lunedì 29 ottobre 2012

Lavazza: un'esperienza bellissima .


Un piccolo viaggio ai confini della città. Le Alpi bianche in lontananza. L'aria fresca e piena di luce.

Ecco il Lavazza Training Center: "Centro di formazione e diffusione della cultura dell’espresso italiano nel mondo". Per me, un piccolo sogno che si avvera. Circondata da amorevoli foodblogger, e dai gentili amici di Lavazza, credo di aver intravisto una ragionevole approssimazione di paradiso terrestre, come ho avuto modo di dichiarare anche qui. u.u

Una mattinata-colazione per visitare il Centro e per scoprire la cultura, la preparazione e l'innovazione legata al caffè: è stata una bella sorpresa. Ed è stato interessante apprendere che qui oltre a studi sui prodotti si lavora molto alla formazione su tutta la filiera e su corsi vari, ad esempio di assaggio!

Luigi Lavazza. La targa racconta la sua storia di imprenditore ma anche di persona che ha creato attorno al caffè una cultura  seria e molti saperi. Per Torino è un'istituzione vera.

Eccoci dentro. Oh che meraviglia.

Tazzine ovunque, per mia somma felicità.

Ci offrono una tisana. ;)

Se potessi far trasparire il profumo sarebbe ancora più bello.

Occhio a questo cucchiaino. Si chiama Espoon, dissolve lo zucchero ma non spacca la crema. Poesia pura. 

Occhio!

Lui è il simpatico e preparatissimo Marcello Arcangeli che ci ha guidati in questo magico mondo di bellezza.

In questo momento sta illustrando la Ecup. La trovate qui. Nasce da un'idea di Davide Oldani, insieme a Lavazza.

Ci credete al caso e al destino? In questi giorni sto leggendo questo libro, molto curioso e pop. 

Un luna park per me.

Un tavolo da degustazione.

God is in the detail.

E poi, di colpo, si scopre che saremo noi blogger a prepararci da soli la colazione. Dopo una lezione precisissima, panico. Tocca a me.

Questi sono i miei due cappuccini. Vabè, ho avuto un consistente aiuto. Ma raramente ho provato sensazioni così belle.  

Le cose fatte con piacere sono buone.

A lezione.

E a colazione.

Poi qui è iniziata la magia.

Questo è il caffè Espesso. Nato nel 2002 con Ferran Adrià. Il sapore è una spuma dolce ed è una cosa spettacolare da vedere.

Ed ecco il sublime. Caviale di caffè. Fa parte delle sperimentazioni e reinterpretazioni dei cibi e in particolare del caffè del creativo chef catalano. A metà tra il laboratorio di chimica e l'alta cucina. Ero senza parole.

Offerto sulle tartine dolci.

Chiaramente, è il mio giorno fortunato.
Le mie mani.

E questo bicerin in provetta? Caffè e cioccolato. Caldo più freddo. 

La star della colazione. 

Bontà in provetta.

Il grembiule.

Corridoi. 

Chicchi di caffè per degustazioni.


Grazie a Silvia Ferrata per questa foto. Una giornata che resterà sempre nella mia memoria, un'esperienza bellissima. Caffeinica, dolce, corroborante. E felice. 

domenica 28 ottobre 2012

Il pane e l'oro.


Un mulino.

Pane artigianale.
Riso oro e zafferano di Gualtiero Marchesi. Presa da qui. 
Panettone.

Flash Papers al #SaloneDelGusto
Ieri ero al Salone del Gusto/Terra Madre per #flashpapers. 

Gli stessi spazi che a maggio si riempiono di libri per il Salone del Libro, ora sono colmi di cibi e bevande e profumi. Fuori, vicino alla biglietteria, anche animali vivi, due asinelli.

Sono stati ospiti della nostra simpatica trasmissione Giancarlo Gariglio ed Eugenio Signoroni di Slow Food. Con Eugenio abbiamo parlato, tra le mille altre cose, anche un po' di Gualtiero Marchesi. Mi è tornato alla mente un ricordo d'infanzia. Un video di Gualtiero Marchesi in TV che cucina un risotto alla milanese. E fin qui. Ma poi, inaspettatamente, almeno per me che ero bambina, ci posava sopra una foglia d'oro. Oro vero.

Così, sono poi cresciuta negli anni a venire con il pensiero, chiuso da qualche parte del mio cuore, che c'è al mondo qualcuno che cucina oro. Qualcuno che lo mangia col risotto. Questo è uno strano pensiero. Un pensiero misterioso. Mangiano l'oro. Qualcuno da qualche parte mangia l'oro. L'oro entra e brilla e si deposita dentro di loro. Non male, non male.

