domenica 31 ottobre 2010

Letturedomenicali+tazzinadicaffè.

Buongiorno! Sarebbe Halloween, anche se per me a essere sincera non è una festa così sentita, quando ero piccola io c'era solo il Carnevale etc. etc. Ma è pur vero che le città sono ormai tappezzate di vetrine e feste e cartelloni e zucche e riferimenti alla celebrazione dei fantasmi e delle streghe ---> Così è di queste ultime che vi volevo parlare.

"Nelle fiabe le streghe portano sempre ridicoli cappelli neri e neri mantelli, e volano a cavallo delle scope. Ma questa non è un fiaba: è delle STREGHE VERE che parleremo. (...) Le vere streghe sembrano donne qualunque, vivono in case qualunque, indossano abiti qualunque e fanno mestieri qualunque".

Forse avrete capito che la letturadomenicale di oggi riguarda uno dei più famosi capolavori della letteratura per bambini, Le Streghe, di Roald Dahl. (Grazie Ilaria per avermelo ricordato qualche mese fa :). Questo piccolo romanzo illustrato - nell'edizione Salani - è ambientato a Oslo e guarda al misterioso, spaventoso, mostruoso, orrorifico mondo delle streghe che si nascondono tra di noi, con gli occhi di un bambino sfortunato che resta solo con una saggia ed esperta nonna norvegese.

Attenzione perché questo è davvero un libro appassionante e thrilling, anche per gli adulti. Così rivelatore, così utile - è anche un po' un manuale di sopravvivenza per chi, tra i bambini, preferisce non essere trasformato in topo - a capire chi si nasconde dietro certe signore un po' fastidiose e moleste ma solo all'apparenza innocue.

sabato 30 ottobre 2010

Wish Tree.

O albero dei desideri. Si tratta di un elemento comune a molte culture: è una pianta su cui si appendono foglietti contenenti i propri desideri. Trovate qui qualche informazione in più. Ad esempio Yoko Ono ha fatto del Wish Tree uno dei suoi "temi" artistici: qui i suoi pensieri al riguardo.

Dunque questa mattina mi sono svegliata con delle preoccupazioni, dell'ansia generalizzata, una paura, antica, persistente. Allora ho deciso di prendere le distanze da tutto questo e costruire il mio wish tree virtuale e di dividerlo con voi che leggete tazzina-di-caffè.

Oggi partirei con tre foglietti. Immagino di disporli uno per uno sul tavolino, stappare la penna, mordere il tappino pensandoci. Pensando a cosa desidero, pensando di desiderare per vincere la paura di noi umani della vita, la paura della vulnerabilità. E inizio a scrivere.

1) leggere tutti i libri che vorrei.

2) riuscire a scrivere qualcosa di importante per me e per gli altri.

3) avere coraggio, saper ignorare i momenti in cui vengo sopraffatta dalla paura.

Poi li lego con un cordino di stoffa, salgo le scale e li appendo ai rami del mio albero-dei-desideri.
Se avete qualche wish da esprimere, oggi questo è il posto giusto, don't be shy!

venerdì 29 ottobre 2010

Cena brasileira.

E così ieri sera, ero a una cena brasiliana. Un composito gruppo formato da due allegri e diafani piemontesi (noi) e cinque fieri e spensierati abitanti di Pelotas (quattro donne e un uomo). Quanto a me, non sapevo quasi niente del Brasile e ancora meno dei brasiliani. Tranne le solite banalità che sanno tutti (il cacao meravigliao, la saudade, il calcio). E invece in poche ore ho scoperto che i brasiliani, o per lo meno quelli che ho conosciuto io:

1) danno tre baci partendo da destra e non da sinistra come noi. lascio immaginare il continuo cozzare delle fronti.
2) se la prendono comoda, sono molto, molto tranquilli & rilassati.
3) tutto quello che si dice sulla saudade corrisponde a verità.
4) cucinano benissimo e fanno il piatto unico, tipico in effetti delle Americhe.
5) hanno un'economia in espansione.
6) adorano il vino.
7) festeggiano il Natale con 40 gradi all'ombra e ne sono felici.
8) sono mooolto gentili e dolci e premurosi.
9) vantano una letteratura piuttosto ricca che giunge a noi solo in piccolissima parte (tra le mani ho un prezioso foglietto pieno di nomi di autori che mi ha regalato una ragazza very colta e sapiente).
10) ridono ogni tre secondi, ma di colpo si incupiscono anche, mostrando la gamma delle emozioni decisamente più di noi.
11) non badano alle formalità.
12) amano cantare.
13) la musicalità della loro lingua (difficile) ti entra dentro, sono abili oratori.
14) sanno perché il Brasile si chiama Brasile e conoscono il significato della scritta sulla loro bandiera.
15) per loro lavare la teglia del dolce dell'ospite* porta sfortuna.
16) hanno una spiccata predilezione per le auto Fiat.
17) il pollo lo chiamano Frango (così finalmente ho espiato il senso di colpa che mi attanagliava a causa del mio defunto gatto "Cinzio").
18) scherzano di continuo e si danno reciprocamente del "burlone".

Uscita dall'appartamento, avvolta dai fumi del gelo piemontese, ero così contenta, così riconoscente alla varietà, alla sconfinata scala di colori che sa offrire un bel giorno e di sorpresa la vita, alla tenerezza delle storie personali di ciascuno, dei loro tic, delle tinte dei capelli, delle scarpe, dei vestiti e addirittura della differente percezione del caldo, del freddo, della stanchezza (cansei) e dell'amore.


* per il dolce - una torta cioccolato&pere - ringrazio le amiche di:
Le ricette perfette da cui ho preso spunto e ispirazione. Anche se l'ho un po' sbruciacchiata, i brasiliani hanno molto apprezzato :)

giovedì 28 ottobre 2010

Lyn.

Ha un vetro da portare. Gliel'ha dato il suo capo in fretta alle sei e mezza. E Lyn ha strozzato un pensiero: "piano che si rompe". A metà strada sente le dita perdere un po' di presa e il vetro scendere di qualche millimetro giù dai polpastrelli. Il freddo, di cui fino a ora non si era accorta, le entra nelle ossa. Lyn ha uno sfogo sui polsi, piccole macchie simili a puntini che appaiono sempre dopo la doccia, specie all'alba, quando il contrasto caldo-freddo è più potente.

A questo punto Lyn sente il cuore accelerare molto, ha paura di non farcela. Che il vetro caschi per terra ma soprattutto della reazione del capo. Che è sempre aggressivo con lei, non la considera una persona, in generale lui fa fatica a vedere le donne come persone, non s'immagina - pensa Lyn - che anche noi abbiamo un'intelligenza e che possiamo sbagliare, che ci può scivolare il vetro, soprattutto adesso che piove.

