giovedì 2 dicembre 2010

28 e non sentirli.

Il Torino Film Festival giunge alla sua ventottesima edizione ed è una cosa ormai serissima. Dal fu Cinema Giovani, in cui eravamo in quattro, pallidi, col cappotto grigiotopo da dove spuntava il libro della biblioteca dalla tasca, neanche diciottenni e io mi addormentavo sempre bellamente sulle poltrone ancora di legno del Cinema Massimo, allo sfavillio mondano di oggi, il passo è stato breve ma intenso!

I primi tempi ci passavo le mie giornate intere, ultimamente non più, ma almeno uno o due appuntamenti non me li perdo.
A me piace andare a caso, capitare quasi senza scegliere il film, farmi trasportare dalla magica atmosfera, e fare vip watching!

Con questo metodo, succede sempre qualcosa, ed ecco i miei highlights di questa edizione:

1) la fila. Nel girone dantesco della coda al freddo e al gelo fuori dal cinema con le transenne ci sono sempre: il "vecchietto ma furbo" che passa davanti. Ci riesce: con i suoi occhi liquidi dietro le lenti spesse, credi stia riflettendo su tematiche di saggezza, invece elabora strategie di invisibilità. Le "lamentazioni": donne che si lamentano del freddo. Uomini che si lamentano del gelo. Chi si rolla le sigarette per sconfiggere il freddo raggelante. Chi mangia un panino per scaldarsi e imprecare contro l'inverno. Questa volta addirittura si è configurata una potente orazione da speaker's corner* di una signora che ce l'aveva proprio con Gianni Amelio (direttore del Festival): "gli artisti devono fare gli artisti. Non sanno niente di logistica". Amen. (però poi ci passa davanti pure lei, alla faccia delle logistica sabauda).

* speaker's corner

2) il Giappone. Pur scegliendo quasi sempre i film con il dado e/o la monetina, capito puntualmente in una sala in cui si proietta materiale ad alto contenuto nipponico. Questa volta: il delicato e promettente Littlerock, di Mike Ott**, in cui i protagonisti sono due fratelli made in Japan, Atsuko e Rintaro, che si ritrovano immersi nella semideserta cittadina di Littlerock per un intoppo sulla loro strada verso Manzanar (un sito di interesse storico relativo ai campi di concentramento allestiti per i giapponesi nella seconda guerra mondiale, un capitolo del recente passato di cui in effetti si parla poco). La cosa interessante del film è il realismo: anche i nomi dei personaggi sono gli stessi degli attori. E poi la delicatezza dello sguardo che fa rima però con uno spietato ritratto della contemporaneità---> Da vedere. Affezionatevi poi a Cory, uno dei protagonisti, nativo dello sperduto paesino, che nella sua vita vera sta cercando con tutto se stesso una via d'uscita tramite l'arte. Il regista - durante il doveroso dibbbbattito di morettiana memoria - ci spiega che lui in prima persona sta cercando di aiutare Cory a svincolarsi dalla sua opprimente realtà, spero con tutto il cuore che ci riesca. Scattano gli applausi festivalieri.

** il simpatico regista!

3) l'accredito. Ce l'hai? Sì, no, forse.

4) Il suddetto vip watching: Steve della Casa, Mario Calabresi, Gianni Amelio in meno di cinque minuti.

5) gli stranieri: fan sempre piacere.

6) gli orari: i film programmati, non so, alle 19.15 o alle 17.45, ti danno un senso di paese delle meraviglie dove tutto può succedere.

7) il sottile confine tra la magia e il vuoto. Mah, questa volta per me va così.

8) il rituale. I punti di riferimento, le sicurezze, l'appartenenza e il sogno.




2 commenti:

Anonimo ha detto...

ciao come va? qui nevica della grossa.
è da una vita che non mi faccio viva, oggi per fortuna ho un pò di tempo e così sto cercando di rifarmi.
ti auguro buon fine settimana. a presto

noemi ha detto...

Ciao @Vania! bene bene (ti ho aggiornata sul tuo blog a proposito della corsa hehe)! Qui ha smesso di nevicare, sembra spuntare addirittura un po' di sole pre-natalizio! Buon week end a te!