ricordo nelle altre, insieme alla deformazione fisica restava ampiamente confinata ai margini, se non proprio fuori dalle mura della scuola. Quindi quell'immersione improvvisa nel dolore nudo e crudo mi destabilizzò a maggior ragione. Quando tornavo a casa dal mio pomeriggio (non ricordo se uno o due la settimana) da volontaria piangevo nella mia stanza per lunghe ore. Nulla riusciva a calmarmi. Le immagini delle signore mi ritornavano alla mente in classe, di notte, quando ero sovrappensiero. Mi sentivo non so come intimamente vicina a quelle donne, a quel posto buio, alla loro piccola mensa. I loro oggetti, i loro sguardi, l'alfabeto muto che avevo imparato per comunicare con alcune mi spezzavano l'anima. Per liberarmi da questo, avevo anche provato a scrivere un raccontino. Ingenuo e semplicissimo. Una specie di articolo di giornale. Parlavo di una paziente, Luigina. La sua peculiarità era quella di salutare facendosi una carezza sulla guancia. Ma forse ero io che scambiavo quel gesto automatico per un saluto. Non so più. Come non so più chi ero allora, chi era quella ragazzina così sensibile a quel dolore. E soprattutto non so nemmeno io perché ora sto scrivendo di questa cosa. Non ci avevo mai più pensato. Finito l'anno, per me era finito tutto. Invece, la suddetta implacabile memoria - nel suo fantasmagorico mistero - assorbe, registra e restituisce esattamente ciò che vuole lei. E il mio nuovo senso di responsabilità di oggi, di trentenne, mi dice qualcosa. Mi dice di farne qualcosa, di questi ricordi. Di usarli per capire meglio il presente, il mio presente. Le contraddizioni della mia e dell'altrui vita. Il senso di quella "esperienza". Il senso di quello che vado a compiere domani. Il senso in generale delle cose che si scelgono. E infine cerco indizi su come comportarmi in futuro quando i diciassette, ma anche i trenta saranno lontani - indizi su cosa fare, ma più che altro cosa non fare.

giovedì 25 marzo 2010

Leggere, leggere, leggere!

Ne avevo già parlato qui: quella di Leggere, leggere, leggere! è un'idea semplice, fresca, un po' salingeriana. Consiste nel regalare un libro a uno sconosciuto il 26 marzo, cioè domani. Avevo in mente di partecipare e sapevo anche a chi regalarlo. A uno sconosciut-conosciuto, soprannominato "Signore di Corso Trapani". Spero vivamente di incontrarlo domattina. Il libro che regalerò io sarà Alice nel Paese delle Meraviglie, dell'Einaudi. Per nessuna ragione, se non quella che ne ho due copie. E voi? Parteciperete? Con quale libro?

Esercizi di sopravvivenza/10.

Fare biscotti. Apparentemente inutile, questo esercizio si rivela invece provvidenziale. Soprattutto in giornate buie, piovose e londinesi. Quelli che vedete sono gli ultimi Biscotti allo Zenzero rimasti dell'infornata. La ricetta è super facile.

Ingredienti:


150 g di burro (io ne ho messo un po' meno perché l'ultima volta pareva di mangiare panetti allo stato puro)

farina q.b.
40 g di zucchero
3 tuorli
zenzero in polvere

Dentro la farina a fontana, mettere tutti questi ingredienti, comprese generose spolverate di zenzero. Impastare con grandissima allegria. Stendere la sfoglia - con il mattarello wow - alta 1 cm. Ritagliarla con le formine (vi ricorderà il Didò dell'asilo). Disporre le forme su una teglia ricoperta con carta da forno. Cuocere nel forno preriscaldato a 160 gradi per 20 minuti.
A fine cottura, aggiungere lo zucchero a velo.

Non vi dico niente, sappiate solo che tutto questo farà molto bene al vostro umore. I biscottini sono ideali per un tè con una cara amica o per una colazione in ufficio alla macchinetta del caffè. A volte la vita vale la pena anche solo per questo. Quando si dice: le piccole cose.

mercoledì 24 marzo 2010

Mai raccontare i sogni/18.

L'altro giorno sono entrata in una specie di centro-fitness-piscina-palestra-beautyfarm-eccecc. Non so nemmeno io perché, così per curiosare. C'era profumo di cloro e bagnoschiuma. Mi sono guardata intorno e sono uscita. Un episodio di un secondo. Un'inezia vera e propria. Di quelle cose che dimentichi subito. Che non hanno alcun senso. E invece questa notte ho sognato di ritrovarmi proprio lì. Succedevano un sacco di cose. Non me ne ricordo mezza. Ma il posto era quello. Senza ombra di dubbio.

Mi sorprende sempre il divario tra ciò che vogliamo ricordare e ciò che ricordiamo anche se non vogliamo.

martedì 23 marzo 2010

How to assemble an Ikea bedside table.

Eeeeeeeee. Vi erano mancate le nostre beneamate Lezioni di Economia Domestica?

A me non tanto. Però di fronte a certe necessità, esse, le lezioni, si rivelano molto utili. Ad esempio oggi vi sottopongo a una mission (im)possible. Ovverosia. Prendete il quaderno. Scaldate i motori. Rombo di tuono. Fulmini e saette. Scrivete: Come montare un comodino Ikea.

Ah, è semplice direte voi. Eh, no. Dico io. Approfondiamo.
Dunque, il comodino in questione si chiama Kullen.

Chi ha riso in ultima fila? Non fa ridere. Kullen è un nome normalissimo. Allora, fate i seri.
Questo Kullen voi ve lo portate in spalla fin sul pianerottolo manco fosse Anchise.
Cari i miei Enea del futuro. Cari i miei giovani-adulti. E fin qui, niente da dire.

Poi lo strascinate come un male oscuro fin dentro casa. E lì rimane, nella stessissima posizione, per un tempo eterno. Dopodiché il grillo parlante vi apparirà in sonno e così capirete che è ora di montare the comodino.

Ed ecco che incominciano i guai. Ora: questi sono i miei spassionati consigli. Sappiate però che nulla garantisce la riuscita della cosa. Questa operazione comporta le medesime difficoltà di una magia di David Copperfield (vedi foto). E voi siete gli illusionisti, non dimenticatelo mai, nemmeno il giorno in cui maledirete la Svezia e le sue proverbiali polpette all'aglio.


Procediamo:

1) mettere musica ad alto volume. Musica impegnata (De Andrè). Per raccontarvi di essere degli intellettuali consumati che si abbassano a montare mobiletti in quanto riscopritori di valori semplici, quali le cose fatte a mano and so on.