Il mio bisnonno era un panettiere. Non ho mai visto la sua attività, perché il forno è stato chiuso e murato molto prima che io nascessi. Anche lì: io so, non l'ho mai visto, ma so; so che qualcuno, sangue del mio sangue, lavorava con le mani il pane. E lo vendeva agli altri.

Il pane, e l'oro. Tutti e due in un certo senso fanno parte della mia vita. Per lo meno di quella mentale.

Ieri vagavo allora tra questi stand, tra queste materie prime, questi bicchieri, e ascoltavo odori così buoni da commuoversi, da smuovere tutti i cinque sensi, anche il sesto, da pensare che la gioia fosse troppa, e ho temuto che sarebbe stato difficile tornare alla realtà.

(poi ho passato una piacevole serata nel canavese con fidanzato, tanti amici e un gatto certosino di bellezza e mitezza sovrumana, grigio-argento, occhi dorati, appollaiato sulle ginocchia, buono e paziente, insomma, è stato più facile del previsto, ce l'ho fatta, non preoccupatevi per me!).

Adesso però che sono qui a scrivere e a ripensarci, mi rendo conto di quanto tante volte poco abbia senso tutto il resto rispetto al pane, e alla meraviglia che è bello cercare in pensieri antichi e fuori dalle righe come un risotto fatto d'oro. Che mi sembrano due estremi opposti. Il pane è tanto semplice, quanto vitale. L'oro e la sua posa creativa sul riso sta invece lassù, nel cielo, nel mondo delle idee, dell'arte, di un incanto, di qualcosa di inafferrabile, che sta nella mia mente, mentre il pane serve per il corpo. Insieme, che esperienza complessa. Poi mi è presa un po' di paura. Mi sono chiesta: cosa ne è di me, adesso, visto che queste cose però appartengono al mio passato, e per di più al mio passato mentale

E insomma quanto mi sento triste vado a leggere qualcosa che c'entra con le mie radici, sempre mentali, ma sempre radici. Quindi: Baricco. Un pezzetto dei Barbari. Sulle "idee che non vogliamo smettere di pensare". 

"Un lavoro raffinato, una cura: nella grande corrente, mettere in salvo ciò che ci è caro. È un gesto difficile, perché non significa mai metterlo in salvo dalla mutazione ma sempre nella mutazione. Perché ciò che si salverà non sarà mai quel che abbiamo tenuto al riparo dai tempi ma ciò che abbiamo lasciato mutare perché ridiventasse se stesso in un tempo nuovo". 


Buona domenica a tutti quelli che in questo momento stanno ridiventando se stessi in un tempo nuovo.






sabato 27 ottobre 2012

A cena con Giuseppe Culicchia.


Giuseppe Culicchia, venere in metrò, Mondadori.
C'è una libreria a Torino che si chiama Golem Bookshop. Che conoscevo anche per un interessante corso di disegno di Ilaria Urbinati che si chiama Let's Draw! e se ci cliccate su vedrete una galleria di immagini così suggestive da rendere l'idea di che bellezza sia.

Questa libreria è proprio bella. L'ho capito ancora meglio ieri sera, partecipando a L'ibrida Cena. 

L'ibrida Cena è una buona idea: una cena vera e propria che lo chef Fabio Mendolicchio (che è anche direttore commerciale di Miraggi Edizioni, veste nella quale io lo conoscevo, ma devo dire che come chef mi ha incredibilmente sorpresa, è bravissimo, ma proprio bravissimo. Lo sformato di zucca con crema di gorgonzola mi ha destabilizzata per la sua delicata bontà, il boulgour di legumi e pollo alla curcuma mi ha commossa, vini ottimi, una degustazione di acqua aromatizzata di benvenuto, tante altre specialità, tutto fatto a mano, bio e filiera corta, sono senza parole) prepara  di volta in volta per gli ospiti di una libreria con la partecipazione di scrittori e musicisti e di lettori che vogliono passare una bella serata e ascoltare musica e l'autore leggere così di punto in bianco pagine dei suoi libri, come se fossimo a casa sua, e un po' forse è così, di sicuro lo è stato ieri. 

C'erano Josh Sanfelici, Roy Paci e Giuseppe Culicchia!

Ma non lassù su un piedistallo a parlare al microfono e poi svanire in una bolla di mistero. Oddio: la bolla di mistero c'è sempre un po', ma queste persone se ne stavano sedute in mezzo a tutti gli altri e a nutrirsi esattamente come fanno tutti i comuni mortali.