Ma quest'ultimo pensiero è un detonatore troppo forte e il cuore vuole uscirle dalla gola. Così decide di fermarsi. Di fronte al bar di Corso Trapani, si sente il calore e il profumo di croissant e caffè che le arriva fino al collo, sembra una sciarpa. Qui si calma. Si accende una sigaretta. Pensa che dovrebbe smettere di fumare, ma lo farà poi un giorno, quando sarà grande, visto che ha solo diciassette anni.

mercoledì 27 ottobre 2010

Castagna.

Elisa la chiamavano sempre Castagna, perché in effetti, ma non bisognava dirglielo dato che si offendeva, assomigliava molto a una castagna. Guance tonde con gli zigomi alti, una pettinatura ovale e a forma di cuore, carnagione scura, occhi: castani, capelli: castani.

Castagna si sentiva giù. Ma era un "giù" molto peggio di quel che si può immaginare per una ragazzina di seconda media. Non era giù come quando i maschi le tiravano le castagne sulle gambe nell'intervallo, perché lì alla fine non le facevano niente, era solo per scherzare. L'altro era un giù più strano, qualcosa che le faceva sentire male dentro, come un'acqua fredda nella pancia, ma poi una volta dal dottore non era mai niente. In classe ad esempio non ci stava volentieri. Mordeva le asticelle di gomma degli occhiali, durante la lezione. E poi all'improvviso: quel male. Alzava la mano e diceva: "mi scusi professoressa, posso andare in infermeria?".

E nell'infermeria c'era una signora che le preparava il tè caldo, lo metteva in un bicchiere colorato. Sul lettino, Castagna si sdraiava e fissava il soffitto. Vorrei, vorrei. Pensava in silenzio. Vorrei essere in cortile, essere un gatto, andare a casa a guardare la televisione, vorrei essere a un parco acquatico, vorrei essere grande, oppure piccola, più piccola di così, vorrei non essere una castagna.

Una volta cresciuta, Castagna era solo più Elisa. Si sentiva meglio.


martedì 26 ottobre 2010

Signore di Corso Trapani.

Camicia a quadri, mocassini, pantalone verde, bastone. Capelli un po' più cotonati di quel che ricordassi. Pulito, riposato, debolmente solido. Occhi celesti, sguardo sperduto, aperto su tutto e su niente, sulle scocche delle auto, sulle foglie che cadono, sul'acqua che scivola sul cemento. Eccolo, è sempre lui, dopo quattro mesi, il Signore di Corso Trapani. Nella pioggia fredda di ieri, nel grigio delle nove del mattino, ho intravisto da lontano la sua sagoma configurarsi come un rilievo del solito portone. Incurante del primo gelo, senza giacca né ombrello, stava lì in piedi con la sua sigaretta appena accesa.

Questa volta però ho come avuto l'impressione che mi riconoscesse davvero e indulgesse a lungo a una specie di faccia-da-rimprovero. Non rimprovero, più uno stupore secco e addirittura benevolo. Come se volesse dirmi: "cosa ci fai di nuovo qui?!" E poi ancora (ma è ovviamente tutto nella mia testa): "questo, credo, non è più il posto per te, cambia strada". Quindi la tenerezza del rivederlo si è confusa come in un alone di luce gialla-azzurra e rossa del semaforo con il pungolo, il dubbio, la complessità del suo sguardo, della mia surreale/ordinaria/sospesa/multiforme/ esistenza. Camminavo in effetti verso un lavoro che ho rincorso per quattro mesi come un segugio, per un contratto che si è rivelato più breve dell'attesa stessa (sic.). E non ne sono neanche rimasta delusa, perché "è meglio di niente" e la verità è invece che non sono mai stata capace di chiedere di più da me e dalla vita fino a ora e così questo è solo il culmine di tanti anni in cui le mie facoltà erano come rallentate e sabotate da altre grosse incombenze mentali, come un'auto che deve trasportare un carico pesante, inevitabilmente va piano, si inceppa. Ma adesso.

Ci sono cose che bisogna imparare a lasciarsi alle spalle. Pensavo che ho davvero voglia di cambiare e di consegnare per lo meno questo desiderio a questo piccolo spazio di blog.

Forse è il momento giusto, lo spero, il Signore di Corso Trapani ne è praticamente sicuro. Vorrei guardare le cose con i suoi occhi, capirci di più, avere ragione e incidere ed essere a little bit more rilevante e smettere di pensare che tanto io posso/devo rinunciare alle opportunità belle e importanti di default e votarmi all'abnegazione, all'evaporazione obbligatoria delle mie stesse capacità. Ecco. Ora che l'ho scritto, dovrò invece tenere fede a questo difficile proposito. E cercare in questi giorni che mi ri-separano dalla scadenza del nuovo contratto di vivere in un altro modo, di cercare qualcosa di davvero nuovo. Non sarà per niente facile, ma i blog alla fine servono anche a questo.

:)

lunedì 25 ottobre 2010

Venerdì, sabato, domenica.

Premessa: da dopo questo week end nelle Langhe, è come se avessi disegnato sulla bocca un sorriso costante, tipo quelle incrinature che si formano sui dolci cotti al forno. Vi è mai capitato? Spero di sì, e lo auguro a tutti. Due giorni di cose belle, ozio e real happiness.

Venerdì. Partenza. Piccola cena all'Autogrill. A chi non piace l'Autogrill? Chi non ha mai fantasticato in questo non-luogo immerso nel deserto, con le sue regole e i suoi sapori sempre uguali. Lì, nel mezzo del nulla, paradossalmente inizia tutto. Prende forma l'avventura. Sorge, come un ruscello giovane, il nuovo corso di pensieri, associazioni e rivelazioni. Quindi via.

Sabato. Una colazione con gli occhi ancora morbidi di sonno, dopo la doccia più lunga del mondo, sotto la quale stavo per riaddormentarmi sognando caramelle e colline alberate. Una colazione ricca, con il caffelatte, il croissant al cioccolato, il panino con la marmellata e il succo d'arancia - che a pensare al mio caffè in piedi in cucina rimango perplessa. E poi eccoci a Barolo, al WiMu, il Museo del Vino. Aperto da pochissimo (il 12 settembre), questo fantasmagorico percorso nel vino raccontato da mille prospettive diverse fa sognare. L'allestimento è a cura di François Confino, lo stesso del Museo del Cinema di Torino, e in effetti si riconosce lo stile.