2) cercare concitatamente gli attrezzi che vi regalò vostro padre e non sapete mai dove si trovano (suggerisco: nello sgabuzzino o sul mobile del balcone).

3) manca sempre una vite. Perciò NON fare queste cose la domenica o la notte. Così potrete recarvi di buon grado dal ferramenta in tempo zero.

4) di fronte al ferramenta non dire cosa state facendo a casa. Altrimenti si metterà a elargire consigli non richiesti (se siete donne o maschi vestiti da giovani).

5) sentirsi gli allegri meccani.

6) pensare al dopo. A quando sarà tutto finito. A quando avrete il vostro comodino bello pronto. Pensare a quanto poco l'avete pagato. Pensare che per la stessa cifra in qualsiasi altro negozio non vi avrebbero dato nemmeno un'assicella di truciolato umidiccio.

E infine:

7) preparatevi un super caffè bollente, cantando "ah che bello u cafè, pure in carcere lo sanno fa" e ammirando il vostro capolavoro!

W Ikea forever and ever.

Signore di Corso Trapani.

Ehilà, eccolo lì in grande spolvero. Spunta come un fungo di Primavera. Non esistono? Lui è l'eccezione.

Dialogo tra me e me.

Brava Noemi. Brava brava. Resta alzata fino alle due del mattino. Stai stai. Stai sveglia fino a notte fonda a guardare i film di Bergman e Antonioni. A leggere romanzi che pesano tre kili, a scrivere allegramente al computer, a scrivere sul quadernino, a scrivere sull'agendina, a scrivere sui post it. A parlare dei massimi sistemi. Fai, fai il bucato mentre gli altri dormono, monta pure il tavolino di Ikea sotto il cielo stellato. Guarda, guarda la luna quant'è bella, come si specchia su una Torino così silenziosa. Stupisciti stupisciti che le persiane degli altri condomini sono tutte abbassate, che i pettirossi già canticchiano nei loro nidi. Sorprenditi sorprenditi di quante poche macchine passano sotto casa tua, di quanto sia assurdo tenere tutte quelle insegne accese. Dei semafori arancioni che lampeggiano.
Continua, continua pure così.

Ma se poi alle tre del pomeriggio ti aggiri strisciando per la città come un cadavere, se poi le tue occhiaie spaventano i bambini, se poi ragioni come una che ha bevuto sei bicchieri di Barbera a digiuno, se poi ti si chiudono gli occhi a pranzo, anzi già a colazione, eh bè: non venire a lamentarti con me. Non avrai la mia pietà. La vita è tua, fanne ciò che ti pare. Ecco. L'ho detto.

lunedì 22 marzo 2010

The Hurt Locker!

Ecco il film di Kathryn Bigelow, vincitrice del Premio Oscar come miglior regista (prima donna della storia). The Hurt Locker. La storia di una missione in Iraq vissuta dall'interno di una squadra di artificieri. Will James, il caposquadra dell'unità, subentra al suo predecessore, morto in un'esplosione. E così iniziamo a seguire lui e i suoi soldati nelle continue spedizioni di identificazione, ricerca e disinnesco di bombe conficcate un po' ovunque nel ventre del territorio di guerra. Sempre in uniforme, sempre armati fino ai denti, sempre sotto gli occhi muti, attoniti e feroci, gli occhi alieni degli abitanti del posto. In un deserto arido fatto di miseria e siccità.

Guardando il film si striscia a fianco dei soldati, si sanguina, si mangia la polvere, si muore di paura, si stringono violentemente i denti, si grida, si rischia di saltare in aria ogni momento e ci si nutre anche di quell'adrenalina che all'improvviso inietta lo sguardo di Will. Che lo porta via da tutto, che è l'unica cosa che conta. Che è la sua droga. Perché "la guerra è una droga" che crea dipendenza, che non smette mai.

Oltre alla perfezione delle azioni in sé, impeccabili, ricercatissime e sospese, intrise di dolore e insieme forza dilaniante, quello che colpisce è il rapporto sottile tra Will e i suoi soldati. Con il sergente Sanborn, in particolare, Will intreccia un sodalizio estremo di amore e odio, di bianco e nero, di luce e ombra. Questi due uomini è come se rappresentassero davanti ai nostri occhi l'eterno contrasto tra Natura e Cultura. Tra istinto e pensiero. Anche se, come in tutte le cose della vita, i piani poi si confondono, si compenetrano e il giudizio si rinvia, anzi non si formula proprio: né nelle intenzioni della regista, né in noi spettatori.
Superbo lungometraggio, da vedere, da non perdere!

domenica 21 marzo 2010

Letture domenicali+tazzinadicaffè.

Guardavo questo libro, Venuto al mondo, guardarmi dal comodino da un po' di tempo. Era così grande, così profondo, così verde che mi incuteva timore. Il timore di immergermi troppo e di provare un'emozione nuova e pervasiva. Sospettavo di trasformarmi in poco tempo nel bambino della copertina che in effetti si ritrova circondato da una mare trasformato in stanza dove i pesci sbucano e nuotano ovunque.
E invece poi l'ho iniziato e Margaret Mazzantini mi ha sorpresa perché si capisce dove vuole arrivare, al nocciolo di qualcosa di veramente molto importante, ma lo fa con gradualità, assecondando il lettore nelle sue ritrosie, nella sua diffidenza.

La tazzina allora è qui, con il suo caffè bollente. Apro finalmente il libro - che per me è uno dei regali più graditi del Natale passato. Ed entro un passo alla volta in questa scrittura precisa, chiara, una lente che permette di vedere il mondo, un mondo vasto e inesplorato. A metà della prima pagina:

"Esco sul terrazzo, guardo il solito. Il palazzo dirimpetto al nostro, le persiane accostate. Il bar con l'insegna spenta. C'è il silenzio della città, polvere di rumori lontani. Roma dorme. Dorme la sua festa, il suo pantano. Dormono le periferie. Dorme il papa, le sue scarpe rosse sono vuote".

E sono definivivamente dentro. E sono a Roma anche io. Ed è notte anche per me.
E sono pronta a partire ancora e vedere cosa succede.

Buona domenica a tutti e buona lettura!

sabato 20 marzo 2010

Tazzina-di-caffè bynight. XIA.

