lunedì 30 maggio 2016

My cup of caffè - Mi chiamo Lucy Barton - Elizabeth Strout

Elizabeth Strout, Mi chiamo Lucy Barton, Einaudi

Faccio un piccolo spoiler: Mi chiamo Lucy Barton finisce con questa frase:

La vita mi lascia sempre senza fiato. 

Ed è l'ultimo frammento di una sequenza di "piccoli finali" che si estrinsecano in capitoletti sempre più corti, sempre più corti, sempre più corti ed essenziali fino a diventare quella frase. Assomigliano a tanti brevi respiri, quei capitoli, e la sensazione è proprio di fiato che si accorcia (chi è asmatico come me conosce molto bene la sensazione), qui però è tutto rovesciato: non manca l'aria perché si soffoca, manca perché ci è entrata ormai tutta nei polmoni, perché in questo romanzo c'è tutto ciò che è bene o doveroso sapere della vita, e dunque è un restare senza fiato per il dolore, la bellezza, la sensibilità, il talento. 

C'è veramente tutto, in questo ennnesimo capolavoro di Elizabeth Strout che, dopo I ragazzi Burgess che era un romanzo lungo, approda a una storia breve, mi ha ricordato non so perché Magda Szabò. 

Come l'Aleph di Borges è questa vita minima di una bambina che nasce povera e nel disagio estremo psichico e, seguendo un percorso credibile che non permette mai al lettore di disdire la fiducia nella scrittrice Strout (difficile per uno scrittore parlare di uno scrittore, dicono infatti sia la sfida più grande) diventa una scrittrice. 

Lo diventa in modo organico, pulito, tradizionale: partecipa a un workshop di scrittura, manda i suoi racconti a una rivista letteraria, scopre una passione e una capacità che le fruttano denaro. Succede in modo lineare, come poteva accadere negli anni Ottanta, dove questa storia è in gran parte ambientata.

Tutto comincia in un letto di ospedale, in medias res rispetto alla vita della protagonista - Lucy Barton - ovvero quando lei sta per diventare una scrittrice famosa, ma non lo è ancora, ha due bambine e un marito, ma non lo avrà più, almeno non lo stesso, e non vede sua madre da tanti anni, quando questa donna, di punto in bianco:

- Mamma? - dissi.
- Ciao, Lucy, - disse lei. La sua voce mi parve timida, ma inderogabile. Si chinò e mi strinse un piede attraverso il lenzuolo. - Ciao, Bestiolina, - disse.

Compare la mamma ad accudirla, come fosse tornata bambina. Ma non aspettatevi pietismo: non è commovente questa scena perché non c'è una fantomatica "riappacificazione", c'è invece tra le più perfette forme di autenticità descrittiva delle relazioni ed emozioni umane che possiate trovare in un romanzo. Come avrà fatto la Strout a capire e a trasferire sulla pagina l'animo umano e in special modo quell'animo umano lì, resterà un mistero, un miracolo anzi.

Spesso, molto spesso, le narrazioni che riguardano il rapporto madre e figlia hanno a che fare con gli ospedali, perché è proprio quando siamo più fragili e soli che abbiamo bisogno di una mamma o, alternativamente, di una figlia. 

C'è una frase di Philip Roth che dice pressappoco: "Quando nasce uno scrittore in famiglia, quella famiglia è rovinata". Beh, questo romanzo sembrerebbe invece rovesciare l'assunto e trasformarlo in: 

"Quando nasce uno scrittore in famiglia, quella famiglia è salva". 

Ci sarebbe da discutere se siano le caratteristiche peculiari di una famiglia a far nascere uno scrittore o, al contrario, se sia il "miracolo" innato della mente dello scrittore a rende una famiglia narrabile, narrativa. Il tempo e lo spazio sono sempre troppo pochi per sviscerare tutte le questioni, questa però è interessante. Nel caso di Lucy Barton, quella specifica famiglia pare toccata - per sommi capi e mi si perdoni la laconicità - dal male assoluto. Eppure Lucy trova una strada per uscire dal quel buio, magari soffrendo in ospedale, magari sbagliando, residuando un po' di questo male, distribuendolo senza volerlo, ma infine riesce a guarirne.
 
Ho seguito il livetweet del suo intervento al Circolo dei Lettori qui a Torino, per capire cosa dice, come, appunto, fa. E ho letto delle interviste, ma niente. A occhio e croce, non lo sa nemmeno lei. D'altra parte, è un mistero, nessuno sa svelarlo, dico il mistero della scrittura così giusta e accurata.

Tra le altre cose, ho letto che ha dichiarato ironicamente di essere l'unica donna americana ad amare Hemingway, e io avrei tanto voluto dirle che non è sola, che ci sono anche io! 

E avrei voluto dirle anche che la leggo da tanto tempo e che - ancor prima che diventassero di moda gli youtubers! Bontà loro - posso vantarmi di aver realizzato ben due video, con tanto di musichetta di sottofondo - sul suo splendido Resta con me. Secondo solo, per lucida conformazione dei personaggi in totale purezza, al più premiato Olive Kitteridge.

Tutte queste cose non potrò dirgliele mai, ho pensato. Ma leggendo Lucy Barton ho anche pensato che la vita prende vie misteriose, che non sono necessarie tante parole per la felicità. 

E in efffetti è soprendente notare come in questo romanzo ci sia tutto il mondo in poche frasi: dagli indiani d'America, alla strage dell'Aids, dalla violenza assoluta alla pietas, dalla miseria alla ricchezza esteriori e interiori all'11 settembre, dagli anni Sessanta ai giorni nostri, ci siamo noi, in effetti, bambini, adolescenti, adulti, anziani. In una parola, Elizabeth Strout sa pronunciare il mondo. 

Questa è una storia piccola, ed è una storia epica. Una banale appendicite in un ospedale qualunque, in una famiglia qualunque, solo più misera della media, ma neanche troppo, diventa un'Odissea in cui l'eroina deve, vuole e può tornare a casa. Quale sia questa casa non si sa, ce ne sono alcune accennate, o meglio si sa con più precisione: è la scrittura. 
Conforta che non bisogna essere per forza scrittori famosi per tornare a casa, la vita lascia alla fin fine tutti senza fiato, in tutti i sensi, da sempre e per sempre.

 Traduzione perfetta di Susanna Basso. Perfetta copertina di Giordano Poloni.

sabato 28 maggio 2016

Festival du premiere roman - Chambéry

In questi giorni (28 e 29 maggio) si sta svolgendo in Francia, più precisamente a Chambéry, il Festival du premiere roman. Nato nel 1987, questo festival letterario è davvero unico nel suo genere per la promozione della lettura e della scrittura in Europa. 

Per un anno intero, più di tremila lettori scelgono e segnalano testi di esordienti che li hanno colpiti, per confluire nei giorni della manifestazione che diventa, da quel che ho capito, un'occasione di incontri, laboratori, lettura e scrittura. 

Da quando ho scoperto di aver avuto un antenato che, dal verde canavese in Piemonte, alla fine dell'Ottocento, ha pensato bene di emigrare a Marsiglia, a piedi, e di costruire lì un'industria dell'olio (della quale ahimé non mi è giunto nulla di materiale, ma una sorprendente eredità morale perché pare che questo prode Cuffia salvò letteralmente la vita a parecchi umani dalla fame e dalla guerra), insomma comunque da quando ho scoperto d'esser mezza francese per lo meno di spirito, mi sono interessata a questa lingua affascinante. 

In questi giorni sarei dovuta essere proprio a Chambéry a gustarmi questo evento, di cui potete trovare tutte le informazioni qui, in francese. Poi le energie (di tempo, fatica e denaro) legate al trasloco che sto facendo mi hanno assorbita, e m'è toccato rinunciare, ma si sa che i piemontesi-canavesani-marsigliesi-siciliani (come me) sono ostinati, e dunque ritenterò il viaggio il prossimo anno!

