Miriam Toews, Vito Ferro, Filippo Sottile i primi tre autori del BookRing del #DoraToFest. |
La Cartiera in Via Fossano 8 a Torino. |
Angoli da fotografare. |
La bibliotechina. |
Dentro la Cartiera. |
I banchetti di libri. |
Un libro che mi è venuto in mente durante la presentazione multipla. |
La prima cosa ad avermi colpita ieri, alla serata inaugurale del #DoraToFest (vedi post precedente), è stata la Cartiera. Perché se è vero che le parole sono importanti, lo sono altrettanto i luoghi in cui queste vengono pronunciate, o taciute.
Via Fossano, 8 si trova in un quartiere difficile della città. Per farvi capire e riassumere all'osso, quando chiedi le indicazioni da quelle parti, può capitarti che ti rispondano: "la via che cerca sarebbe di là, ma non le conviene passarci" e magari sono solo le sette di sera. Un quartiere però al centro, come molti altri della città di Torino, di un'importante operazione (cominciata da tempo) di riqualificazione delle aree industriali.
Ho una vera passione per i non-luoghi e per tutto ciò che ne consegue. Ad esempio mi incuriosisce l'idea di un non-luogo (una ex fabbrica abbandonata, quindi non più connotata e disabitata) che si trasforma in luogo, con un nome, un'identità, un'utilità, una bellezza.
In un'epoca contraddistinta da solitudine, isolamento "nella rete", migliaia di amicizie tutte virtuali, in cui sbucano come funghi battute o vignette sul poverino che aveva centomila amici su facebook e al suo funerale non c'è nessuno etc. etc. invece noto che questo tipo di realtà, polivalenti, dove c'è una palestra colorata, un bar con ottime pizzette, una bibliotechina, un'arena per spettacoli e danze, molte sedie, laboratori per bambini, calcetti e chissà che altro che non ho ancora visto, sono più vive che mai.
Per dire, mentre ieri cominciavamo la presentazione dei libri che vedete lassù nella foto, era in corso una fantastica partita di basket e quindi gli applausi per gli autori si confondevano con le esultanze dei giocatori e dei tifosi in palestra. Mi sono sentita coinvolta in qualcosa di più grande di me, che dava un senso anche alla scrittura di romanzi, alla coraggiosa scelta di avere una piccola casa editrice nel 2012, al mettersi lì, sulle sedie del Comune di Torino, a parlarne, a spargere parole nell'aria, sperando che qualcuno le ascolti, per passare il tempo, per stare bene insieme. Quindi, pensavo, se c'è qualche adolescente che legge questo blog, quando ti dicono "lascia perdere" che non ha senso fare le cose, ecco, quello è proprio il momento migliore per iniziare a darsi da fare.
Da ragazzina mi intrufolavo in moltissime presentazioni di libri. Volevo vedere le facce degli scrittori, sperando di ricavarne un insegnamento, di carpire un qualche mistero. Poi al momento delle "domande del pubblico" mi prendeva il panico, mi guardavo le scarpe, mi batteva il cuore.
Adesso la vita (la nemesi!!) mi ha portata a queste serate-nostop di interviste a scrittori, che sono forse più alla fine delle chiacchierate sui libri, sulla scrittura ma anche sul senso della vita. Non ci posso ancora credere. Faccio le stesse cose di un tempo: mi prende il panico, mi guardo le scarpe, mi si accelera il cuore. Però vado. Rischio di fare scena muta, mi dimentico tutto quello che avevo pensato di chiedere ma mi lascio trasportare da quello che questi scrittori hanno da dire. In attesa sempre di un segreto, di una rivelazione. Che, naturalmente, non avrò mai. Perché, come diceva qualcuno, il bello del viaggio poi è il viaggio stesso più che la destinazione.
Detto ciò, tra le mille cose che ci hanno raccontato gli autori di ieri, un argomento in particolare mi ha colpita. Le periferie. Reali o dell'anima. Un tema su cui da qualche anno il mondo della cultura e delle arti si interroga con insistenza. Le periferie e le vite che vi abitano, la possibilità di una salvezza dal confine, dal degrado. Mi è tornato in mente, tra l'altro, quel piccolo libro che vedete nell'ultima foto, Periferie, a cura di Stefania Scateni (Laterza), che era uscito nel 2006 - poco prima stavano iniziando a bruciare le banlieues francesi che "si ribellavano alla loro stessa invisibilità". Bruciavano per farsi sentire, per manifestare un disagio, una rabbia.
Ieri sera quindi abbiamo parlato anche della periferia, del viverci, del raccontarla, del sentirla nel sangue. A me appassiona, anche perché ci sono cresciuta, per i primi ventanni della mia vita, in periferia: e quegli spazi aperti, bianchi, da cui vedevo le montagne, i giardini, la Fiat, sono il mio panorama mentale, quegli spazi da rifare, che oggi assomigliano a città di lego, che mi spezzano il cuore, spazi da ridipingere, pagine bianche su cui riscrivere una storia nuova della città, creare rituali, o almeno provarci, dove infatti adesso stanno nascendo tante idee nuove. Negli angoli dove negli anni Ottanta pullulavano mucchietti di siringhe, io oggi vedo altro, le nuove generazioni vedranno progetti, colori, musica e iniziative diverse. I tempi sono davvero cambiati.
Poi la discussione è passata allo specifico dei singoli romanzi e a tante altre cose. E insomma mi pare che sia andata bene. E oggi si ricomincia! Voce del verbo: cascare dal sonno, ma non importa, i libri ci terranno svegli.
E poi stasera c'è Freak Antoni!! (Insieme a Guido Catalano).
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