I colori intensi, l'attenzione a ogni minimo particolare, e soprattutto l'interattività: questa è proprio un'immersione nel vino, ci si entra con tutti i sensi e si dimentica davvero il mondo fuori per la durata della visita - si azionano manovelle, si pedala, si ascolta musica, ci si siede al cinema, si sbirciano discorsi altrui, si ha paura del buio, ci si scalda alla luce. Un sentiero elegante di voci e suoni e notizie ed emozioni che intarsiano gli occhi e la mente, aggiungendo una nuova piega all'intrico già fitto del nostro cervello: l'area del vino! Da non perdere la sala delle quattro stagioni, e quella della luna, tra le più suggestive, ma non vi dico di più per non togliervi la sorpresa. Alla fine del tragitto, la possibilità di degustare il barolo vi risulterà inevitabile: la mostra vi porta lentamente lì lì lì come in punta a un trampolino e poi voi vi tuffate beati nel calice, remando con un grissino (che qui come in tutto il Piemonte è buonissimo, croccante, friabile). Quel che si dice è vero: barolo=vino da re e re dei vini.

Dunque vi ritrovate con il vostro bicchiere tra le dita: "rosso granato con riflessi arancioni (...) austero ma vellutato, armonico..." copio le parole che ascolterete nell'ultima sala dove un bonario prof virtuale (occhio all'accento, neh) vi dirà anche che "il barolo non si spiega, ci si accosta" e che il nebbiolo molto probabilmente ha a che fare con la nebbia: non tarderete ad accorgervene. Per il resto del tempo abbiamo girovagato ebbri per la cittadina inerpicata ai piedi del Castello, il profumo di uva e brasato ci ha seguiti fedelmente fino a Neive, che abbiamo visitato in notturna.

Domenica. La casa natale di Cesare Pavese, il Centro Studi e la casa del suo amico Nuto. La vita, la storia, i romanzi, l'amore, la morte, il male e il mestiere di vivere, gli occhiali tondi, la stilografica, il paese, l'alluvione del novantaquattro, la poesia, il vino, le parole. Le parole che Pavese inventava, i suoi glossari, la stanza fredda in cui è nato, quella caldissima in cui si è tolto la vita con i barbiturici. Torino, Roma, Santo Stefano Belbo, il fiume dove gli piaceva nuotare, l'Einaudi, le lettere, la lettera di Natalia Ginzburg, l'Antologia di Spoon River, la sua collaborazione con Topolino (!), la stazione, la guerra, il fascismo, il comunismo, l'America. Tutto il suo mondo sulle pareti sbreccate di un piccolo edificio di fronte alle colline lambite dall'autunno. E poi dopo questo smottamento dell'anima, ancora una deviazione veloce a Govone. Altro stupendo castello, residenza estiva dei savoia, e simpatici attori travestiti da regnanti ce lo hanno raccontato stanza per stanza. E infine altra degustazione di Moscato, che in quel freddo, sotto "stormi di uccelli neri com'esuli pensieri nel vespero migrar", in una quiete domenicale senza precedenti, ci stava bene.

L'autunno. Su un quadernetto ho segnato i colori, perché non me la sentivo di limitarvi la prospettiva al solito giallo-arancio. Marrone, verde bottiglia, amaranto, nocciola, bordeaux, verde militare, vinaccia (!), prugna, melanzana, ocra, rosso fuoco, viola, barbabietola, ambra, asparago, avorio, biscotto, azzurro savoia (noblesse oblige), bronzo, castagno, camoscio, crema, granata, ardesia, kaki, limone, lime, malva, sabbia, oliva, oro, ottone, rame, porpora, mattone, rosso veneziano, scarlatto, seppia, terra di siena, turchese, verde marino, verde muschio, ebano, vermiglio e verde smeraldo.
Solo per citarne alcuni!

Oggi. Chiaramente potrei dire, qui di fronte alla tazzina di caffè, rieccoci alla routine ma sarebbe poco vero, perché questi scenari ormai sono incendiati dentro di me, simili a falò, e così restano composti come diorami perfetti della memoria.












domenica 24 ottobre 2010

Lunedì.

Questo week end è stato sognante, dolce, color rubino.

Adesso sono ancora un po' come sospesa in una nuvola di immagini, sensazioni e nebbia, vorrei raccontarvi tutto bene al più presto in un post illustrato!

Santo Stefano Belbo, Barolo - il Museo del Vino - WiMu, Neive, Govone. E il Centro Studi Cesare Pavese, la Biblioteca, i tajarin, le vigne, tutte le tonalità del giallo, il profumo di legno e vite, il cielo bianco, la luce bianca, la colazione, jazz e sleepy sun come musica in effetti di questo docile autunno.

Nel frattempo, un piccolo aggiornamento: domani mattina (lunedì), torno al mio cosiddetto "lavoro del mattino". Sarà forse per un tempo piuttosto breve e l'attesa la si potrebbe gentilmente definire kafkiana. Tuttavia sono contenta. E poi continuare a scrivere e lavorare da casa al pomeriggio è così importante per me che "vorrei potesse non finire mai" e penso che dunque continuerò in un ineluttabile moto perpetuo a perseguire questo obiettivo - speriamo in bene.

Quindi domani mi sveglio presto! Cosa che non ho mai smesso di fare a pensarci bene. Si può essere agitati per un fatto del genere - tipo primo giorno di scuola? Non penso. Non so. Mi pare un po' assurdo, eppure stasera mi sento come questo albero arancione qui sotto e mi si chiudono anche gli occhi. Forse ho ancora un po' di barolo nella mente, tra i denti

:)

Così: buonanotte a tutte le guance che tra poco sprofonderanno in morbidi cuscini freschi e a domani con il tour delle Langhe e Monferrato.




venerdì 22 ottobre 2010

Letturedelweekend+tazzinadicaffè.

Fortuna vuole che domenica sarò a fare un bel giretto nelle Langhe :) Così volevo anticipare l'appuntamento con le letturedomenicali più tazzinadicaffè.

In questi ultimi giorni dovete sapere che sono stata molto impegnata nell'arte dello stirare vestiti. E a me piace svolgere questa attività ascoltando la radio. In particolare un programma di Radio 3 in cui si leggono libri Ad alta voce, che è anche il titolo della trasmissione. La lettura in corso è La vergine nel giardino, di Antonia S. Byatt. Di questa scrittrice inglese io avevo letto solo una raccolta di racconti: Le storie di Matisse e un racconto singolo intitolato Zucchero.

Mi è piaciuta molto, per la sua acuta, acutissima introspezione psicologica, per il suo stile corposo e visivo, tanto da assomigliare a pennellate di colore (nei suoi libri la pittura è molto importante). Dunque stirare ascoltando questa lettura è stato piuttosto interessante, a rischio bruciatura camicie.

