martedì 14 aprile 2009

Faber.



Consiglio a chi può di visitare la mostra dedicata a Fabrizio De Andrè allestita a Palazzo Ducale a Genova fino al 3 maggio.
Forse un po' troppi i feticci superflui, ad esempio un'impietosa pagella dove si vede che a scuola non andava bene anzi era scarso, con buona pace dei professori e sospiri di sollievo degli adolescenti accorsi in massa il giorno di Pasquetta. Bella invece la sala con la sua biografia scritta sulle pareti. Dove ho scoperto, nella mia immane ignoranza non lo sapevo o forse lo avevo dimenticato, che il grande Faber era di origini piemontesi, papà torinese e mamma non ricordo più ma anche lei di qui. Ho scoperto che era cresciuto nell'astigiano e che i primi tempi a Genova si sentiva parecchio il suo pesante accento sabaudo. Avevo passato le ore prima della visita a rimproverare mestamente e mentalmente la mia nobile terra di non aver saputo produrre un grande artista come lui, e invece...

Comunque: una mostra molto istruttiva su un periodo storico vicino ma dimenticato, su un panorama musicale ricchissimo e fondamentale per tutti noi che siamo nati troppo tardi, negli anni ottanta, e che al momento della sua morte ci affacciavamo appena appena alla vera vita adulta. Per tutti noi che eravamo lì a Genova nell'oscurità, nel brusio infinito, nelle canzoni che ormai ci stanno dentro come fossero sacchetti supplementari di sangue, come organi interni, come muscoli inutilizzati che tuttavia si riattivano quando ne abbiamo bisogno e nella trama fitta delle sue amare corde vocali che risuonavano da ogni punto cardinale del museo, per noi che lì seduti per terra a naso in sù a sentirlo parlare della guerra e degli ultimi ci siamo sentiti per un secondo delle povere piccole privilegiate anime salve.

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