Una cena in mezzo ai libri. Con scrittori e artisti che leggono e suonano. 

Qui sta per sedersi Giuseppe Culicchia. Ovvero accanto a me. Ho letto la gran parte dei suoi libri, tanti ne ho regalati. Su Torinosette continua a raccontare le sue avventure e da poco è uscito il suo ultimo romanzo che è lassù con una tazzina di tisana, non grappa, giuro. Giuseppe Culicchia. Torino è casa mia, Tutti giù per terra, A spasso con Anselm, Il paese delle meraviglie, Ecce Toro etc. etc. etc. Santo cielo: Torino è casa mia: e sta per sedersi a dieci centimetri da me, con la ferma intenzione di restarci alcune ore. 

Fabio Mendolicchio, gente sorridente e laggiù Sara Lanfranco che mostra un libro e che lavora alla Golem ma fa molto di più, se ne prende proprio cura con amore e si vede e si respira davvero.

Le mani dello scrittore. 

Quello dietro la bottiglia in fondo è Roy Paci. Non ha cantato ma ha raccontato perché è a Torino in questi giorni. Per Terra Madre, guardate qui!

Ed eccolo qua. Nel suo inconfondibile e adorabile stile mod.
Ho tentato di fotografarlo e fargli domande come se non ci fosse un domani. Non è stato facile, perché in certi momenti sarebbe bello, e più semplice, stare a osservare senza parlare, ascoltare, percepire tranquillamente, capirci qualcosa in più della vita, di una persona che hai conosciuto tramite i suoi lavori letterari, ma il mio pensiero, qualche volta simile a una piccola dolce tortura, è sempre lo stesso: queste occasioni non capitano certo tutti i giorni. 

Giuseppe Culicchia comunque è speciale. Di una gentilezza vera. Più conosco scrittori più devo constatare che i più bravi hanno tutti una scintilla diversa negli occhi, e sono gentili. Meno sono bravi, più sono presuntuosi, è un fatto e potrei quasi trarre ormai questa conclusione. Lui ha raccontato della sua esperienza di lavoro in libreria (negli anni Novanta, io me lo ricordo come "quello bello", facevo le superiori e compravo i libri anche in quella libreria lì dove lavorava lui e che ora non c'è più, poi ha risposto a domande sulla sua attività passata di traduttore - in particolare di Fitzgerald, che splendore: ha tradotto Il diamante grosso come l'Hotel Ritz e altri capolavori - e infine anche qualcosa di suo e di bello, della sua famiglia). Dunque si è parlato normalmente del più e del meno. Mangia e beve, riceve telefonate e respira come tutti noi: chi l'avrebbe mai detto? poi però di colpo si metteva a leggere brani del suo romanzo. E lì scattava qualcosa di magico. Il libro è strepitoso: volutamente ci ha letto parti divertenti, molto divertenti. Spiegando però che c'erano anche risvolti meno spassosi. Insomma, come la vita. 

Simpatia tra commensali. 

Ahhh, Culicchia che risponde alle duemila domande dei commensali.

Il romanzo racconta la storia di Gaia, 38 anni, taglia 38, tacco 12, mamma di Elettra, milanese. Meravigliosamente milanese proprio dalla testa ai piedi. La sua voce è un fiume milanese di cose milanesi e stratosferiche e sceme e dirompenti, di meccanismi, di convinzioni, di parole in inglese, di marche, di personaggi famosi, di imprecazioni, di automatismi e di fragilità. Che mi ha fatto pensare a un mix esplosivo di Arbasino e Bret Easton Ellis ma con un elemento di tenerezza differente ancora. Perché in effetti è vero, come dice una delle frasi in esergo, di Miuccia Prada (ma c'è anche Simone De Beuvoir, don't worry!, che "per le ragazze oggi è difficile". Cavoli, è vero. Non solo per le milanesi, ma un po' per tutte. Comunque questo romanzo, da quel che ho ascoltato ieri, assomiglia a un brillante e ironico binocolo puntato sulla realtà, una certa realtà, che in gran parte pullula anche qui, nella rete, nel web, nelle nostre vite, nei nostri blog, nei forum, nei siti di ogni genere, nei giri di amicizie, da Ikea, su Cosmopolitan e dentro i nostri cuori. 

Adesso però voglio sapere come va a finire!

Quella a sinistra sono io. Quello che firma l'autografo, insomma, l'avrete capito, è effettivamente proprio lo scrittore torinese Giuseppe Culicchia.