XIA. Torino. Via Parini 14. Chiuso il lunedì. Tel. 011542540

Questo è uno dei primi ristoranti giapponesi di Torino. Se penso che ci ho festeggiato il mio 18° compleanno, gulp nel lontano 1998, hmmm, mi piglia uno schioppettone. (in piemontese: sciupetun). Per questo, comunque, ma non solo per questo, a XIA sono particolarmente affezionata. Per me equivale - e chi vive in città fluviali capirà - alla classica passeggiata in riva al fiume. Una cosa un po' "Banana Yoshimoto", ma rende l'idea. Quando non si sa bene che fare o che pesci pigliare, si va lì al fiume, si cammina, ci si crogiola al sole anche in inverno, si respira l'aria e i pensieri prendono il corso dell'acqua.
E poi, certamente, il sushi. Ammetto di essere un fan storica del sushi e mi vanto di esserlo da tempi non sospetti, quando ancora non era di moda nemmeno a Milano. Modestamente. Ma tornando a XIA, oggi è tra i più economici giapponesi cittadini. L'atmosfera è calda e casalinga. Le cameriere, due di sicuro figlie dei proprietari, accolgono i clienti - specie quelli di vecchia data - con un'amorosa confidenza da trattoria. Vengono lì, chiacchierano, ti raccontano le loro avventure. Sono giovanissime e un po' agitate, quel tanto che mette anche un po' di tenerezza. Viene da chiedersi dove stanno durante il giorno, com'è la loro vita qui, native piemontesi con gli occhi a mandorla.

Alla fine poi offrono spesso e volentieri un regalino (questa volta: un paio di bacchettine di bamboo & wood) e il digestivo. Dicevo del sushi. Buono, onesto, rassicurante. Qui vige la regola del cuoco-che-ti-cucina-certi-piatti-davanti-agli-occhi. Ed è molto interessante. Ma è altrettanto bello raccogliersi in un tavolino discreto e chiacchierare. Perché nulla come il sushi, a parer mio, invita alla meditazione. Forse solo dopo il vino da meditazione o il tè da meditazione. Tè che prendo sempre alla fine di un pasto giapponese. Come menu, a me piace il misto sushi-sashimi. Me lo assaporo dalla testa ai piedi, chiudendo anche gli occhi e pucciando i pezzetti di pesce nella soia. Ieri sera però ho preso una variante all'avocado e un po' di maki: l'invenzione del secolo. Li trovo geniali. Mi piace questo modo di fare di tre diversi ingredienti - pesce, riso e alghe - una cosa sola, così piccola e così compatta. Mi pare una metafora di qualcosa che neanch'io so spiegare. Ma insomma, mi regala molta forza e serenità. La zuppa di miso completa l'opera di scaldamento di cuori e rinvigorimento di anime.


E buon appetito a chi legge!

venerdì 19 marzo 2010

Wishlist.

Ah che bella poltroncina. L'ho trovata
qui. Mi piacerebbe sedermici su, a leggere bevendo tazzine caffè a go go. Quando si dice circondarsi di libri. Fa sicuramente parte della mia lista di desideri.

Le ricette di Tazzina-di-caffè!

Scusate, non l'ho fotografato perché mai e poi mai e poi mai avrei immaginato che venisse così bene e prima ancora di pensare alla foto, era già finito. Comunque, ho preparato il risotto ai carciofi!

(Ne approfitto per invitare chi legge a utilizzare il più possibile verdura e frutta di stagione nella vostra cucina. Non sempre è possibile, però sarebbe davvero una buona cosa).


Ma torniamo al Carciofon!

Non so nemmeno io come ho fatto: dalle mie stesse mani (un tempo "di pastafrolla" e oggi da "regina dei fornelli") è uscito fuori un risotto ai carciofi "esagerato" come direbbe Renato Pozzetto.
Dunque, provo a descrivere l'ineffabile...

...prima ho pulito 4 carciofi - sfregiandomi un'unghia ma vabè - poi li ho tagliuzzati levando le "barbe" (ahahahah) interne e li ho ammollati in acqua e limone. (!)


Dopodiché ho fatto saltare una cipolla tritata in pentola e ci ho aggiunto i tocchetti scolati di carciofi. Dopo 2/3 minuti, ho aggiunto il riso (circa 4 /5 tazzine per 2 persone) e l'ho "tirato" (ahahahahah) con il brodo vegetale bollente. Ho sfumato una volta col vino bianco (Erbaluce di Caluso). Infine l'ho lasciato riposare per qualche minuto.

Et voilà!


Il carciofo è servito!
E che abbia inizio
il week end :)

Cielo di Torino.

Cielo di Torino, grigio-perla, che diventi Indaco, che diventi violetto, che diventi bianco. La tua bellezza è così bella, è così bella che si nasconde alla vista e appare quando vuole all'improvviso.
Oh, ti vedo con gli occhi chiusi, vivo la mia vita sotto i tuoi occhi aperti. Cielo grande, grandissimo, mi insegni la realtà che rinasce ogni mattina. Mi insegni cos'è il giorno e cosa la notte, moderi la luce, definisci le ombre. Sei così normale, sei tutto e sei niente, sei gli altri e sei me. Sei il passato, il presente. Sei il futuro. Sei una promessa mantenuta, sei l'azzurro e sei il nero. Mi insegni che io e te da soli possiamo andare in giro per la città. Sotto il sole e le stelle. E insieme alla luce forte della luna d'argento.





giovedì 18 marzo 2010

Cane?

Al ristorante cinese.

- cosa c'è per secondo?
- cane con patate...
- cane?

(e intanto il cane dei nostri vicini di tavolo - un cucciolo - abbaia come un ossesso)

- sì ca(l)ne con verdure.
- carne?
- calne calne.

Calma calma. Non siamo in un film di Fantozzi. Né tantomeno nel regno delle barzellette-che-non-fanno-ridere-sull'accento-degli-stranieri-che-vivono-in-Italia-da-trentanni-ma-come-don-lurio-non-si-degnano-di-imapare-correttamente-la-nostra-lingua.

Ci troviamo bensì più banalmente in un classico ristorante cinese. Dove ho pensato: qui tutto resta uguale da secoli, il tempo non lascia i suei segni, come in certi paesini di campagna.

teaser.

C----- di S-------

Freedom.

Pensavo a certi momenti della vita come una partita a scacchi. Uh che originale! Però è vero. E pensavo alla libertà di scelta. Cosa contraddistingue il campione di scacchi? La calma nella scelta. L'intelligenza della scelta. L'acuminata scelta. Muovo il cavallo o la torre? L'alfiere o la regina? Quando si perde a scacchi è perché invece si subiscono le mosse dell'avversario.

"Se vado lì, mi mangia. Se vado là, mi mangia. Se vado lì, mi mangia e se vado là è scacco al re"...