Così ho pensato, anche in occasione della recente uscita in libreria del suo ultimo romanzo Il libro dei bambini, (da non perdere lo speciale di Anna Nadotti sul sito einaudi) di proporvi per questo week end la lettura del seguito della Vergine nel giardino, dove ritorna il personaggio di Frederica Potter: una ragazza che diventa donna negli anni Cinquanta all'università di Cambridge. Si tratta di Natura Morta, editore Einaudi. Sono solo all'inizio, ma a me pare già valga la pena affondare gli occhi un questo mondo complesso, dove si cresce e si cambia:

"Alexander non dubitava che Frederica sarebbe venuta. Aveva perso l'abitudine di arrivare in ritardo, la vita le aveva insegnato la puntualità, forse la sollecitudine".

Allora buon we e lettura a tutti.



Risvegli bianchi.

"Risvegli tristi, risvegli strazianti (di tenerezza), risvegli bianchi, risvegli innocenti, risvegli pieni di sgomento (Octave si risveglia da uno svenimento: 'A un tratto gli vennero in mente le sue sventure: non si muore di dolore, altrimenti egli sarebbe morto in quell'istante')". *

Risvegliarsi un mattino di ottobre, certo è una cosa abituale, con tutte le cose da fare, le cose da mettere a posto, da costruire, da modificare, da comprendere e ritagliare come contorni nella nebbia. Comunque a me sorprende sempre l'ostinazione di certe cose. Di certi piccoli prodigi.

Ad esempio un ordinario bocciolo di fiore ("san carlino", come dire "soriano" per i gatti, credo) trascuratissimo, una specie di sopravvissuto all'incuria, cui mi ero anche dimenticata di dare il concime, che adesso, in pieno autunno, quando tutto teoricamente muore, o per lo meno avvizzisce, raggela e si arresta in previsione del lungo letargo invernale, decide invece di provare a sbocciare --> micropetali striati di rosa, che mi hanno un po' sorpresa appena sveglia, in questo risveglio bianco, quasi come se le cose di ieri, l'altro ieri, e delle settimane e mesi e anni passati si fossero diradate in un'inconsueta alba fredda, misurata.












* Frammenti di un discorso amoroso, Roland Barthes - Stendhal

giovedì 21 ottobre 2010

Carlo.

Fa il macellaio da sempre. Il padre gli ha insegnato il mestiere quando ancora non arrivava con il naso al bancone. Vedeva le gambe del genitore come zampe di elefante, ondeggiare a destra e sinistra e le voci delle madamine rimbombare nel marmo bianco-grigio-gelido del negozio. Era una cosa molto seria. Gli piaceva il rumore del coltello che spariva nella carne rossa e morbida, la migliore di tutto il Piemonte, così almeno si diceva nel quartiere. Giocava con le teste d'aglio appese a un chiodino sulla parete a destra, dove sua madre si alternava al fratello maggiore per la cassa e le spezie e i consigli sulle cotture, sempre in favore delle madamine e dei mariti borbottanti sulla soglia. "Quello lì è per tenere lontane le streghe?" gli chiedeva qualche nonnetta vestita di nero puntando il dito bitorzoluto verso lo spicchio lucido, profumato. E Carlo scappava nel retrobottega in preda al terrore. Abbracciava il cagnolino nero che tremava di freddo col muso umido.

Adesso la macelleria è tutta sua. Ha fatto delle modifiche, ha messo dei computerini che mostrano le foto delle carni cucinate, ha messo due scaffali con i sughi e la pasta e qualche salame, più le uova che alla fine servono sempre. Ha messo su qualche chilo ma ci pensa sua moglie Silvia, sottile, capelli rossi, cappello bianco, occhiali blu, a tenerlo sotto controllo. Carlo è gentile, gioviale, parla con tutti. Ma nelle occasioni di convivialità, in famiglia o con gli amici, preferisce starsene in disparte. Arriva sempre in ritardo, non sopporta le cravatte.

mercoledì 20 ottobre 2010

Mario Vargas Llosa su Indie Riviera.

Buongiorno.

Se cliccate su Indie Riviera oggi trovate una mia recensione di La Casa Verde, un romanzo del recentissimo Premio Nobel per la Letteratura Mario Vargas Llosa. Una storia fervida, accesa, pulsante, molto impegnativa ma che restituisce anche infinite variegate sensazioni profonde, permanenti; a essere sincera: sono ancora un po' tramortita.

:)


lunedì 18 ottobre 2010

Rosa.

Rosa, pink: anche tazzina-di-caffè oggi aderisce alla Campagna Nastro Rosa organizzata dalla LILT per la lotta al tumore al seno.

l'iniziativa di alcune blogger molto in gamba dalle quali è partita l'idea di agire per un giorno "a blog unificati" per una causa comune: la prevenzione.

Quanto a me: ho appena telefonato al numero verde 80099877 per prenotare un appuntamento di controllo. Perché la salute è davvero importante.

Un pensiero sul colore rosa: per me è una conquista e un'assoluta novità. Abituata da sempre a sfuggire un po' alla femminilità, cercando mille strade azzurro-verdi-blu e nere per sentirmi più forte, "originale" a tutti i costi, riscopro a trent'anni anche la dolcezza e l'incanto del colore che ci contraddistingue fin da bambine. Sapere, oggi 18 ottobre, che il rosa va bene anche per me, mi regala un senso di appartenenza, il valore di quella famosa solidarietà femminile tanto nominata, troppo poco sentita.

Oggi siamo tutte unite per aiutarci a rendere la vita un posto più rosa. (che poi è il mio fiore preferito).





Chiara.

E' una bambina cinese di otto mesi. I bambini di otto mesi italiani mi sono sempre sembrati più grossi. Chiara è davvero piccola e di italiano per il momento ha solo il nome e la residenza. Chiara. Pronunciato dalla madre senza la erre, chiaramente. Anzi chialamente. Chiala. Non è un brutto nome. Cosa ci si aspetta da te, Chiara/Chiala? Quello che ti auguro io, dall'alto di una tazzina di caffè espresso del lunedì mattina, è di sbarazzarti prima che puoi dei vincoli a te imposti in quanto bambina, in quanto femmina, in quanto nativa cinese, in quanto prossima italiana, in quanto italocinese. Mentre ti rivolgo questi pensieri propiziatori, tu tenti di ingerire il menu del ristorante e ti aggrappi allo spigolo del bancone. Poi sorridi con i tuoi pochi denti al cameriere giovane, forse tuo cugino. Lui è così perplesso, bloccato e implode in una specie di singulto come molti adolescenti ammutoliti per via delle ingrate metamorfosi della loro condizione. Intanto tu agiti i piedini all'impazzata, tua madre e tua nonna si scambiano frasi molto serie in cinese, e tu saluti il gatto decorativo che ondeggia la zampetta dorata. E poi ti auguro anche di trovare al più presto una tua strada, una tua voce - la vita non sempre è facile - e un tuo modo di essere il più possibile sincero.

domenica 17 ottobre 2010

Letturedomenicali+tazzinadicaffè.