Spero però - per chi non lo conosceva - di avervi fatto scoprire qualcosa di nuovo, una interessante opportunità per partecipare alla vita letteraria del mondo contemporaneo.

mercoledì 25 maggio 2016

Taccuino di caffè.




L'ho già detto che sto traslocando? Beh, tutti dicono che, tra quelle più sopportabili, è comunque una delle cose più faticose della vita, ed è vero. Però cerco di prendere questa cosa dal verso giusto, ovvero pensando che prima o poi finirà, e magari godendomi quello strano senso di vacanza temporanea. Vacanza non dai libri, ed ecco infatti le tre cose che ho annotato questa settimana dal web e non:

1) Elizabeth Strout. In questi giorni è in Italia, ahimé purtroppo me la sono persa questa sera al Circolo dei Lettori di Torino, ma sto leggendo con attenzione il suo Mi chiamo Lucy Burton. Il tema del rapporto madre-figlia mi sta molto a cuore. E il primo racconto che ho pubblicato su una rivista letteraria importante, ovvero Nuovi Argomenti, riguardava proprio questo. Leggerlo raccontato da Elizabeth Strout, che già aveva introdotto un dialogo simile nei Fratelli Burgess, il mondo privato di una mamma e di una figlia adulta diventa il mondo intero, e sì che si impara tantissimo, una vera manna. La sua scrittura è delicata e vulnerabile come uno strumento medico, come una parola che diventa cura, filo sottile che spiega la vita ed è forte come una montagna, come il sangue che scorre. Cercate se potete i suoi prossimi appuntamenti italiani. 

2) Kent Haruf. Tra i giornali, i siti e i blog più autorevoli del momento, questo nome si fa sentire spesso. Così qualche giorno fa ho comprato Benedizione. La consistenza della nuova linfa che soltanto i vecchi autori sanno regalare qui sembrerebbe raggiungere vette degne di nota. Read more... 

3) Giornata letteraria alla Cavallerizza Reale. Ve ne ho parlato nel post precedente, aggiungo che giovedì, cioè domani, alla Cavallerizza si susseguiranno appuntamenti letterari interessanti: Lettura ad alta voce, Visioni di parole, i Piccoli Maestri e un bel Poetry Slam. Read more... 

domenica 22 maggio 2016

Rinascere internamente, due storie torinesi.



Mi è successa una cosa strana: nell'arco di pochi giorni, tra ieri e oggi, ho ascoltato raccontare due storie che si assomigliano, una relativa all'arte, l'altra alla natura, e mi pare portino un messaggio simile, che voglio condividere con voi lettori di questo blog e bevitori di cafffè. 

Ieri sera sono stata alla Cavallerizza Reale e ho visto la mostra Here. Ahimé è possibile visitarla fino a oggi, chi può ed è ancora in tempo potrà forse vederne un pezzetto. 

Tra le altre molteplici attività di ieri, io ho partecipato a una conferenza del restauratore e architetto Antonio Rava, un luminare in materia, che ha spiegato molte cose sia sul suo lavoro decennale, sia sulla Cavallerizza stessa. 

La Cavallerizza Reale, come forse molti torinesi (e non) sapranno, sta vivendo da alcuni anni un periodo di trasformazioni; attualmente è occupata da un gruppo di persone che la tiene viva con diverse iniziative legate all'arte e alla cultura (anche io ho fatto la mia piccola parte donando alcuni libri che, chi vuole, può cercare e leggere alla biblioteca). 

Questo non è lo spazio (ma soprattutto il tempo) per sviscerare il complicato tema della Cavallerizza, ma volevo soffermarmi su quanto ho visto è appreso relativamente alla mostra Here.

Si tratta di una mostra che ha letteralmente occupato parecchie stanze (e sono tante) dell'edificio di Via Verdi, ospitando oltre 200 artisti. Ogni singolo artista però ha fatto qualcosa di più: prima che cominciasse la mostra, infatti, la Cavallerizza era ancora in gran parte in stato di trascuratezza e degrado. Quindi ciascuno di loro ha scelto una stanza in cui avrebbe esposto le proprie opere, e poi si è dato da fare per pulirla e renderla adatta a un'esposizione. Accanto alle stanze ci sono le foto di come erano prima, a testimonianza del lavoro svolto. L'effetto è impressionante. Al di là della qualità delle opere, sempre alta e che ha attirato migliaia di persone, colpisce dunque anche il valore simbolico (e molto concreto insieme) dell'operazione. 

Analogamente, sentivo questo pomeriggio a una conferenza a Flor (esposizione di fiori e piante con incontri e conferenze a tema che coinvolge una bellissima via del centro torinese - Via Carlo Alberto), durante la bella presentazione di una guida di parchi e giardini a cura dell'Aiapp, che una speciale tecnica di bonifica di un terreno inquinato prevede l'utilizzo di mircoorganismi che internamente "curano" e guariscono il terreno stesso. Spero perdonerete la mancanza di termini tecnici, ma non è il mio ambito e non saprei spiegarvelo meglio. 

Ho però tratto una conclusione: c'è un modo di occuparsi degli spazi, del mondo in definitiva, che consiste nella cura di cui sono capaci alcuni esseri che possono contemporaneamente vivere dentro questi spazi "malati" e rivitalizzarli senza nuocere, anzi migliorandoli al punto da trasformarli in posti belli e sani. 

Mi è parso un messaggio interessante: forse anche allora dentro di noi esistono delle risorse che possono rendere più bella la vita. Mi piace pensare a una metafora: allora anche i libri che leggiamo sono come gli artisti della Cavallerizza o i microorganismi "dottori" della terra... ci forniscono le risorse per cambiare in meglio.

venerdì 20 maggio 2016

Concorso Lingua Madre 2016 - incontro e dialogo con le vincitrici.


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Come promesso, eccomi a raccontarvi della XI edizione del Concorso Letterario Nazionale Lingua Madre. Sono molto legata a questo concorso. E questo è il sito dove potete trovare tutte le informazioni. 

La cerimonia - che si è svolta al Lingotto il 16 maggio alle 14 - come ogni anno è stata ospitata tra gli eventi più rilevanti del Salone del Libro, presso lo spazio Arena Piemonte. Il pubblico era attento e numeroso, ed è stato molto toccante ascoltare le voci delle giovanissime scrittrici (e una fotografa) che hanno vinto i premi messi in palio. Nelle loro inflessioni, ad ascoltarlo bene, si sentiva l'eco delle loro terre, mescolato alla loro lingua adottiva. Gli esempi di talento e dolcezza, determinazione e autenticità che rappresentano queste ragazze spero passino un po' in tutti noi che potremo leggere i loro scritti nella raccolta 2016 Lingua Madre

Ho avuto la possibilità di incontrarle e di porre loro qualche domanda. Comincio a condividere con voi i miei quesiti e le loro risposte. Spero vi colpiranno quanto hanno colpito me.

1) "Rubando" un'espressione utilizzata anche da Ernesto Ferrero nel suo discorso durante la cerimonia di premiazione, quali sono le potenzialità e quali i limiti della lingua (sia la vostra lingua madre che l'italiano)?
 2) Una parola, un aggettivo che possa definire la vostra lingua madre e una che definisca per voi l'italiano...
3) Quali emozioni vi legano alla scrittura? 