Così - prigioniero - muove il piccolo innocuo pedone e mestamente ricomincia la lunga attesa ticchettante della scelta del vincitore.

Eh no. Ciascuno ha il dovere di scegliere fino in fondo, davvero, realmente, con tutta la concetrazione del mondo. Il dovere e il diritto e il piacere di scegliere liberamente cosa diavolo muovere, cosa cavolo fare, che cosa pensare del re, dove scatenare la regina, dove mobilitare la torre, fin dove spingere l'alfiere. E che vinca il migliore.


Freeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee as a biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiird!

mercoledì 17 marzo 2010

Le ricette di Tazzina-di-caffè!

Ieri sera, di ritorno bel bella dalle mie girovagazioni bibliotecarie, ecco che apro il frigo:

- Help.
( con un filo di voce)
- Cosa?
- Help.
(un po' più forte)
- Chi parla? Who's speaking?
(poiché la voce risentiva di un pesante accento british)
- It's me. The Cavolo Cappuccio that you accidentally bought two weeks ago...
(sono io, il Cavolo Capuccio che hai inavvertitamente acquistato due settimane fa N.d.T.)
- Oh my Gosh!
- Please. (implorando) Cook me, cook me: RIGHT NOW.

Era agonizzante - poveretto - e pretendeva di essere cucinato a tutti i costi. Nello sconforto più totale, ho visto la luce ispirandomi alle geniali creatrici di Le ricette della fuffa e alla loro rubrica "scade oggi" (in questo caso: "scadeva molto tempo fa" ma who cares?). Ed è così che è nata questa piccola ricetta che vi propongo:

Fesa di tacchino (comprata al volo al supermarket) con Cavolo Cappuccio al vino bianco.

Ricetta per 4 persone:

5 fettine di fesa di tacchino
3/4 di Cavolo Cappuccio
vino bianco
sale & pepe
un pizzico di buonumore ;)

Fate sbollentare il (povero) Cavolo Cappuccio per qualche minuto, controllando che rimanga croccante. Nel frattempo tagliate le fettine a tocchetti e infarinateli.
Scolate il Mr C.C. e tagliate anch'esso a listelle. Fate ora saltare i pezzetti di Cavolo in una pentola con poco olio. Aggiungete il tacchino e mescolate sfumando con il vino bianco di tanto in tanto. A metà cottura condite con sale e pepe quanto basta.

Ed ecco servito il vostro piatto di emergenza! Il risultato è davvero buono, nonostante l'ingrata immagine...

martedì 16 marzo 2010

Un pomeriggio in biblioteca.

Eccoci. Come promesso qui, ho trascorso un pomeriggio in biblioteca!
Questa biblioteca si chiama Alberto Geisser e si trova, per chi è di Torino, in corso Casale numero 5 - Parco Michelotti (ex giardino zoologico).
Vi dico subito gli orari: lunedì: 15/19.45, martedì e mercoledì: 14/19.45, dal giovedì al sabato: 8.15/14.
Così, chi fosse interessato si può organizzare e non capitare a caso come me l'altra volta e trovare chiuso.

Cenni storici. Chi è Alberto Geisser? Cito dal sito del Comune di Torino:
"(Torino, 13 febbraio 1859 - Roma, 11 febbraio 1929), [...] banchiere e imprenditore svizzero, realizzò importanti iniziative filantropiche e socio-economiche, istituì biblioteche circolanti a Torino, e fondò il Consorzio delle biblioteche nel 1907".

E ancora: "La biblioteca nasce nei primi anni Settanta come prima biblioteca civica decentrata. [...] L'edificio in cui è collocata la biblioteca è stato costruito negli anni Cinquanta, come sede dell'Associazione provinciale Macellai: all'interno è ancora visibile una pittura murale che rappresenta il mito del bue Api".

A questa biblioteca si arriva tramite un percorso torinese che sembra studiato nei minimi particolari da Madre Natura per favorire la calma e la concentrazione. Se si proviene dal centro, si attraversa il Po (non a nuoto eh!) e ci si riconcilia con il mondo, specie nel pomeriggio tiepido di oggi in cui il sole filtrava l'aria fresca e inebriante di quasi-Primavera.
Entrando, salutati dal cinguettare di fringuelli, ci si immerge subito in una certa inconfondibile atmosfera rasserenante. Si sale al primo piano e ci si siede (sotto c'è lo spazio lettura per i bambini, le presentazioni e la fonoteca). A disposizione si trovano anche alcune poltroncine che fanno un po' salotto e un po' Barnes & Noble.
Ho preso posizione ed ecco i miei pensieri:

- in una biblioteca è molto importante la vista: di tanto in tanto il lettore stacca gli occhi dal libro e ha bisogno di vedere qualcosa di bello e appropriato per elaborare ciò che ha appena letto oppure per distrasi e pensare alla cena. Qui si vede una bella fontana zampillante e le case basse e bianche di corso Casale.

- in questa particolare biblioteca - dove ritorno dopo tanto tempo - I've memories. Ho preso decisioni importanti sulla vita, sul lavoro, sull'amore. Niente meno. Quindi tornarci mi emoziona un bel po'.

- mi sento leggera. Oggi sono una donna con la borsa in finta pelle di Biba, il giornale, un quadernino moleskine, una bic, una sveglia rosa appena comprata ancora nella confezione e soprattutto: un romanzo da leggere. Sì un romanzo. E non quei mattonazzi immani da studente. E non quelle astruse fotocopie zeppe della scrittura incomprensibile e autoreferenziale dei prof più insicuri. E non il liso portapenne. E non l'algido evidenziatore. E non la valigia pesantissima taglia-spalle. E non l'esame domani e non so niente. Guardandomi così tranqulla al tavolo con il mio agile romanzo da leggere, forse un tempo mi sarei "invidiata". Non per strane ragioni, ma per la libertà di leggere ciò che voglio. Direi che è valsa la pena di arrivare fino a oggi per vivere quell'attimo di spensieratezza un tempo sospirata.

- c'è un cagnone nero buonissimo che dorme ai piedi del suo padrone, uno studente di fisica. Questo povero cane dormiente di colpo si sveglia e abbaia con voracità!

- ci sono tante piccole librerie in stile Ikea, azzurre, ciascuna contiene libri divisi in macrotemi. Dizionari, scienze, vini, cucina, tecnologia, arte, pittura, musica, cinema, sport, letteratura, storia ecc ecc. Quindi pensavo: in biblioteca c'è tutto. Provate a immaginare questi mondi che si animano tutti insieme. C'è tutto. C'è l'uomo, c'è il sapere, c'è il domani.