Buongiorno/buonanotte: è ufficialmente domenica, ma in effetti è ancora un po' sabato sera. Allora anticipiamo questa lettura+tazzina, perché il libro lo richiede: vuole atmosfere altre, in bilico, lunari.

E dunque, la tazzina - come si può ben vedere - è al suo posto. E il libro si chiama Lunar Park. Lui, Bret Easton Ellis (editore Einaudi) l'autore, è stato di recente da queste parti, a Torino e poi ad Alba, per via dell'uscita del suo nuovo romanzo Imperial Bedrooms. (Mi sono persa gli eventi attuali* ma ho visto qua e là qualche sua immagine dove appare in forma, rasserenato, per la serie "migliorare con l'età" volendo allegramente citare i Baustelle). Così, prima di affrontare Imperial, ecco che vado a rispolverare Lunar.

E ne esco con le ossa rotte e scintillanti, dopo poche pagine. Bisogna sapere che questa è la sua autobiografia, in un certo senso. E quindi è come entrare nel mondo interiore - e anche molto esteriore - di colui che ha scritto Meno di Zero, Le regole dell'attrazione, American Psycho e Glamorama. E vedere un po' come è sopraggiunto a queste allegorie così spietate, di una generazione fredda e bruciante insieme, che a me hanno sempre fatto l'effetto ad esempio di una flebo. Ma nel migliore senso possibile. Come se - da lettrice - lì in un luogo diverso e asettico, mi venissero iniettate sensazioni aliene, con una voce però intima, subito riconoscibile, amicale. Una cosa debilitante eppure decisiva. Che si trova all'opposto di quei romanzi, di quegli scrittori invece in cui ci si riconosce e ci si sente a casa.

Qui ci si sente o almeno io mi sento dall'altra parte del mondo, calata con un'imbracatura come sulla luna. E proprio come in questo geniale titolo, il risultato assomiglia sempre a un adulto e violento parco dei divertimenti. Lunar Park però è anche qualcos'altro. La traccia da seguire è quella delle origini del protagonista assoluto che è Bret Easton Ellis in tutte le sue sembianze, e il suo rapporto con il padre e con il figlio e con la famiglia in generale. Un libro-confessione, quello che un po' forse tutti i suoi lettori volevano. E così si può incominciare:

"'Sei una perfetta caricatura di te stesso'. Questa è la prima frase di Lunar Park".

Buona domenica e buona lettura a tutti.


* l'avevo comunque già visto a una presentazione cinque anni orsono e mi vanto dell'autografo sul frontespizio proprio di questo libro.

sabato 16 ottobre 2010

Michele.

Si occupa molto della casa. E la sera e la mattina presto porta fuori il cagnolino bianco. La casa è importante. La casa nuova. Ci racconta, in piedi di fronte al portone, che da quella vecchia lui e sua moglie se ne sono andati da qualche inverno. C'erano troppi brutti ricordi. Avevano perso un bambino e adesso vogliono ricominciare una nuova vita. Michele ha il cappellino dell'hard rock cafè, una giacca autunnale e le scarpe pulite. Lo abbiamo conosciuto all'aeroporto, di ritorno dalle vacanze. Michele ci spiega parecchie cose, mentre il cagnolino mi morde un piede scambiandolo per un sasso. "Non è un sasso" gli dice Michele. Poi passano quattro cinesi. "Adesso guardate cosa fa". Il cagnolino ringhia. "Non gli piace l'odore di ristorante. Poverini, ormai lo conoscono, non si offendono. Sono cinesi ma lavorano al giapponese. Il mondo oggi è così". Michele parla, parla tantissimo. Ci racconta della vecchia signora che amministrava il condominio senza essere amministratrice. Del terrazzino inagibile in cui piove dentro. Del calcare, calcare ovunque. Dell'affitto, chi paga di più. L'angolo-stireria che voleva progettare per la moglie. Poi parla ancora, parla, parla. E guarda in alto al quinto piano per vedere se la moglie si affaccia. "Mi darà per disperso". E poi il cagnolino piange e si mette con le zampe sulle sue ginocchia. "Si, ok andiamo, andiamo. Buonanotte. Arrivederci".

venerdì 15 ottobre 2010

Giornata Nazionale dell'Afasia.

Domani 16 ottobre sarà la terza Giornata Nazionale dell'Afasia.

Il paradosso dell'afasia - un disturbo che intacca la produzione e comprensione delle parole - è che se ne parla ancora poco.
Forse anche perché le persone che diventano afasiche all'inizio si sentono smarrite, scoraggiate dalle mille difficoltà che sopraggiungono all'improvviso, arrabbiate, tristi e così e tendono a isolarsi.

Questo deficit si manifesta a seguito di lesioni cerebrali di varia natura e può prendere diverse sembianze (afasia fluente, non fluente, etc...) e tuttavia lascia quasi sempre integre tutte le facoltà intellettive ed emotive. Ma per le spiegazioni tecniche rimando ai link di importanti associazioni molto competenti: qui e qui, cui chiunque può rivolgersi per informazioni o per un concreto sostegno psicologico. Le cure però esistono. La logopedia è fondamentale, insieme alla psicoterapia e a tutte le misure che si valutano caso per caso. L'elemento importante è la fiducia. E poi la costanza, il coraggio, la determinazione a non lasciarsi vincere dalla paura e dalla solitudine. Non è facile. Perché ci vuole del tempo per abituarsi a una nuova vita, perché spesso sono coinvolti tutti i membri della famiglia, perché si vorrebbe tornare subito "come prima". La pazienza e la calma allora diventano gli strumenti principali di questa sfida. E soprattutto l'aiuto concreto, specialmente nelle fasi iniziali, di figure professionali specializzate.

Anche per tale motivo credo sia stata istituita questa importante Giornata. A Torino, ad esempio, domani, presso gli ospedali Molinette, Martini e Mauriziano si potranno incontrare i volontari dell'associazione A.IT.A. (associazione italiana afasici) con il sostegno della Fondazione Carlo Molo per ricevere tutte le informazioni necessarie e si potrà dare un proprio contributo o associarsi, in cambio di una piantina di erica, come vedete nella foto, che è il fiore-simbolo dell'afasia.

mercoledì 13 ottobre 2010

Le palme di Torino.