Risponde Jacqueline Nieder, vincitrice del Premio Sezione Speciale Donne Italiane.
1. La mia lingua è la mia identità, il mio senso di appartenenza. Mi definisce come parte di un gruppo che non è invece dato da un luogo.
Per questo il tema dell’identità è così importante per me. Sono stata cresciuta da una donna croata e ho condiviso tutta la mia vita con sua figlia, Anna, da quando abbiamo tre anni. Eppure Anna si sente più italiana di me, è più legata a Parma, la mia città,  più inserita nel contesto sociale e condivide l’indole dei suoi cittadini.
La domanda quindi mi è sorta spontanea: è davvero il luogo che ci genera a determinare la nostra identità? Perché dargli questo diritto? 
La lingua madre ci rende diversi, è vero. È frustrante, soprattutto per chi scrive, non riuscire a esprimere esattamente un concetto perché gli manca lo strumento linguistico.
Ma è vero anche che a una lingua appartengono determinati immaginari e sfumature e colori che sono solo di quella specifica lingua. Rinnegarli è rinnegare una parte di noi. 
Credo sia un grande privilegio per i nati di seconda generazione poter disporre di due o più sistemi linguistici. 
Mio padre è argentino e mi rammarica il fatto che non mi abbia mai insegnato lo spagnolo. Dentro di me sento l’aria di Buenos Aires, l’odore della polvere, ma non può uscire, non può parlare, perché mi mancano le parole nella sua lingua madre.

2. Identità. 

3. La scrittura è dolorosa, terapeutica e euforica. È uno strumento per capire, che sia una dinamica affettiva, un luogo, un sentimento, un'altra persona. Ed è l’unico modo che conosco per dialogare con il mondo. 

Risponde Michela Mivida Di Meo, terza classificata.

Premetto che le mie risposte sono sicuramente condizionate dalla mia esperienza personale quindi da un evento particolare: il trasferimento all’età di nove anni dalla Grecia all’Italia. Il fatto di essermi trasferita da piccola mi porta in una posizione in cui nonostante il greco rimane la lingua madre, mi ritrovo ad essere più fluida e competente in italiano.
  1. Per me la lingua sia quella greca sia quella italiana sono legate dalla loro relazione con la presenza; presenza come corpo, voce ma anche paesaggio, volti amici quindi al sentirsi a casa, nel senso ampio del termine. La potenzialità della lingua greca è quella di riportarmi alla mia infanzia, alle mie prime amiche: spesso quando sento la musica attraverso le parole, la voce mi sembra di essere in Grecia nei i luoghi dove sono cresciuta. A questo punto i limiti della lingua madre sono sempre connessi alla questione della presenza perché la distanza geografica connota anche un sentimento di nostalgia, di dolore, solitudine. A volte sento il desiderio di parlare in greco con qualche amica, persona nella città in cui vivo, Venezia e non posso altre invece mi succede di pensare qualche espressione, modi di dire, o anche parola in greco che non trovano una traduzione immediata in italiano: qualcosa si perde.
L’italiano è sicuramente la lingua che possiedo meglio in termini di competenza linguistica e con cui posso articolare meglio il mio pensiero, inoltre è stato proprio il desiderio di imparare bene l’italiano ad avermi avvicinato alla letteratura. Nonostante questo a volte lo sento distante a livello emotivo: come se non mi appartenesse mai del tutto. Una specie di continua ricerca per non sentirmi ospite.

  1. La prima parola che mi viene in mente quando penso alla lingua madre è “mare” perché sono nata in un isola ma anche perché la mia ninna nanna preferita parla di onde. Poi la lingua madre per me ha sempre un effetto di culla, un suono di pace. Una parola invece che definisce l’italiano è “stupore” questo perché ho in mente la sensazione delle prime volte che sentii l’alfabeto italiano con i suoi suoni ma anche quando il primo giorno d’appello alle elementari rimasi stupita e meravigliata della diversità dei nomi dei miei compagni italiani da quelli in Grecia.

  1. La scrittura per me nasce per sfidare i limiti del linguaggio, per riuscire a scrivere ciò che altrimenti rimerebbe silente dentro di me. Spesso io scrivo quando, durante il giorno, non sono riuscita a dire determinate cose perché non si ha il tempo o perché gli altri non hanno tempo per ascoltare, altre volte perché si cerca un interlocutore che nella realtà non c’è o è distante, infine a volte durante la quotidianità del lavoro o dei rapporti personali ho la sensazione che tutto sia opaco e meccanico, allora scrivere vuol dire ritrovare l’interiorità.
Non penso che la scrittura sia all’opposto della lingua orale anzi spesso tracce di oralità rendono viva alcune scritture, particolarità della scrittura femminile, semmai il bisogno di scrivere arriva quando per alcune condizioni non si non può più parlare ma non si vuole tacere.
Allora sopraggiunge il desiderio di scrivere: la scrittura diventa una specie di obbligo verso me stessa, un riscatto della mia presenza nel mondo. In questi momenti la scrittura è la più bella forma di libertà personale.

Eccomi insieme ad Angela Maria Osorio Mendez, la vincitrice del Concorso Lingua Madre 2016. Le sue risposte e quelle di altre premiate arriveranno in uno dei prossimi post, in modo che potrete gustarle poco alla volta.

mercoledì 18 maggio 2016

Taccuino di caffè.


Il Salone del Libro è volato come un soffio. Il momento più atteso dell'anno per librofili, scrittori, lettori, professionisti dell'editoria e tuttologi (a giudicare dal marasma di stand assurdi e buffi che m'è capitato di vedere!) di tutta Italia. Quanto a me, mi dico sempre: calma e morigeratezza, poi invece mi emoziono e compro libri. Qust'anno sono riuscita a comprarne uno solo, però! Un piccolo libro di valore scritto da Andrea Malabaila per Intermezzi Editore: Noi che salvammo il mondo da Ivan Drago! Quanto al non emozionarsi troppo, non mi è riuscito nemmeno questa volta. Penso che alla fine mai mi abituerò.

In questo clima allora da sabato del villaggio (anzi mercoledì dell'Internet) torna al volo il mio taccuino. Sto facendo delle corse da trasloco abbastanza serrate, driblando i pollini che mi lasciano ben poca tregua da un'asma già di per sé fastidiosa, quindi perdonate la brevità (e la immancabile lamentela)! Ecco comunque le tre notizie che vi segnalo, dal web e non, come una moderna cyrano de bergerac in gonnella.

1) 7 minuti dopo mezzanotte. Se potessi avere indietro il dono dell'adolescenza, mi iscriverei istantaneamente. Si tratta di un camp di narrazione e linguaggi diversi, tutti raccontati, spiegati, vissuti assieme a tutor eccellenti (e alcuni, lo dico, pure amici miei!) come Sara Lanfranco, Fabio Geda, Serenella Sciortino, Andrea Vico. I ragazzi si potranno sperimentare in diverse attività di scrittura e ne usciranno frullati ben bene, poiché c'è bisogno di nuova linfa nella narrativa. Per tutte le info, qui

2) Concorso Fuori Sede. Lo scrittore, dico la mia, è sempre un fuori sede. La sua casa è ovunque, o per meglio dire da nessuna parte. Anche i più radicati, o che raccontano di cellule molto piccole del mondo, non hanno sede fissa perché l'unica sede è la loro biro o tastiera. Se vi riconoscete, mandate i vostri racconti a un concorso letterario che ha un pregio non da poco, ovvero, tra gli altri, conferisce un simbolico ma concreto premio in denaro. Non voglio sembrare monotematica, ma anche gli scrittori mangiano, e a quanto ne so la visibilità non è digeribile dagli esseri umani e badate, talvolta puà essere letale o quanto meno crea reazioni allergiche peggio dei pollini. Per tutte le info su questo bel concorso, leggete qui.  