- un cartello dice: "I lettori sono invitati a parlare a bassa voce e a spegnere o a silenziare (che bella parola n.d.A.) i telefoni cellulari". Questo per me è un invito a nozze. La mia voce è così bassa che le persone spesso fanno fatica a capirmi. Qui invece mi sento a casa.

- in biblioteca tutto assume una certa importanza. I libri prima di tutto. I dvd, le riviste, le sedie, i tavoli e le persone. Per non parlare dei bambini che sono protagonisti assoluti del mondo delle biblioteche. E anche io qui mi sento importante. Regina del mio pomeriggio e dei miei stessi ragionamenti silenziosi e "silenziati".

- posso leggere come voglio! Mi metto sovente una mano sulle labbra mentre leggo, ad esempio. Qui lo posso fare, nessuno si interessa a me e ne sono contenta. Al tempo stesso bisogna mantenere un certo decoro. Si è quasi costretti a capire ciò che si legge, e anche di questo sono contenta.

- in biblioteca vige la democrazia assoluta. Entra chi vuole. La cultura è gratis.

- a un certo punto sono cascata di sonno sul libro: il classico abbiocco. Non mi succedeva dai tempi dell'università. Sono sempre io! Ma sono anche quella trentenne del punto tre. Ma sono anche la bambina che sfogliava i suoi primi enormi libri pop-up colorati nel "laboratorio di lettura" della biblioteca del Parco Rignon. E un domani chissà sarò una mamma che ci porta i suoi figli. E poi chissà un giorno una vecchietta come quelle che si mettono qui a guardare gli atlanti e le riviste di cucina.

- il ritorno. Il profumo abbagliante giallo, celeste del tramonto. Le case che spargono il rosolare di bistecca impanata. Torino è bellissima e si mostra a quest'ora come un pavone. Mi bruciano gli occhi, cammino su una nuvoletta. Guardo la gente in bici, guardo la gente che scatta fotografie, guardo le macchine che riflettono il sole che scende vicinissimo a tutti noi.

lunedì 15 marzo 2010

La vita è fatta di scale.

Mostra di Gianni Colombo al Castello di Rivoli.
Qui le info, fino al 5 aprile.

Gianni Colombo è stato un importante uomo di ingegno, capace di sofisticate sperimentazioni nell'arte cinetica. Consiglio a chi può di visitare la mostra, è divertente e oltrepassa - per quanto mi riguarda - le più rosee aspettative.

E poi a un certo punto arriva quest'opera, che si chiama Bariestesie, Bariesthesias. Vi dico solo che per esperirla bisogna firmare una liberatoria e consgnarla ai custodi del museo, che vi osserveranno scrupolosamente durante la mini-avventura.
Qui ho capito il valore delle riflessioni di Colombo sul movimento, sull'esperienza diretta, sui punti di riferimento visivi e soprattutto psicologici.


"Ho scelto proprio la scala perché questa costruzione si connota come una condizione particolare ambientale anche di tipo emotivo".

"Cercavo la possibilità di inglobare questo tipo di sensazioni a livello di un'opera da fruire come un fattore emozionale e un fattore espressivo".

Così si legge nelle didascalie. Ed è tutto vero.

E poi inizia l'opera.
L'opera è una scala. Tutta sregolata, dove la discesa sembra una salita e viceversa. Dove lo spazio si inclina, il tempo un po' si dilata e infine, se succede come a me, arrivati in cima ci si pianta* e si teme di non poter più scendere. Ovvio: è pura suggestione, però una piccola vertigine la sentirete davvero.

Tutto questo mi ha colpita. Mi si sono arrossate le guance, mi si è accelerato il battito del cuore. Mi sono sentita toccata su un nervo scoperto. Perché questo è uno dei miei piccoli talloni d'Achille segreti. Il salire le scale. Ne ho paura. Ma più che altro faccio fatica ad affrontarle. Fingo che non sia così, mi tengo quando posso al corrimano, cerco di fare veloce per sentire meno la tensione. Le salite di scale mi preoccupano. Temo di ribaltarmi all'indietro, di perdere l'equilibrio. Cosa che puntualmente non accade. Mi limito a vacillare, per poi riprendere all'istante il ritmo e arrivare sempre a destinazione. Questa cosa infatti assomiglia a un brivido di freddo in una giornata di sole. Arriva, dura un tempo limitato, non se ne capisce il senso, e poi se ne va. Mi imbarazza un po' raccontarlo. Tuttavia lo scrivo, perché l'opera di Colombo sembrava messa lì apposta per me, per quelli come me. Ci ha chiamati, ci ha scovati e ci ha stanati.

L'arte, quando riesce a fare questo, a venirti a cercare nei recessi più assurdi della vita, della memoria, del cervello stesso, per come si è strutturato negli anni. Nei misteri più chiusi a chiave che ciascuno sigilla dentro di sé.

Non frequentavo musei e mostre da un po' di tempo. Avevo diradato le visite, dopo anni di frequentazioni molto assidue. Perché ammetto che mi sfuggiva un po' il senso di tutto questo gran darsi da fare.

Con Colombo mi sono riconciliata con l'Arte. Mica briciole! E ho ritrovato a piece of me proprio in cima a quella scala.

*ringrazio la a me molto cara persona che mi ha tenuto simbolicamente la mano per un nanosecondo.

domenica 14 marzo 2010

Letture domenicali+tazzinadicaffè.

La tazzina c'è, la lettura maestosa e imponente anche.

Personalmente, sto per partire per una gita! Dove, insieme ai panini e al succo di frutta alla pera, porterò questo immane libro. Sperando invano di finirlo. Si tratta di Infinite Jest del grandissimo David Foster Wallace. Cosa posso io aggiungere a questa pietra miliare della letteratura mondiale di tutti i tempi? Ben poco. Posso solo dire che - come spesso capita con i capolavori - questo non è un libro. Questa è un'esperienza di vita, di passaggio, di concezione assolutamente importante e da cui si torna diversi. Un mondo di cose, di fatti, di fantasmagorie brulicanti e intense. Volevo cercare una citazione per incorniciare questa piccola odierna rubrica. In Infinite Jest è quasi impossibile trovarla. La storia in sé comunica qualcosa, non tanto le parole messe in forma di insegnamento. Qui l'insegnamento è il leggere stesso. Inutile aspettarsi aforsimi o perle di saggezza. La perla è l'esperienza tout court. L'insegnamento non è dato, va ricavato nel nostro sforzo mostruoso di lettori. Bisogna essere piuttosto forti e solidi per superare lo scoglio di questa avventura.
Quanto a me: non sono che a metà strada.