Qualsiasi cosa succeda, lì ci sono le palme. Lì è sempre Torino. Sotto il cielo color latte, il freddo sulla punta del naso. Questa è una via rintanata nei paraggi più nascosti del quartiere. Mai vorrei sapere chi ci abita. Chi alza la serranda al mattino e si affaccia sulle palme. Credo che certi misteri debbano restare in sospeso. Tuttavia, faccio alcune ipotesi:

1) Due sorelle piemontesi sulla sessantina. Indipendenti, signorine, abili in cucina, innamorate della vita e delle trattorie low cost. Una delle due frequenta da qualche tempo un ragazzo di cinquant'anni, Palmiro. L'altra confida di trovare l'amore entro il 2012. Fa il "m'ama non m'ama" con la foglia di palma e se esce il "non m'ama", ci rimane male.

2) Un investigatore privato con il suo dalmata di cinque anni, Bingo. Parla sempre al cellulare e si arrabbia. L'investigatore, non Bingo. Non ha un telefono fisso. Ma due pc che usa indistintamente per lavoro e per scrivere il suo secondo romanzo. Il primo l'ha pubblicato nel 2004 con un piccolo ma agguerrito editore. Non l'ha letto nessuno. Egli sta investigando sulle cause dell'insuccesso letterario: è uno serio. Nel 2012 conta di vincere il Premio Strega o per lo meno il Campiello. Sentiremo ancora parlare di lui.

3) Una famiglia di trentacinquenni appena sposati. Ogni settimana invitano a cena gli amici. Per entrare in casa è necessario dire una parola d'ordine al citofono. Pena l'esclusione. La parola è sempre difficilissima e gli invitati si vedono costretti ogni volta a cercarla su Google. Questo li mette puntualmente di cattivo umore ma nessuno ha il coraggio di ammetterlo. E si va avanti così, di festa in festa, all'infinito.

Comunque quando passo di lì ne sogno almeno una sempre di famiglia possibile. Le palme a Torino. Come dire la neve in Africa.


martedì 12 ottobre 2010

Tania.

Lavora all'ortofrutta con suo marito. Credo sia la donna più piccola che abbia mai visto in tutta la mia vita. Ho imparato da lei un segreto per fare la pizza che non sapevo (schiacciare la pasta con il pollice e infilarci dentro il pomodorino pachino). Ora non è più un segreto. L'ortofrutta è molto piccolo, come la sua proprietaria. Sulla serranda c'è un peperone che sorride. Il negozio è stretto e lungo, un mini-mini-mini-minimarket nel cuore cementato del quartiere. Entri e prendi un cestino rosso di plastica dove con un guanto metti le verdure e la frutta che vuoi. L'aria è calda, accogliente, come una piccola caverna urbana che respira. Tania ha i capelli mossi, raccolti all'indietro, le mani tonde e un bel modo di fare. Sa tutto di cucina. Ha un bambino piccolo, una quarantina d'anni, ma ne dimostra meno. La luce fioca, i pacchi di pasta, taralli, grissini e funghi secchi sul bancone. Il verde-rosso degli ortaggi. Il vento fuori, il grigio.

Abbiamo parlato di tante cose. Poi la conversazione si agglomera di mille interventi. L'egiziano che passa a ritirare una scatola, l'anziana old-torino per bene, la coppia di peruviani, la neo-mamma col neo-nato, il marito, la tardoadolescente in lacrime. Abbiamo parlato di tante cose: massaggi mai fatti, precariato, matrimoni, unghie, smalto, piedi, lavoro, maternità, aborto, orecchiette con le cime di rapa, affitti, mutui, bronchite, asma, virus, cani, raffreddori canini, femminismo, maschilismo, ritmo sonno/veglia. Poi un giorno mi ha prestato un libro. Non so come ha fatto. Era quello che cercavo, che mi serviva in quel momento. Ha capito che ero strana (ma si vedeva così tanto?). Lo ha tirato fuori da sotto al bancone. Così di colpo all'improvviso tanto che mi sono davvero stupita, credevo di averlo immaginato, e invece era tutto vero. Ho pensato che ne avesse uno per ogni cliente. Ma in effetti mi sbagliavo. Era una cosa per me, una coincidenza per me. Che è quello di cui tutti pare abbiamo bisogno, cose per noi, nostre coincidenze, il nostro spazio florido nel mondo.

domenica 10 ottobre 2010

Letturedomenicali+tazzinadicaffè.


Dal momento che il suo prossimo romanzo - molto atteso - dal titolo Freedom uscirà nei primi mesi del 2011, ho pensato di prepararmi in anticipo (avvalendomi del prezioso ausilio di una tazzina fumante di caffè*). Così ho ritrovato sullo scaffale un piccolo affascinante book. Si chiama Zona disagio
di Jonathan Franzen
. Uscito nel 2006 per Einaudi, questo libro è un autobiografico pannello di pezzi di vita del formidabile autore di Le correzioni (che di recente abbiamo visto in tutto il suo splendore anche sulla copertina di Tim
e).

Una scatola magica di rivelazioni, informazioni, emozioni letterarie. Secondo me vale la pena leggerlo in logica sequenza, tra Le correzioni e l'imminente Freedom. Come una lente
di ingrandimento per capire (per quanto ci è concesso) dove affonda le radici il suo grandissimo talento. Dove nasce la sua vocazione e che forme ha preso nel tempo. Al centro di questo libro, come in tutta la sua opera, è la famiglia (la "zona disagio" del titolo: e leggendo il libro scoprite il motivo di questa ironica definizione). La famiglia americana e la sua famiglia. Ma non solo. Si svela anche l'amore per la lingua tedesca e quello per il birdwatching. Ma il capitolo più interessante è forse Due pony, che ho riletto oggi senza riuscire a staccare gli occhi dalla carta, dove Franzen racconta il suo ancestrale rapporto con i Peanuts e le affinità con il loro creatore Charles Schulz.

Che bello scoprire, tramite il filtro sapiente di Franzen, da quali insicurezze, convinzioni, esperienze siano nati quegli straordinari personaggini, e la valenza sociologica e culturale di quel fumetto negli anni Settanta. L'identificazione di Franzen con Snoopy e Charlie Brown che in effetti è "il più semplice di tutti, poco più di un cerchio, due puntini e una linea orizzontale".

E poi che aggiungere? Che Franzen è un autore davvero importante, imprescindibile. Che il suo sguardo ha illuminato di nuova luce luminosa la società contemporanea e che di recente pare gli abbiano rubato anche gli occhiali.

Buona letturadomenicale a tutti. Era una notte buia e tempestosa...



*

venerdì 8 ottobre 2010

Violetta.