3) 5x1000 a Banda Larga Associazione Onlus. Di Radio Banda Larga vi ho parlato spesso, ci sono affezionata per mille motivi, anzi 5x1000. Uno di questi è che ci collaboro da tre anni e ci tengo particolarmente. Siccome a me viene da piangere in questi giorni perché tocca fare la dichiarazione dei redditi e la situazione è rocambolesca per molti di noi, voglio vederci il lato positivo. Potete se volete dunque fare una cosa bella e destinare il vostro 5x1000 a questo gruppo di persone che si dedicano a far crescere un progetto di valore culturale e umano. Basta aggiungere il codice fiscale 10877850015 nel riquadro dedicato alle associazioni.


martedì 17 maggio 2016

Gli ultimi due giorni e mezzo del mio #SalTo16 per istanti.

Sabato sera alla libreria Comunardi si sono radunate tante persone per la presentazione di questo piccolo libro, grande per quantità di autori tutti torinesi tra cui sono stata coinvolta anche io. Si chiama Il marciapiede per Torino e l'editore è Ensemble. A me ha fatto piacere poter leggere un racconto cui tengo in modo particolare. La protagonista si chiama Gemma ed è una pecora che si stacca dal gregge e dal quartiere Mirafiori Sud parte e percorre tutta la città per cercare il suo pastore scomparso. Insomma, il #SalTo16 per me è proseguito così.

Domenica è iniziata con una bella nota positiva. Lo scrittore Paolo Di Paolo ha raccontato anche di me e "Tazzina" su La Stampa.

Ringrazio di cuore i cari amici di Perfect Book per avermi coinvolta insieme ad Anna Da Re e a Giuseppe Lupo nella creazione del blog Read Your Life. Durante la tavola rotonda la giornalista Carlotta Vissani ha moderato un dialogo molto interessante. Si è parlato di emozioni, di libri come foglie, di trovare le parole per ciò che si prova. Nella foto ci vedete con alcune bottiglie, si chiamano #librottiglie e sono vini di qualità e molto letterari. Questo incontro è stato particolarmente piacevole. Ph. Perfect Book.

La lettura ad alta voce del nostro gruppo di lettura, proposto e curato dal Laboratorio Rabadan in Via Baretti, è andata bene. Leggere davanti agli altri aiuta a ridimensionare la timidezza e a esprimersi per ciò che si è. Ph. Associazione Viva Baretti.

Sul mio incontro con le autrici del Concorso Lingua Madre e la cerimonia di presentazione vi racconterò in un post a sé...

Li conoscevo già, ma grazie alla mia collega di radio Erica, ho conosciuto meglio Hacca Edizioni, copertine e testi molto, molto belli.
Belle persone della casa editrice Sui Generis che dice: "ogni autore è un genere a sé".
Il mio primo romanzo, Il metodo della bomba atomica, pubblicato nel 2013 da LiberAria Editrice è ancora trovabile e soprattutto leggibile spero.

Beh alle solite, ci sono stati molti altri momenti, incontri, sensazioni che resteranno immortalati nella memoria. Come dalle emozioni, certe volte può venir voglia di tenersi alla larga dall'intensità di ciò che accade dentro al #SalTo. Ma poi alla fine ce ne si rimane frullati, coinvolti, in definitiva cambiati. Almeno, per me è così. Pensavo che in effetti per me è proprio un habitat naturale e - nel bene o nel male - tutto ciò va a comporre la mia identità, come credo quella di molti altri. Con pazienza, con certosinità è in fondo un'occasione per volare tra libri, tra idee, tra culture diverse e per conoscere e farsi conoscere sempre meglio, superando la paura del guardarsi negli occhi e imparando ogni anno qualcosa di nuovo.

Ecco una #librottiglia, con la quale brindo al #SalTo17

domenica 15 maggio 2016

Il libro del mese - Borderlife di Dorit Rabinyan - Longanesi - incontro al #SalTo16

Dorit Rabinyan, Borderlife, Longanesi

ph. Longanesi

Alcuni incontri con scrittori o scrittrici cambiano e toccano più di altri, nonostante le corse del #SalTo16 (sul quale preparerò un post conclusivo raccontando anche questa splendida e lunga giornata). Insieme ad altri amici blogger, questa mattina grazie alla casa editrice Longanesi ho potuto dialogare con Dorit Rabinyan. Il suo romanzo è una storia d'amore, o meglio il "laboratorio" di una storia d'amore, il "microscopio" anche, come lei stessa lo ha definito, che le è costato parecchio in termini sia emotivi che sociali. Il racconto del sentimento che nasce infatti tra la israeliana Liat e il palestinese Hilmi, ovvero Borderlife, è stato bandito dal Ministero dell'Istruzione isrlaeliano in quanto "minaccia per l'identità ebraica". Colpisce che ciò accada nel 2016, a riprova che la guerra e l'orrore per noi sono distanti nel tempo ma drammaticamente vicini nello spazio. 

E proprio l'identità è stato uno dei temi forti trattati oggi ("Liat non smette mai di essere israeliana pur vivendo a New York"), sia nelle nostre domande, sia nelle sue risposte. Si è discusso di differenza tra spiritualità e religiosità, di ricerca artistica (l'artista Hassan Hourani le ha ispirato il complesso personaggio di Hilmi...) e letteraria, di linguaggio.

La mia domanda riguardava la compassione. 


Ve la trascrivo: "se è vero che, come scrive in quatra di copertina il Premio Nobel Svetlana Aleksievic, 'l'amore abbatte le barriere', il suo romanzo sembrerebbe dimostrare però che l'amore, da solo, non basta. A esso tocca, per vivere le relazioni dalle più semplici alle più controverse, aggiungere la compassione. La compassione torna spesso nella sua storia, lega un personaggio all'altro e li modifica. Ho capito bene: è così?"

Mi ha colpita perché ha confermato la mia osservazione-quesito, citando il filosofo francese Emmanuel Lévinas e le sue considerazioni sul volto come invito a provare - appunto - compassione nei confronti di tutti, dell'umanità intera. 

In una parola, proprio là dove il dolore da sempre pulsa più forte e fa più male, può nascere la voglia, anzi il bisogno di compassione, di gentilezza: sentimenti che il nostro volto esprime, che la nostra penna può (forse deve?) veicolare. 

Ringrazio l'editore per l'opportunità di un incontro così interessante da un punto di vista umano oltre che letterario. 

A presto con le avventure dal #SalTo16

sabato 14 maggio 2016

Un bilancio in corsa al #SalTo16.


Il Salone del Libro (che qualche volta s'è chiamato Fiera, ma insomma ci siamo capiti), se leggete questo blog da un po', per me ha un significato particolare. Da quel maledetto (o benedetto?) giorno del 1988 in cui - come dicevo nel post precedente - non so chi (una hostess) mi regalò all'ingresso un pupazzetto, marionetta a forma di cono, insomma ci vorrebbe una seduta psicanalitica per ricordarne la forma (non è vero, ce l'ho in testa come fosse ieri) a quando ci ho lavorato (tre anni fa) e presentato il mio primo romanzo davanti a non so quante persone e firmato autografi, da quando, sola e disoccupata, ho ascoltato sparute conferenze senza pubblico sull'esegesi della traduzione post-pre-ante-moderna di DFW in turco (invento eh) a quando ho pianto di fronte alla Strout presentata da Paolo Giordano. Dai Premi Nobel, ai Premi Strega, alle file disperate per un hot dog. 

Da Ammaniti a Bergonzoni, dal piegarsi in due dalle risate. All'anno in cui giravo per tutti gli stand con una tazzina celeste (di Ikea) in mano e la fotografavo accanto ai libri e alle persone.