Tuttavia, un mini-paragrafo da segnalare qui l'avrei anche trovato (anzi due). Dice molto sulla salute dell'arte e della società in generale. Dice molto sulla contemporaneità, sull'occidente, su di noi.

"Forse è perché gran parte delle arti viene prodotta da persone anziane annoiate e sofisticate, e poi consumata da persone più giovani che non solo consumano arte ma la studiano per capire come essere fichi e giusti - e bisogna tenere presente che per i ragazzini e per i giovani essere giusti e fichi equivale a essere ammirati e accettati e fare parte di un gruppo e quindi Non Essere Soli".

E ancora, più sotto:

"Ci viene insegnato come portare maschere di ennui e ironia logora quando siamo giovani, quando la faccia è abbastanza elastica da assumere la forma di qualsiasi maschera si indossi. E poi ci rimane attaccato, quel cinismo stanco che ci salva dal sentimento sdolcinato e dall'ingenuità non sofisticata".

Ecc ecc ecc. Buona lettura amici. Grazie caro David. Non fico, non giusto, Solo e senza maschere!

sabato 13 marzo 2010

Polizia!

9.30

- gneeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeec gneeeeeeeeeeec! (citofono)
- ...
- ...
- chi è? (stroppicciandosi gli occhi e domandandosi: chi è? dov'è? quand'è? Ma soprattutto: perché?)
- Polizia
- Come?
- Polizia Municipale.


No, tranquilli, non mi hanno arrestata per abuso di sostanze stupefacenti (caffeina) e uso illecito di caffettiere.
Il poliziotto alto 2 mt - con la pistola: che paura! - è venuto solo per dirci che...

...faremo gli scrutatori alle prossime elezioni regionali! Bello.

Ovviamente non sarò mai all'altezza di Calvino ne La giornata d'uno scrutatore, però prometto un personale e sincero resoconto dell'esperienza.

Stay tuned :)

venerdì 12 marzo 2010

Nuotare. To swim.

E io continuo a nuotare. A pensare molto. A vivere. Continuo a progettare qualcosa e a programmare qualcosa. E continuo a riflettere su qualcosa. Continuo a rendermi conto di qualcosa. Continuo a resistere. Continuo continuo. E poche cose mi potrebbero fermare. Anzi a occhio e croce: nessuna cosa. Ci provo, ci credo, lo faccio. Mi tuffo.

giovedì 11 marzo 2010

Addio. Goodbye.

Addio boiler sorgente dall'acque ed elevato al cielo [...]/Quanto è tristo il passo di chi/cresciuto insieme a te/se ne allontana!//*

Eh sì. Il mio boiler, per gli amici Sacaldabagno, quello che nella precedente lezione di Economia Domestica abbiamo chiamato per convenzione SB ci ha lasciati. Sono arrivati due signori - gli idraulici - padre e figlio - in anticipo di tre ore sull'orario stabilito - e se lo sono portato via così, sradicandolo violentemente dal muro. L'idraulico-padre, in trance, armeggiando con i fili gialli che egli stesso ha definito "la mia parrucca", ci ha tenuto a farmi presente, tra le altre cose, anche che quel rubinettino che vedevo lì, si quello lì che spuntava dal muro bisognava aggiustarlo: perché altrimenti poteva esplodere la casa. Capito? Esplodere-la-casa. Phew.




Vabè, per fortuna lo ha aggiustato seduta stante, spargendo per tutto il bagno un infernale odore di gas, che però a me un po' piace. E comunque non se ne parla più. "La prima cosa è la sicurezza", ha suggellato. E siamo tutti d'accordo.

Resta ora quel vuoto incolmabile. Fino a domani il bagno dovrà fare i conti con quel cratere di calcinacci e con questo mio senso di smarrimento generale. La soluzione migliore è allora uscire a fare una passeggiata, visto che è spuntato anche il sole. E domani è un altro boiler.

* versi liberamente tratti da I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.

"Mentana condicio".

Vorrei dedicare un chicco di caffè (altrimenti detto: mini-post) oggi a Enrico "Chicco" Mentana. Personalmente, non ho mai avuto un'opinione precisa su di lui. Lo vedevo tutto rigido alla conduzione di vari programmi e Tg e non pensavo a nulla in particolare. Poi invece l'ho ascoltato ieri sera - a Parla con me - e ho apprezzato molto la sua idea di proporre i "faccia a faccia" politici, attualmente oscurati in televisione, via web sul sito del Corriere della sera. Mentana condicio - Vietati in tv, liberi sul web, questo il nome del talk show on line che partirà oggi alle 15.30, in previsione della sfida elettorale del 28 marzo. Sul Corriere cartaceo, Mentana stesso presenta il progetto e conclude il suo articolo dicendo: "Chissà se dal male di un provvedimento poco lungimirante non nasca qualcosa di utile per tutti coloro che hanno a cuore il nostro mestiere e il valore dell'informazione...".

A me sembra un'ottima idea, e credo che Mentana sia una persona coraggiosa che ha saputo trovare i canali giusti per andare avanti con il proprio lavoro.

Così mi è venuta in mente un'intervista* che ho letto di recente a Gianni Amelio a proposito di Camus: "Ed è alla Storia che l'uomo deve dire no. Deve opporsi alla presunta ineluttabilità degli eventi. Questo è il messaggio di Camus, il suo umanesimo: la necessità di non rassegnarsi, rimanere se stessi sotto il peso schiacciante della Storia. Ecco, io provo a seguire la strada tracciata da un grande scrittore che è anche una grandissima persona".


Il link a Corriere.tv:
qui.


*sull'ultimo Venerdì di Repubblica.

mercoledì 10 marzo 2010

Esercizi di sopravvivenza/9.

L'inverno più lungo della storia dell'umanità mi fa riflettere su come sopravvivergli. Un'idea è la copertina Ikea. Questa copertina - ogni riferimento alla copertina di Linus è puramente casuale - io personalmente me l'avvolgo sulla schiena spesso e volentieri, anche solo per transitare da una stanza all'altra. Specie quando scende la sera e si spengono i termosifoni.

(Il mio scaldabagno continua a gocciolare. L'idraulico ha certamente di meglio da fare che precipitarsi qui ad aggiustarlo. E come dargli torto. La neve cade senza sosta. Attualmente non so "cosa mi aspetto dal domani". E non so neppure cosa preparare per cena. Quanti pensieri, quante riflessioni. Quanti dubbi, quante cose che credevo diverse. Quante novità, quanto passato già accumulato e quanto futuro ancora davanti a me).