Violetta lavorava in biogelateria. Era una ragazza molto bella e allo stesso tempo la più triste che avessi mai visto nel quartiere. Pelle chiara, capelli lisci e castani, dita affusolate con lo smalto color pastello. Non proprio triste: malinconica. Parlava poco e come una specie di dispositivo interno le impediva di sorridere troppo. L'unica cosa che so di lei, perché me lo ha detto, è che per via del lavoro il muscolo del braccio destro le si era un po' ingrossato rispetto al sinistro in questi ultimi anni. E avevamo riso. Era straniera, ma i modi erano da torinese. Ogni tanto il suo sguardo diventava severo, altre volte schivo, altre ancora invece si apriva in una luce che risplendeva ancora di più dopo il buio prolungato.

Un ragazzo, forse il suo fidanzato, la aspettava sempre seduto sulla panchina bianca della biogelateria quando faceva il turno di sera. Chiudeva alle undici e noi ci andavamo in quelle sere d'estate in cui non è il caso di spostarsi fino in centro ma non si ha voglia di restare a casa. In quelle serate afose, troppo calde per pensare a qualcosa, a volte anche serate difficili, e la biolegateria era davvero un lumino nell'oscurità di Borgo San Paolo.

Dentro, la biogelateria era chiara, piena di celeste. Alle pareti grossi tabelloni indicavano gli ingredienti biologici e spiegavano tutta la filosofia-bio. In certi periodi c'è stato anche un cavalluccio di plastica per bambini. E un piccolissimo tavolino con due sedie, sembrava un pezzetto di mare dentro la città.

Poi oggi passando di lì vedo tutto buio e un cartello di un'agenzia immobiliare. Più sotto, un altro cartello che esordiva spiegando che la crisi era passata anche dalla biogelateria etc. etc. Non l'ho letto tutto.

giovedì 7 ottobre 2010

Premio Nobel.

Quest'anno per la Letteratura vince Mario Vargas Llosa. Un nome che mi ha sempre impressionata.

Di lui avevo letto anni fa solo La casa verde. Iniziato e poi abbandonato. L'ho ritrovato oggi sotto gli strati impolverati della memoria. Lo ricomincio da capo perché non ricordavo quasi più niente. Quello che avevo registrato erano solo le immagini vive e precisissime - ad esempio all'inizio quando il Rubio e il Chiquito "risparmiano" una gallina (sic.) - e il linguaggio. Frammentato, parlato, ritmico come un respiro umano prima ancora che un'opera dell'ingegno. Come quasi ogni anno, resto sempre affascinata dal Premio Nobel. Mi piacciono queste cose: i premi, le vette, le esplosioni di attenzione sugli scrittori e i loro temi.

Premio Happy!

Buongiorno :)

Ho ricevuto un premio! Lo dico subito perché mi fa molto piacere. Il Premio Happy. Grazie a Vania del blog
rifugio da tutti! (motivazione: "perché sa scrivere, eccome..." Vania: non so se lo merito, però doppio grazie).
Regola del premio, che ri-dedico a Vania e invio a tutti gli amici blogger che passano di qui ( e in particolare, contando fino a 10: Pencil, Enjoy/buonappetito, Il gufo pasticcione, Mille occasioni di festa, Giuliana sotto la mole, Le ricette perfette, Heddi Goodrich, Parlapà, Barchetta di carta)* consiste nell'elencare le 10 cose che ci rendono felici.

Allora vado (in ordine sparso):

1) avere un blog. questo simpatico premio me lo conferma. non avrei mai immaginato di aprirne uno, mi sembrava una cosa quanto meno strana. e invece poi ho conosciuto alcune persone meravigliose e non esagero affatto. ho scoperto che - giorno dopo giorno - attraverso lo schermo si iniziano a delineare molti aspetti interessanti del mondo di ciascuno, si impara tanto, è un universo in espansione.

2) bere caffè :)

3) scrivere.

4) leggere. (e passare parecchio tempo in librerie/biblioteche/fascinosi caffè storici sabaudi).

5) la mia città, Torino.

6) la mia vita con Claudio (al punto 6 perché questa giovane vita compie proprio 6 anni tra poco).

7) la mia casa.

8) il sushi.

9) le buone notizie delle persone care. le loro conquiste, i loro cambiamenti, l'evoluzione della loro esistenza.

10) la bici.

Ecco. Ne mancano molti, ma bisogna fermarsi a 10. E comunque mi sento molto meglio (alla fine sto prendendo l'antibiotico - cfr. la tosse asmatica di ieri) dopo aver scritto questo post molto allegro e molto happy. Ancora grazie Vania, che senza questo blog non avrei mai conosciuto.

* p.s. amiche bloggers: avrei voluto linkare ciascuna di voi, ma ogni link mi richiede, non so perché (oltre al fatto che sono scarsa in materie tecnologiche), un sacco di tentativi estenuanti O_O Ho messo allora le motivazioni del premio nei commenti dei vostri blog, spero vada bene lo stesso ^_^

mercoledì 6 ottobre 2010

Radio-Tazzina (tosse, silenzio, paura).



Buongiorno. Che silenzio dentro di me. Siccome mi sento un po' debole, vulnerabile-fragile, un po' spaventata, senza parole ma solo piccole o medie paure dopo una stupida notte di tosse. Ho pensato che però è meglio farsi forza. Che si può benissimo affrontare tutto, compresa questa giornata e le altre. Allora ecco questo video, guardatelo se potete perché ne vale la pena, ed è tutto quello che vorrei dire io oggi sul mio blog.

Grazie alla gentile Martina per avermelo "regalato" ieri su facebook.
Another day, just breathe, just believe.

martedì 5 ottobre 2010

Respiro.

Quando a scuola il professore diceva ad esempio che "spirito" deriva dal latino "spiritus" -------> soffio, respiro etc. io pensavo: sì sì, quando arriva l'intervallo?

Adesso che da un po' di anni ho iniziato a soffrire di asma e apocalittiche bronchiti frequenti e raccapriccianti, ho capito tutto.

E ora sono qui, ammutolita da un giorno e una notte di tosse e fischi e sibili bronchiali che neanche il Ventolin sta riuscendo a debellare. Credo che questa sia una cosa che ha a che fare con l'anima, con un tipo di polvere non-materiale (poiché la casa è ben pulita) che tenace si deposita periodicamente e mi taglia il respiro.

Quindi respirare male è così. Una istanza che ti mette faccia a faccia con le cose ultime, con la resistenza e la sopravvivenza. E che soprattutto ti spiega senza troppi equivoci la correlazione tra corpo e anima, e non solo, tra corpo e idee, progetti, sensazioni e non ultimo: scrittura.

Respirando male, si scrive a fatica. Comunque non era per lamentarmi. Solo, mi sento come quel verso dei REM, "I'm breathing water".