Ai miliardi di cv lasciati a stagisti non pagati che se li sono fumati li hanno consegnati a editor che non hanno mai risposto (ma sto imparando, dagli scrittori del passato, che i rifiuti a volte valgono come cento sì, perché sono camuffati inviti a scrivere meglio a essere meglio), dalla gita delle elementari, delle medie, del liceo, del Master in editoria. Da quella volta in cui abbiamo iniziato a "twittare" ed eravamo in quattro gatti (uccellini). Da quelli che ti venerano, a quelli che ti guardano con superiorità. Dai pass, chi ha la borsetta e chi no, alla voce che va via proprio prima di una presentazione. Da quando ho ascoltato Eco, Paolo Rossi, la Bignardi, da tutti i Presidenti, dalla gente vestita assurdamente e le mode che in quasi trentanni sono sfilate su quei tappeti coinvolgendo tutti, dico tutti gli scrittori torinesi, da quando ho salutato uno per uno gli editori dell'Incubatore fotografandoli prima e dopo i cinque giorni più faticosi e belli dell'anno. Da quando ho ideato i tweet per Book To The Future, a quando mi sono gustata l'atmosfera senza dover fare un bel niente. Da quando ho lavorato al libro di Hosseini a quando ho fatto la hostess col male ai piedi. 

Da quelle bronchiti da aria condizionata, all'anno in cui c'era odore di fritto. E quell'anno tremendo, senza speranza. I contenuti. La content user generation!

Dall'anno (tutti) in cui ce lo dovevano rubare i milanesi, agli scandali sui giornali. Dai magheggi all'onestà. Da quando ho pranzato, per caso, da sola con Ernesto Ferrero scambiandoci poche parole e silenzi di fronte a un riso e all'impressione di essere come monaci, lui il più grande, io la più piccola di tutti. Da quelli vestiti da formiche, a sto wi fi che proprio non ce la fa. 

Quel maledetto anno in cui vedevo tutto nero, quello idiota in cui vedevo tutto rosa. Da chi c'è e chi non c'è in elenco. Dalla bellezza negli occhi di chi ci è entrato per la prima volta da adulto. Dal leggere tutti gli incipit, da Adelphi, Einaudi, Sellerio. 

I libri per bambini. 

A quando ci siamo inventati l'hashtag #SalTo.

Quando ho fatto la radio, invitando tutti a parlare. Parlando con tutti, ascoltando i drammi, i successi, le esigenze, la follia e i misteri dell'altrui spirito, dell'altrui mistero. Da quando l'AIE mi ha invitata a spiegare come facessi a far vendere i libri. Da quando il mondo si è accorto che Fazio continua a far vendere più dei blogger. Che i blogger, ve lo dico io, sono in maggioranza solo semplici scrittori in cerca di pubblicazione (almeno io sono questo), da quando sono stata tra le blogger "ufficiali" del Salone a quando sono stata in coda pomeriggi per entrare, sentendomi un'intrusa. Da quando ho fotografato gli altri a quando gli altri hanno fotografato me. Dal riempirsi la bocca di valori e poi maltrattare il prossimo, dallo stare zitti e trattare bene, al fatto che questa regola può essere sovvertita da un momento all'altro, dal fatto che in editoria, come nella vita, non ci sono regole, dall'essere the next big thing all'essere nessuno, al fatto che, semplicemente, benché non serva a nulla, bisogna, come direbbe la Ginzburg, amare il bene. Del mettersi a scrivere sul serio. Dallo spegnere il cellulare, all'accenderlo di nuovo. Dal chi ti conosce? Al io ti conosco! Al conosci te stesso.

Dai pranzi vip alle rustichelle disagiate per terra, tra la polvere. 

Dal "ah, ma come mai non pubblichi niente quest'anno?" a "ti prego, recensisci il mio romanzo sul tuo blog". Dai ragazzini che salveranno il mondo, gli omoni in giacca e cravatta, al come ti vesti, gli hipster, agli anziani, ai ragazzi disabili. Dai parenti, le amiche, le invisibili dinamiche delle relazioni. Dal "in editoria sono tutti sposati tra di loro" all'amore casto per i libri che sbuca dentro gli occhi di editori talmente piccoli che non avrebbero i soldi manco per il matrimonio. 

Dalla retorica del piccolo editore buono (che però non paga) a quella del grande editore affidabile (che paga in visibilità). Dagli editori di qualsiasi dimensione che in effetti, Dio li benedica, un po' pagano. A quelli che sembrano sul lastrico ma hanno lo stand bello. A quelli senza stand. Al sindacato, alle proteste col fischietto, alle facce, le facce della gente.

Culicchia.

Le feste. Dal "eh, quella sì che è famosa, mica come te" al tirarsela troppo. Quello che ti conosceva e non ti conosce più. Quello che fai finta di non aver visto. Salutare? Non salutare? Passare a salutare? Fare anticamera? Ueiiiii carissimo. Azz, lui sì che conta. Gli scrittori e le scrittrici che, non ho mai capito perché, se la tirano. Quelli che se la tirano al contrario: "Salone? io non vado e sto su un cucuzzolo della montagna a scrivere l'Odissea!". Da Saviano agli yutuber, dal chissà cosa c'è dietro, gomblotto, dagli istagrammer agli istogrammi: c'è un segno più o un segno meno? 

I giornalisti che contano.

Dai lavori trovati, alla gioia. Fassino. L'anno del Vaticano. I Paesi ospiti, le letterature ospiti. La festa Fandango? Dai lavori persi a quelli conquistati, l'ansia, la calma, il chiacchierare, il caffè che io tanto amo. 

Dal proporre le sinossi, dal sentirsi dire "non abbiamo i soldi". Dal sentirsi dire: "perché no?". Dalla carta da sniffare, alle tazze, gli sconti, la birra, il vino, i social, le solite facce, lo staff, dagli stand ignorantissimi a quelli chic, da quelli che solidarizzano, ai beneamati nemici, da quelli che dicono: "non ti posso aiutare" al "facciamo qualcosa assieme", da quelli che copiano le tue idee, a quelli che ti coinvolgono, Dio li benedica, nei progetti, e ti ascoltano, e, sì, ti pagano in denaro. Dai temi seri, loro sì veramente impegnati, al vince la superficialità, all'avere davvero qualcosa da raccontare. I libri, le copertine. Gli ebook? Il digitale? Cresce? Decresce? L'IBF. La sala professionali. Dal name dropping alla pioggia piemontese di maggio. Gente del sud che si lamenta del freddo, gente del nord che si lamenta del freddo. I romani.

Dai momenti di panico e quelli di guarigione, di voglia stupenda e autentica di leggere e scrivere, in una parola: di felicità. 

Diciamo che l'ultima parola è la felicità. 


Qui sto osservando basita Paola Mastrocola che disegna! Siamo al primo evento in cui sono stata coinvolta da Guanda: presentare L'anno che non caddero le foglie da Ikea. La difficoltà di questo compito era pari solo a quella delle finali di Giochi senza Frontiere, perché mica è facile destreggiarsi tra una mente di alto livello come lei, i clienti Ikea, gli strudel svedesi e l'emozione di fare una presentazione dopo un lungo periodo di pausa. Tuttavia, ecco, come Saint-Exupery, anche la Mastrocola, umilmente, ha deciso di illustrare la sua favola. Una favola saggia, buffa e universale che si fonda su diversi temi. Il principale, secondo me, è l'accettazione del fatto che la felicità mia non-può-non tener conto della tua. Quindi tocca comprendere, pazientare, accettare e in definitiva amare, per vivere bene insieme. 