Come esercizio di sopravvivenza, quindi, amici, la copertina direi che funziona bene. Sono certa che vi scalderà e vi proteggerà!

p.s. bene: ho appena saputo che l'idraulico arriverà domani SERA. A maggior ragione servirà la copertina, poiché mi si prospetta un'allegra doccia fredda! Evviva!

Scaldabagno. Water-Heater.

Stamane mi domandavo che ore fossero, chi io fossi, chi fosse l'altro misterioso abitante della casa, in quale continente mi trovassi, in quale stanza, in quale città, in quale pianeta quando un atroce ticchettio ha richiamato violentemente la mia attenzione nel bagno.

Era lui. Oggetto ingombrante. Giano bifronte. Croce e delizia. Monolite bianco. Scaldabagno dei miei stivali!!

Gocciolava senza pietà. "Perdeva". Piangeva davanti ai miei stessi occhi obnubilati. La neve fuori che picchiava quasi sui vetri. Che fare in questi casi?

Prendete il quaderno delle emergenze. Tema: Scaldabagno che gocciola. Svolgimento. Cosa fare quando lo scaldabagno (o boiler), che voi avevate sempre creduto essere una caldaia, o anzi per la precisione: un oggetto senza nome, senza identità, senza una funzione precisa bensì solo un marginale ruolo secondario di "addobbo da bagno" volutamente brutto e grosso per far credere a tutti che nel bagno in questione ci sono cose tecnologiche importantissime e piene di ingranaggi. Cosa fare quando quella specie di immane iceberg sopraelevato decide un bel mattino di marzo sotto una tempesta di ghiaccio di mettersi a gocciolare acqua sopra le vostre teste?
"Fare", innanzitutto, è inesatto. Non c'è niente che nessuno di noi possa fare. Specie se nato negli anni Ottanta. Ma anche gli altri. Per quanto ne sappiamo noi, lo SB potrebbe anche staccarsi dal muro, esplodere, volare, incendiarsi, alluvionare l'appartamento, sparire. Sicché il senso di impotenza è la prima cosa con cui scendere a patti. Successivamente: ecco le soluzioni fai-da-te che io SCONSIGLIO a tutti i miei allievi di Economia Domestica:

1) impacchettare con un lenzuolo lo SB come fosse un'opera di land art in stile Christo

2) inginocchiarsi al suolo gridando: "perché proprio a me!"

3) ignorare completamente lo SB

4) toccare qualsivoglia punto dello SB

5) parlare con lo SB. Esso non ha orecchie per intendere.

6) imprecare, deprimersi, odiare lo SB.

Ed ecco invece cosa consiglio:

1) mantenere la calma.

2) preparare lo stesso il caffè e berne una tazzina per schiarivi le idee.

3) schiarire le idee.

4) andare lo stesso al lavoro dopo aver collocato una bacinella o uno straccio sotto lo SB.

5) nel frattempo: chiamare l'idraulico.

6) aspettare fiduciosamente l'arrivo dell'idraulico come deus ex machina.

martedì 9 marzo 2010

In 6 parole. Six-Word Memoirs.

L'autobiografia. Ovviamente quella degli altri. Ma anche la mia, quando è necessario!

La vita umana è interessante, tragica, emozionante. I fatti degli altri mi riguardano. Ne sono così curiosa che a volte me ne vergogno. Da sempre vorrei domandare mille cose a chiunque, ma poi mi trattengo per paura di sembrare invadente. Facebook ad esempio mi piace, perché posso vedere cosa diavolo capita agli altri senza troppi sensi di colpa. Non sono costretta ad abbassare lo sguardo, a cambiare argomento, ad arrossire, a fare una certa faccia, a controllare come ho messo i capelli, a contorcermi le mani, a dire qualcosa di sensato a mia volta, a giustificare/perdonare/far sentire importante/assolvere/capire/ammirare/sminuire me stessa ecc ecc.

Certo, per molti questo è deplorevole. Un'arma a doppio taglio: il rischio-morbosità-asocialità-bla-bla-bla è dietro l'angolo. Tuttavia, questo è il mio bl(a)og: ho il dovere di essere sincera.

L'autobiografia mi appassiona incondizionatamente. Ci ho lavorato tanto per la mia tesi di laurea anni orsono. Appena esce un'autobiografia nuova in libreria, mi sento chiamata in causa come lettrice. Poi in realtà non riesco a stare dietro a tutte. E mi dispiace. Ne ho un bel po' arretrate che mi aspettano.

Ora tutto questo era solo per dire che ho scoperto un sito nuovo, che è una rivista, dove passare il mio tempo a leggere le storie delle persone in santa pace.
Si chiama Smith*. Il nome anglofono più universale possibile, come il nostro Rossi. Smith è una blog-a-zine (wow) che si basa sul fatto di scrivere le proprie memorie in 6 parole. Una sorta di twitter dell'autobiografia. Un progetto semplicissimo ed espanso, perché all'interno del sito potrete notare una quantità di settori paralleli (da quello base: Six-Word Memoirs a Six-Word Memoirs on Love & Heartbreak a Six-Word Memoirs for Teens), con tanto di contest, fumetti, T-shirt, libri, video). Naturalmente ci ho scritto anche le mie six words (in realtà twelve perché se ne possono mettere quante si vuole). Eccole qui

*cliccateci sopra: lo dico perché a volte qui su Tazzina-di-caffè non funzionano i link!

lunedì 8 marzo 2010

Signore di Corso Trapani.

Ed eccolo di nuovo lì davanti al suo portone. Ero in pensiero. Era sparito. Noto che ha sopportato di recente un intervento chirurgico. Il motivo evidente della sua assenza. Ciononostante. L'ho rivisto questa mattina. Camiciona a quadri bianca e blu. Cappello viola. Jeans (!). Sigaretta e accendino tra le dita. Mi ha guardata negli occhi. Ovviamente non immagina nulla. Ma mi ha davvero sorpresa. Quando tutto sembra perduto: di nuovo rispunta un germoglio. Ritornano le forze. Bene bene. Mi preparo una tazzina-di-caffè con la mia Mini-Bialetti. E bentornato Signore di Corso Trapani!

Ricette e blog!

Seguo due bellissimi blog di cucina. Mi piacciono molto e tutti e due forniscono ottimi spunti!