In tutto questo, non credo proprio che perderò la giornata. Semplicemente troverò un altro modo di respirare, più lento, fino a quando questa piccola tortura non passerà. E mi metterò a fare quelle cose rilassanti tipo leggere (penso Zuckerman scatenato di Philip Roth, hai visto mai che questo sia l'anno del suo Nobel?) con la copertina Ikea e la tisana. Poi guardare la Prova del Cuoco, poi ascoltare la radio sotto le coperte. Ecco. Sì. Si va avanti, si scoprono altre forme di vita.

Breeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeatheeeeeeeeeeee (some soul in me).


lunedì 4 ottobre 2010

Saverio.

Porta il cane a fare la pipì, è domenica pomeriggio. iPod, scarpe invernali, sciarpa grossa a quadrettoni. La nebbia di Torino è così densa e bianca che gli entra negli occhi e fa sparire il cane, che poi ritorna dopo poco masticando la pallina gialla da tennis. Ogni volta Saverio pensa: se l'ingoia sta pallina. Ma il cane ha come questa abilità di masticarla senza mandarla giù. Comunque è un bravo cane, pensa anche Saverio mentre beve alla fontana. Poi si siede sulla panchina, è bagnata di rugiada, si rialza, si pulisce, tira un calcio alla ghianda, il cane trova un altro cane più piccolo e bianco. Saltano, i due cani, in contemporanea, sembrano ballerini di capoeira. O piccoli samurai canini. Per terra ci sono già le foglie arancioni scricchiolanti, ma sugli alberi ne ondeggiano di altre, belle grandi ancora verdi. Com'è sta storia? Pensa Saverio. In effetti l'autunno non è immediato. Centellina le sue manifestazioni, per confondere le idee di Saverio.
Poi arriva un sms. Saverio non risponde. Ha diciotto anni. Guarda senza guardare.

domenica 3 ottobre 2010

Letturedomenicali+tazzinadicaffè.

"A cavallo dei trent'anni, vissi un periodo in cui tutto quello che toccavo si trasformava in fallimento. Il mio matrimonio si concluse con un divorzio, il mio lavoro di scrittore andò a picco, e mi ritrovai assillato dai problemi finanziari. Non sto parlando di penurie occasionali, o di periodiche tirate di cinghia, ma di una mancanza di denaro continua, oppressiva, soffocante, che mi avvelenava lo spirito generando una condizione di panico senza fine".

E fin qui, tutto bene.

La tazzina c'è, con un sentore di miele come retrogusto, per calmare il primo raffreddore della stagione. Abbiamo delle lampadine fulminate, così me ne sto nella semioscurità dolce, perché oggi è la classica giornata autunnale grigia e buia e pioggerellante. Ricordo di aver letto questo libro - Sbarcare il lunario, cronaca di un iniziale fallimento, di Paul Auster, editore Einaudi - (alzi la mano chi non lo ama spassionatamente!?) ancora nei miei venti. Il 3 davanti agli anni era ben lontano da venire. Così avevo pensato: povero, povero Paul. Che sfortuna.

I trent'anni di solito li si immagina come luoghi paradisiaci in cui tutte le nostre acerbe preoccupazioni per magia smettono e inizia a fluire la vita come un fiume di ambrosia, tutto è ricomposto, tutto è come lo avevamo progettato. E invece la vita si sa che riserva molte e variegate sorprese. Quindi oggi riapro il libro, con quel magnifico incipit, e penso: Paul, amico, ti capisco. Sei comunque un grande, nonostante le pessime acque in cui navigavi, ad aver anche solo pensato a qualcosa come l'Action Baseball (non vi dico niente, andate a pag. 199 e scoprirete a cosa mi riferisco...).
Ma occhio perché la chiave di tutto si svela nella frase immediatamente successiva all'incipit:

"Non potevo rimproverare altri che me stesso".

E da qui iniziamo a seguire il superbo Paul nella sua lotta quotidiana e nella sua ascesa che lo porterà in cima, fino a diventare Mr. Auster, uno degli scrittori più famosi e amati della contemporaneità. Che altro aggiungere se non buona lettura a tutti?

Enjoy.

:)

venerdì 1 ottobre 2010

Mani.

A volte lui, il ragazzo che vedete nell'immagine*, pare sia stato avvistato con le unghie più curate delle mie. E voi, cari maschi, non avete idea di quanto sia importante per una ragazza sentirsi le mani a posto. Non so, è una cosa che io ho sempre trascurato, pensando non si adattasse a me. E invece no. E così, poiché domani vado a un matrimonio, oggi all'ora di pranzo ho "dovuto" sistemare le mie unghie. E quindi? Direte voi. A ragione. Il fatto è che nel centro estetico si mette piede in un mondo più intimo, profumato, diverso da tutto. E io vorrei dirvi alcune cose di questo universo parallelo.

1) per secoli ho pensato che la cura di sé avesse a che fare con la vanità, quindi per carità, io no, dovevo restare triste e sacrificata. invece ho capito che la cura di sé ha a che fare con la cura di sé. lapalissiano!

2) qui, in questi luoghi, si parla. si dicono cose importanti, si va in profondità. una signora elegantissima e distinta sulla settantina, ex medico, molto carina: ha perso un figlio quando il ragazzo aveva 29 anni. incidente stradale. poco dopo il marito, anche lui medico, se n'è andato per "crepacuore". la signora si è rimboccata le maniche, non si sa come. non si è mai occupata delle sue unghie perché, spiega, ha visitato centinaia di persone e non voleva graffiarle. adesso che non lavora più, si concede la manicure. e non mangia verdure, assolutamente no, perché fanno gonfiare la pancia.

3) sorpresa: non si parla male dei maschi. anzi, li si difende, ricordandoci che anche loro potrebbero soffrire per i nostri difetti. qui ci si rende più belle per noi stesse ma anche un po' per loro.

4) si prende il caffè, ma anche volendo il tè con i biscotti e il miele.

5) nel bagno ci sono petali di rose.

6) il profumo di una crema al limone mi è entrato nell'anima. se mi facessero ora una radiografia, si vedrebbe!

7) ho uno smalto grigio. sì, grigio. molto interessante e nuovissimo in commercio. mi sento fortunata, sembra di avere pezzi di cielo autunnale-torinese sulle dita.

8) ultimamente sento il bisogno di non pensare a nulla che riguardi la mia situazione, di non immaginare, di non prevedere, bensì di sentire le cose e le sensazioni, vivere la vita un po' per quella che è. ho bisogno di esistere. partire "dalle piccole cose", piccolissime e trasparenti come le unghie, mi pare tutto sommato un buon inizio.

*Edward Mani di Forbice.