Questa è la foto del momento più importante della mia giornata di ieri: le prove per una lettura ad alta voce che faremo domenica alle quattro a San Salvario. Il maestro Walter ci sta dando alcune dritte sul come leggere. Lui è un attore molto bravo. Per il Salone #Off, il Laboratorio Rabadan di Torino ha organizzato questo evento bellissimo. Il nostro gruppo di lettura ci ha coinvolti tutto l'inverno, abbiamo letto ciascuno dei testi, e scritto anche delle storie. Nessuno è un lettore professionista: Rabadan accoglie tutte le persone che afferiscono al servizio sociale e offre la possibilità di esprimersi nell'arte, e non solo. Quanto a me, sono seduta laggiù a partecipare e, lo ammetto, a commuovermi per la bravura di alcuni di questi lettori. Spero che verrete a trovarci. Lo spero davvero. 


Ieri pomeriggio sono riuscita a fare un salto al #SalTo durato meno di un'ora. Giusto in tempo per sbirciare la Lipperini che intervistava Cesari e Repetti di Einaudi Stile Libero, poco dopo sarebbero andati in Sala Azzurra a festeggiare i loro 20 anni di vita.


L'immancabile foto agli estintori.


Quando ho visto questo tavolo pieno di tazzine l'ho preso come un buon auspicio. Sono passati alcuni anni e sento di aver preso parte, talvolta avviato, ad alcuni cambiamenti. Il mio percorso però non è finito, spero anzi che sia appena cominciato. Sono curiosa di come sarà il Salone del futuro, sono certa che molti stereotipi che ho elencato là sopra non mancheranno mai, ma magari ci saranno nuove cose. Lo scopriremo solo #saltando.

mercoledì 11 maggio 2016

Taccuino di caffè - #SalTo16 edition.

 Domani comincia l'edizione 2016 del Salone del Libro. Vi invito a cercare tutto ciò che in questi anni ho raccontato e vissuto dentro al Lingotto.

E ne vedrete delle belle!

 Pensavo che i primi articoli sul Salone li avevo scritti sul giornalino della scuola, ma vi confesso che frequento la fiera libraria più attesa d'Italia fin dal suo primo anno, il 1988. Ero una bambina delle elementari e ricordo solo che all'uscita (o all'entrata?) mi avevavo regalato una 


marionetta. Se siete frequentatori del Salone e/o avete voglia di leggere i miei post al riguardo, vi accorgerete che il tema del personaggio di pezza o di gomma, dal cosplay a cip e ciop, da Geronimo Stilton ad altri amorfi soggetti è, come in ogni fiera che si rispetti, qui una costante. E se sbirciate più sotto noterete che anche questa volta cominciamo sotto i migliori auspici. La prima cosa che vediamo infatti, la mia amica Sara Bauducco e io durante il nostro rituale giro pre-Salone oggi, è un gigantesco rettile bianco semi addormentato. 

Molto bene!

Ciò specificato, oggi è anche giorno del mio taccuino. Segnalo i miei appuntamenti piemontesi e quelli di altri di (spero) vostro interesse. 

1)  Domani alle 18 all'Ikea di Collegno presento Paola Mastrocola e il suo libro edito da Guanda L'anno che non caddero le foglie. Sono molto contenta di potervi parlare di una fogliolina di nome Lina che, per amore, prende una decisione alquanto importante ma sarà sempre l'amore, insieme alla legge della Necessità, a cambiare le carte in tavola. Se potete, passate a trovarci che, tra una Billy, un Kippan e piatti di polpette svedesi ascolterete una storia delicata e universale. 

2) Sabato alle 21 alla libreria Comunardi presentiamo, insieme agli altri autori, Il marciapiede per Torino, una raccolta di racconti tutti ambientati nella nostra bella e magica città, edita dalla casa editrice Ensemble. Se volete scoprire chi sono gli scrittori coinvolti, leggete qui

3) Domenica
-  alle 9.30 farò colazione con Dorit Rabinyan in occasione dell'uscita del suo Borderlife. Gli amici di Longanesi hanno invitato infatti alcuni blogger a incontrare questa autrice discussa e piena di talento, io ve la racconterò in un post dedicato, credo che questo sarà proprio il mio "libro del mese". 

-  alle 11 nell'area #BookToTheFuture prenderò parte a una bella tavola rotonda (bella e saporita, lo scoprirete di persona spero...) promossa da Perfect Book e #ReadYourLife che è un blog di valore con il quale ho la fortuna di collaborare da ormai un po' di tempo in compagnia di colleghi che stimo e amo leggere. La tavola rotonda si intitola Vita, emozioni e libri. Un solo luogo. 

- alle 16 difronte al Diwan Caffè in Via Baretti per il Salone Off con l'associazione Viva Baretti, insieme agli amici del Laboratorio Rabadan e a operatori, affidatari e a tutte le persone che afferiscono alle varie aree del Servizio Sociale leggerò ad alta voce un brano che mi piace tanto di Ian McEwan. Il nostro gruppo di lettura si chiama Voci del verbo essere e, guidati dal maestro Walter Cassani, vi faremo ascoltare una selezione di testi dal titolo SOGNI E SOGNATORI. Spero che passerete a trovarci e potremo parlare un po'!

4) Lunedì alle 14 ci sarà la premiazione del Concorso Lingua Madre e poco dopo incontrerò le autrici partecipanti. Sono tutte scrittrici straniere che hanno scelto di scrivere in italiano e ognuna ha una storia da raccontare. Dal canto mio, racconterò l'esperienza nei prossimi giorni qui sul blog.

Segnalo infine tre appuntamenti non miei ma che vi consiglio di seguire:

 - Giovedì 12 alle 19 si presenta una casa editrice nuova e interessante: Sui Generis. Tra gli autori che racconteranno le loro opere c'è Francesco Deiana con la sua Storia della filosofia a sonetti. Dico che merita l'ascolto! Qui luoghi e orari. 

 - Sabato 14 alle 13 seguite se potete un bellissimo laboratorio di cinese attraverso le immagini stupende di un grande illustratore, con la sua traduttrice Silvia Torchio, dal titolo Nihao Jimmy Liao.

- Lunedì 16 alle 10.30 si parlerà in Sala Professionali di ebook in biblioteca. Il focus sarà su MLOL, MLOL PLUS e OPEN MLOL: sono temi che mi stanno a cuore, spero vi interesserà. 

Che altro aggiungere? 

Solo un augurio, che è un auspicio. Per chi, come me vive, l'esperienza-SalTo come un evento professionale, il rischio è che si trasformi in un frullatore (nella migliore delle ipotesi) oppure in una disperante ricerca (spesso vana) di ganci, contatti e lavoro che sembrerebbe non esserci mai per nessuno. Il mio consiglio (a me stessa prima di tutto) è di ritagliarsi almeno un istante, magari rifugiandosi a respirare nell'intercapedine tra il bancomat e la scala mobile che ascende all'affollato self-service, per ricordarci il senso di questa altrimenti assurda, estenuante situazione, di tutto quello che facciamo - che faccio dall'88, dall'infanzia - da anni o per la prima volta: ovvero amare la letteratura, le storie, le parole, i viaggi che i libri consentono di fare, le intuizioni senza scotto, senza ricatto, le sensazioni di libertà che ci danno, le rivelazioni sulla vita, sulle relazioni, su tutto.



martedì 10 maggio 2016

RBL & The City - un radio libro per chi adesso ha voce.

Radio Banda Larga, RBL & The City, La voce di chi adesso ha voce, Laboratorio Zanzara

Da tre anni a questa parte, alcune persone o per meglio dire alcuni operatori radiofonici partono da casa loro e si recano in luoghi della città in cui vivono, transitano o si curano persone che convivono con un disagio sociale ed emarginazione di diversa natura. Centri diurni, comunità, drop-in, ospedali, carceri - in collaborazione con il blog Dentro e Fuori - o strade (come nel caso del progetto della ASLTO2 CanGo).