Uno è Le Ricette Perfette. Un blog molto carino, delicato e fresco. Gestito da tre amiche che sperimentano di volta in volta le ricette svelandone anche piccoli retroscena. Il risultato è sempre testimoniato da fotografie che rendono molto bene l'idea. Le ricette sono piacevolmente accessibili, comprensibili, buone pur non rinunciando mai a un tocco in più, a qualcosa di speciale! Brave ragazze :)

L'altro è Le Ricette della Fuffa. "Due case, due frigoriferi in cui si sente l'eco, due amiche (noi) alle prese con la mission impossible di preparare la cena nonostante tutto". Così presentano il progetto le creatrici del blog. E spiegano anche: "la fuffa è l'aria fritta, la capacità di far scena, ingrediente magico che mettiamo in campo per raggiungere l'obiettivo dello 'chef' con poco tempo e scarsi mezzi". Questo è un blog davvero strepitoso, che affronta con ironia l'annoso tema del "e stasera cosa cucino??". Condito però con vera sapienza, 500 g di humor e allegria quanto basta. Modestia a parte, tra i contributi dei lettori, oggi compare anche il mio: Gocce di rugiada filtrate da raggi di olio crudo e parmigiano (al secolo: la minestrina!).


Comune denominatore di questi due blog è la semplicità. Che insieme alla voglia di non prendersi troppo sul serio, con garbo e ironia, regala davvero momenti di (utile) spensieratezza!

Buon appetito e buona lettura a tutti!

domenica 7 marzo 2010

Letture domenicali+tazzinadicaffè.

Neve. Orhan Pamuk.

"Il silenzio della neve, pensava l'uomo seduto dietro l'autista del pullman. Se questo fosse stato l'inizio di una poesia, avrebbe chiamato 'silenzio della neve' ciò che sentiva dentro".


Questo è uno dei miei incipit preferiti in assoluto. Uno di quelli in cui mi sento - come lettrice - chiamata, descritta, accolta e invitata a leggere tutto, da parte dell'autore. Ma il libro mi ha definitivamente avvinghiata a pagina 25: "Ka era uno di quei moralisti convinti che non fare nulla per la propria felicità sia la più grande felicità".

Aiuto. Quando si dice: imparare dai libri... Con questo libro ho imparato a sentire la neve, il silenzio della neve, il bianco della neve, la tregua della neve, nelle ossa, nei muscoli e infine nell'anima, tra i pensieri che altrimenti si aggrovigliano sempre uguali. E ho imparato che sarebbe meglio fare meno i moralisti. E fare qualcosa per la propria felicità mi appare oggi un consiglio buono più che un tabù o un'utopia.

Ah. Dimenticavo: benvenuti al consueto nonché molto appassionante appuntamento domenicale con le letture di Tazzina-di-caffè. La tazzina c'è. Una tazzina blu trasparente. La lettura anche. La neve poi, fuori dalla finestra, che scende qui a Torino da ore, non accenna a smettere e, come dice la quarta di copertina della mia edizione Einaudi Supercoralli: "indifferente ai complotti, agli omicidi, all'odio e alle altre passioni umane, continua a cadere"! Buona giornata a tutti.

sabato 6 marzo 2010

Trapanare. Drilling.

Uh ma che bella mensolina! Proprio adorabile. Sospesa lì nell'aere, con tutti i suoi strucchioli impolv...ordinati e amorevoli che ci accolgono ogni giorno come un raggio di sole.
Peccato che per trasformare una semplice assicella di truciolato, in quell'altro delizioso oggetto di arredamento, sia richiesta un'operazione a dir poco complessa: il Trapanare.

Ora. Personalmente non so come si fa. Sono una maestra di Economia Domestica, non certo di Bricolage. Però so per esperienza che a qualcuno piace dilettarsi con questa utilissima attività.

Nel mio condominio, ad esempio, c'è chi non vi rinuncia per tutto l'oro del mondo. Perciò oggi ragazzi, allievi, scriveremo una lettera aperta ai condomini che fanno del Trapanare una ragione di vita.


Prendete il quaderno. Lettera aperta ai condomini sul Trapanare.

Cari condomini, vicini di casa, dirimpettai, sottostanti e/o sovrastanti. Sappiamo tutti quanto sia utile il fatto di trapanare al fine di rendere le nostre case più belle e accoglienti.

TUTTAVIA: farlo alle 8 - otto - del mattino del sabato è sbagliato. Dovreste infatti sapere che le persone nate negli anni Ottanta possiedono una concezione del sonno molto precisa. Quando non si va a scuola, lavoro, tirocinio, contratto a progetto, stage di 65 mesi, si dorme fino all'una, come oggi che è incontrovertibilmente SABATO. Questo è un diritto inalienabile del kidult di prima e di seconda generazione 2.0. So che per voi è cosa ardua rinunciare al trapanaggio, nonché a tutte le attività di contorno a esso correlato. L'insulto, la bestemmia, l'improperio, l'urlo disperato. Ciononostante noi alunni e insegnanti del corso di Economia Domestica chiediamo a gran voce di smetterla. E di praticare le vostre arti di trapanatori possibilmente in orari più civili e urbani. Ad esempio nel pomeriggio dalle 16 alle 18.


Grazie. Seguono firme.

venerdì 5 marzo 2010

Mamma ha preso l'aereo.

Ieri sera su La7 è andata in onda la seconda puntata del programma televisivo Mamma ha preso l'aereo. Docu-fiction o reality (controversa la definizione, a giudicare dal dibattito in corso su alcuni siti e blog ad esempio qui) che si propone di seguire le tappe di una vera adozione.
Dalla telefonata in cui l'Ente preposto annuncia ai futuri genitori l'effettivo abbinamento con il bimbo, al viaggio nel paese d'origine, all'incontro, fino al rientro in Italia. La prima puntata mi aveva colpita tantissimo. La storia della mamma Annalisa e della sua famiglia ha davvero smosso qualcosa dentro di me. Al punto che la notte successiva avevo proprio sognato di rivivere quelle stesse situazioni. La seconda storia, quella di ieri sera, mi ha invece un po' turbata. L'abbinamento genitori-bambina presentava, secondo me, alcune criticità.

Tuttavia, non saprei entrare nel merito sul fatto che sia più o meno giusto "filmare" le persone, soprattutto i bambini, in un momento così delicato della propria vita. Devo però riconoscere il valore emozionale e informativo del programma. Pur saltanto numerose procedure burocratiche (un'adozione in genere richiede anni di attesa), le telecamere hanno mostrato un evento di vita di cui si parla poco ancora in TV, in rete o sui giornali. Forse portato drammaticamente in risalto dopo la strage di Haiti, il tema dell'adozione è secondo me invece importantissimo. Trovo che sia un grande gesto di amore che una coppia decide di regalare a un bambino e viceversa, diventando insieme una famiglia, con tutte le difficoltà e le sorprese del caso.