La radio in questione è nata quattro anni fa, quindi si può proprio dire che questi laboratori siano l'anima centrale di Radio Banda Larga. 

E cosa fanno queste persone? Chiedono ai pazienti di scegliere una canzone da far ascoltare alla radio. Proprio come in un juke-box. Se vogliono, possono commentare e dire la loro.

E da qui si scatenano reazioni ed emozioni sempre forti e vere. Beh, aspettatevi ad esempio, quando vanno nelle case di riposo per anziani, tutto un proliferare di Nille Pizzi, Trii Lescani e Claudi Villa, e la cosa fa parecchia tenerezza.
Da questa lunga e capillare esperienza ora è nato un libro. Si chiama RBL & The City ed è stato creato in collaborazione con il Laboratorio Zanzara. 

Il Laboratorio Zanzara forse lo conoscerete per i suoi bellissimi lavori artistici e di design: sono quelli della famosa frase Un'ora al giorno almeno bisogna essere felici e delle collaborazioni con autori importanti come Fabio Geda o con realtà cittadine di valore come il Torino Jazz Festival.

Insomma, se la cavano piuttosto bene. Per quei pochissimi che non li conoscessero, loro sono una cooperativa sociale ONLUS che si basa su un progetto di integrazione per persone con disagio mentale. 

Leggere questo piccolo libro dunque è un vero piacere per gli occhi, perché è curato nei minimi particolari. Ma è un piacere anche per la mente, e il cuore.

Scrive ad esempio Manuela Dorella, Psicologa presso il servizio Drop-In del dipartimento dipendenze ASLTO2:

Non tutti i nostri frequentatori hanno l'energia di aderire alle uscite proposte, la legge della carenza impone ritmi serrati di procacciamento della sostanza, e risolto questo problema la stanchezza può essere tale che diventa una fatica insostenibile perfino andare in mensa o all'anagrafe per rifare i documenti persi in una notte senza dormitorio. A volte diventa davvero difficile riuscire a offrire un angolo di piacere (non chimico).
"Ho fretta" e se ne va.
La radio ci riesce. 
Nei pochi minuti di una canzone avvengono incredibili trasformazioni.

Ecco sì, questo piccolo libro fa un effetto trasformativo. Apre gli occhi sul potere di una canzone, ma non solo. Sul potere della possibilità di comunicare chi sei, o almeno di provarci, o almeno sapere che sei qualcosa, qualcuno nel mondo. A questo propositio, i testi di Lorenzo Ricca e Renato Striglia (le persone di cui sopra) sono significativi. Ci sono anche altri interventi molto belli, tra cui quello di un utente di un gruppo appartamento che racconta il privilegio e l'incanto di essere diventato un presentatore radiofonico.

Leggendo queste pagine, mi sono ritrovata. Da tre anni anche io, grazie a questa radio che dà voce a tutti, sono diventata una presentatrice radiofonica! Una radio che è anche uno spazio/non-spazio, che si sposta in cerca di un territorio per trasmettere informazioni, parole, stati d'animo vari e musica. 

Per me in questi tre anni tutto questo ha rappresentato un'esperienza in effetti di trasformazione, cambiamenti, sperimentazioni e affetti. 

Per realtà come queste, penso valga la pena ragionare, costruire, prospettare un futuro ma anche assaporarsi un presente fatto di quotidianità e di consuetudini, cui tutti hanno libero accesso. Una vera "community", nel senso primigenio e più nobile del termine, un insieme variabile di sensibilità diverse e di intelligenze ed esperienze di vita, le più articolate e le più affini.

Se potete, cercate e leggete dunque questo libro, oh torinesi, ad esempio io l'ho preso alla libreria Luna's Torta.  

P.s. Questo è anche un radio libro, scaricabile a questo indirizzo: www.radiobandalarga.it/radiolibro.mp3

Una nota incoraggiante: il progetto ha ricevuto il sostegno della Compagnia di San Paolo che da quanto ne so io si impegna per davvero tante attività utili e sane come questa. 
  



lunedì 9 maggio 2016

Tazzina di sakè - Mo Yan - L'uomo che allevava i gatti.

Mo Yan, L'uomo che allevava i gatti, Einaudi
Torna la mia rubrica sulle letterature orientali. Ultimamente mi ero appassionata, e avevo letto alcuni romanzi e racconti di autori cinesi. Tra cui Mo Yan. 

Premio Nobel nel 2012, Mo Yan è forse tra gli autori più rappresentativi della contemporaneità ed è una pietra miliare per chi volesse affacciarsi alla letteratura cinese, imprescindibile. 

I racconti raccolti in L'uomo che allevava i gatti sono tutti piccoli capolavori di realismo e di magia. In particolare, quello che regala il titolo alla raccolta, incanta per la sua disarmante onestà, per la sua incursione in una Cina rurale e piena di riti e credenze, talvolta da sfatare. 

I protagonisti di queste storie sono spesso bambini alle prese con la scoperta delle intemperanze degli adulti e delle proprie stesse ingenuità. Sono animali anche, che non sanno far altro che essere se stessi, ovvero creature sagge, ma prive di intenzioni. 

Mo Yan canta la meravigliosa neutralità della natura umana e della natura tout court e l'essere autore ormai pluripremiato e famoso in tutto il mondo non lo rende meno autentico. 

...Un gatto tigrato si arrampicava sull'argine, calpestando silenziosamente l'erba secca con le zampe di velluto. Impaurito si fermò davanti a lui, i suoi occhi lanciaronolampi verdi, soffiò mostrando i denti e rizzò la coda come un'antenna. Il bambino lo guardò intimorito.

sabato 7 maggio 2016

Le grandi virtù: Toni Servillo legge Natalia Ginzburg.



Mercoledì scorso ho avuto la fortuna di ascoltare Toni Servillo leggere alcuni testi di Natalia Ginzburg. Di questa fortuna, ringrazio gli amici di Stilema per l'opportunità di un osservatorio unico.  

Stilema è l'ufficio stampa che sta curando l'evento "Storia di una voce" un ciclo di letture di testi di Natalia Ginzburg all'auditorium del grattacielo Intesa Sanpaolo di Torino in occasione del centenario della nascita della scrittrice.

Poter ascoltare la voce di un attore così bravo, con una voce così perfetta, è stato un bel regalo. Si sentiva nella sua compostezza una passione per quelle parole e un rispetto reali, tanto che alla fine si è fatto da parte e ha lasciato che il suo stesso applauso, e il nostro di pubblico, omaggiassero la scrittrice e si festeggiasse ai suoi cento anni. 

Da dove cominciare? Ho raccontato qualche giorno fa sul blog Read Your Life di come è nato il mio legame con questa autrice. Sui banchi di scuola. Contrariamente alla maggioranza dei suoi lettori, ho conosciuto Natalia Ginzburg a partire dalle Piccole Virtù, anziché dal più noto e autobiografico Lessico famigliare, che è forse uno dei suoi romanzi più conosciuti e che le valse il Premio Strega nel 1963. 

Di Natalia Ginzburg consiglierei anche i Cinque romanzi brevi, e le opere teatrali che in passato ho visto messe in scena in diversi teatri della mia città. Insomma, cercartela, se non lo avete ancora
fatto. 

 


Quando mi sono seduta sulla poltroncina dell'auditorium, alla fine di una della tante giornate che vivo ultimamente, frenetiche, prive di tempo per respirare, mi sono appoggiata allo schienale, e ho pensato: "eccomi qui, seppur di corsa, in qualche modo ci sono arrivata, vediamo cosa succede", ma in verità era chiaro che mi sono, come molti adulti suppongo, così abituata a saltare da un impegno all'altro senza grazia, senza ascoltare quello che succede intorno, e dentro di me. 

Pian piano i minuti passavano, la presentazione di Domenico Scarpa ha lasciato che la piccola attesa si creasse e diventasse confortevole. Infine, è arrivato Toni Servillo e ha cominciato a leggere. 

Tre tra i testi più belli della Ginzburg. Una poesia su Dio, delicata e comica, che si intitola Non possiamo saperlo (e dà anche il titolo a una raccolta di saggi), una poesia che ci dice che non sappiamo nulla di ciò che veramente ci preme, ci sta a cuore, eppure viviamo. E due brani tratti dalle Piccole virtù. Ovvero Lui e io, ritratto tenero e ironico del suo rapporto con il marito Gabriele Baldini e Le piccole virtù, che regala il titolo alla raccolta. 

Mentre Servillo leggeva, mi sono resa conto di conoscerne interi pezzi a memoria. Avendoli letti e riletti dai sedici anni circa a oggi innumerevoli volte. 

Lui ha sempre caldo; io ho sempre freddo. D'estate, quando è veramente caldo, non fa che lamentarsi del gran caldo che ha. Si sdegna se vede che mi infilo, la sera, un golf.  [...] Lui ha un grande senso dell'orientamento, io nessuno. Nelle città straniere, dopo un giorno, lui si muove leggero come una farfalla. Io mi sperdo nella mia propria città; devo chiedere indicazioni per ritornare nella mia propria casa. 

[...]

Per me, ogni attività è sommamente difficile, faticosa, incerta. Sono molto pigra, e ho un'assoluta necessità di oziare, se voglio concludere qualcosa, lunghe ore sdraiata sui divani. Lui non sta mai in ozio, fa sempre qualcosa; scrive a macchina velocissimo, con la radio accesa;

 [...]

Perché pur avendo sempre tando caldo, sovente usa vestirsi come se fosse circondato di neve e di ghiaccio e di orsi bianchi; o anche invece si veste come un piantatore di caffè nel Brasile; ma sempre si veste diverso da tutta l'altra gente. Se gli ricordo quell'antica nostra passeggiata per via Nazionale, dice di ricordare, ma io so che mente e non ricorda nulla; e io a volte mi chiedo se eravamo noi, quelle due persone, quasi vent'anni fa per via Nazionale; due persone che hanno conversato così gentilmente, urbanamente, nel sole che tramontava; che amabili conversatori, due giovani intellettuali a passeggio; così giovani, così educati, così distratti, così disposti a dare l'uno dell'altra un giudizio distrattamente benevolo; così disposti a congedarsi l'uno dall'altra per sempre, quel tramonto, a quell'angolo di strada.

Lui è Gabriele Baldini, il suo secondo amato marito. Il primo, Leone Ginzburg, era morto in carcere a Regina Coeli, in seguito a torture dei tedeschi per la sua volontà di non collaborare, nel 1944. 

Sui miei dolori reali, non pianngo mai.

Scrive raccontando dei litigi tragicomici con Gabriele. 
Sono sempre rimasta incantata da come questa scrittrice sapesse essere autentica, vicina, incredibilmente sana. 

Di come avesse capito, e detto, che l'amore, come la vita, assomiglia a un semplice miscelatore di temperature, a un rubinetto che noi dobbiamo modulare per bere, per lavarci con l'acqua più giusta.

I suoi amici intellettuali, tra cui Pavese, al quale lei dedica uno dei testi più toccanti, Ritratto d'un amico, la definivano talvolta "finta tonta" ma, come spiegava anche Domenico Scarpa, curatore di molte sue opere, il suo anti-intellettualismo venne fin troppo equivocato. Semplicemente, Natalia Ginzburg era onesta. 

Dico io: era saggia. Nelle sue spoglie vesti di scrittrice pura, di narratrice artigiana, era sincera; dichiarando di saper di non sapere, aveva raggiunto una vetta che ancora oggi come lettori ricerchiamo tutti, la vetta di una qualche verità da trovare nelle pagine, da fare nostra, da usare come strumento per cambiare la vita. 

Leggete I rapporti umani, leggete Silenzio, leggete Le scarpe rotte e tutti gli altri saggi. Leggete cosa dice dell'Inghilterra, e amerete l'Inghilterra. Leggete cosa dice sulle virtù e amerete le virtù.





 Per quanto riguarda l'educazione dei figli, penso che si debbano insegnar loro non le piccole virtù, ma le grandi. Non il risparmio, ma la generosità e l'indifferenza al denaro; non la prudenza ma il coraggio e lo sprezzo del pericolo; non l'astuzia ma la schiettezza e l'amore alla verità; non la diplomazia, ma l'amore al prossimo e l'abnegazione; non il desiderio del successo, ma il desiderio di essere e di sapere.  

[...]

Non che le piccole virtù, in se stesse, siano spregevoli: ma il loro valore è di ordine complementare e non sostanziale; esse non possono stare da sole senza le altre, e sono, da sole senza le altre, per la natura umana un povero cibo.

[...]

E in genere, credo che si debba andare molto cauti nel promettere e somministrare premi e punizioni. Perché la vita raramente avrà premi e punizioni: di solito i sacrifici non hanno alcun premio, e sovente le cattive azioni non sono punite, ma anzi a volte lautamente retribuite in successo e denaro. Perciò è meglio che i nostri figli sappiano fin dall'infanzia, che il bene non riceve ricompensa, e il male non riceve castigo: e tuttavia bisogna amare il bene e odiare il male: e a questo non è possibile dare nessuna spiegazione.

E poi arriva il pezzo in cui si parla della vocazione, dell'avere una vocazione qualsivoglia che, nella visione della Ginzburg, non è altro che espressione massima dell'amore alla vita. Amare la vita genera altro amore per la vita e tiene vivi. 

Quelle parole per me sono state un soffio vitale. Sono ritornata all'amore per la vita che avevo nei miei sedici anni. Con tutto il mio tempo ancora davanti e una vocazione alla scrittura (si può anche essere una pulce di scrittori, dice l'autrice, eppure rispettare ed essere devoti al proprio mestiere, dunque bando allo zelo) che germogliava da tempo come un seme. 

Ho pensato: che effetto mi avrà fatto leggere tante volte, assimilare, questi concetti, queste parole, questo stile di scrittura, da giovane? Dov'era finita quella ragazzina che capiva, annuiva e faceva promessa di raccontare in giro quanto bello, e utile fosse leggere quel libro, tutti quei libri? 

Dov'era finita la gratitudine alla prof che me li aveva fatti conoscere? E il sogno di impararne altri e scriverne e scriverli? Il tempo davanti? Beh è ancora tutto vivo, mescolato, come per tutti, da scoperte e dolore. Mescolato da anni, e corse e affanni e gioie che non potevo immaginare, eppure è ancora tutto vivo. 

Solo a tratti, dal fondo della nostra stanchezza, risale in noi la coscienza delle cose, così pungente da farci venire le lagrime: forse guardiamo la terra per l'ultima volta. Mai abbiamo sentito con tanta forza l'amore che ci lega alla polvere delle strade, agli altissimi gridi degli uccelli, a quel ritmo affannoso del respiro in noi: ma ci sentiamo più forti di quel ritmo affannoso, lo sentiamo in noi così sordo, così lontano, come se non fosse più nostro: mai abbiamo amato i nostri figli, il loro peso fra le nostre braccia, la carezza dei loro capelli sulle nostre guance, pure non sentiamo più paura nemmeno per i nostri figli: diciamo che Dio li protegga, se vuole. Gli diciamo di fare come vuole. E adesso siamo veramente adulti, pensiamo un mattino [...].

In effetti, i figli di Natalia, alcuni, mercoledì erano in sala ad ascoltare Servillo leggere le parole della madre. Tutto è andato per il meglio, hanno amato la vita.