Per me Dacia Maraini (come penso per tutti i suoi lettori) è molto importante. Ho avuto modo di leggere la sua ultima raccolta di racconti e poterne scrivere qui. Ed è stata un'esperienza forte, soprattutto per il tema conduttore, che è la violenza sulle donne, di qualsiasi tipo, e non si può restarne indifferenti. Alcune di quelle storie mi tormentano ancora adesso ed è un bene.
Quanto a questioni più minute e personali, ogni volta che sento nominare questa scrittrice ho un sussulto. Mi è capitato infatti qualche anno fa, per una grande fortuna, di veder pubblicato un mio racconto sulla rivista Nuovi Argomenti. Il direttore responsabile di questa importante rivista è proprio Dacia Maraini. E il pensiero che quel mio piccolo racconto avesse ricevuto l'approvazione di una scrittrice di quella statura è rimasto tra i più felici della mia vita.
Quindi oggi mi ritorna alla mente quella stessa emozione, e sono nuovamente contenta (e onorata) di ospitare su Tazzina-di-caffè un'anteprima di un suo racconto. Il racconto si intitola Una suora siciliana, e potete cominciare a leggerlo proprio qui sotto.
L'occasione è di quelle interessanti, perché questo racconto fa parte di una nuovissima collana di Mondadori, che vede la luce proprio oggi. Si tratta di XS - Extra d'autore, una collana di testi brevi di grandi autori esclusivamente in ebook. A me piace questo tipo di lavoro che stanno svolgendo i principali editori italiani con il livre numérique come si dice in francese per indicare l'ebook hehe, e con la forma narrativa breve, di cui sono fruitrice da sempre.
Mi piace e mi incuriosisce. Dunque, spero possiate gustarvi questa anteprima e poi approfondire, per qualsiasi informazione, anche qui.
Buona lettura! c\_/
Una suora siciliana
di Dacia Maraini
Ore 10. Comune di C.
Un liceo. In un piccolo paese fra le montagne siciliane.
Tanti studenti. Che chiedono alla scrittrice impegnata di impegnarsi di più. Ma
come? Un ragazzo dai capelli ricci color carota la guarda con severità. «Voi
scrittori avete una voce che viene ascoltata ma non la usate come dovreste.»
Giorgia osserva il ragazzo dai ricci rossi e vede con
apprensione che dalle sue spalle gracili spuntano due lunghe ali bianche che si
alzano minacciose verso l’alto.
«Noi lavoriamo coi tempi lunghi» risponde timidamente.
Ora accanto all’angelo sbuca, non si sa da dove, una
ragazzina dalla pancia scoperta. Ha un anello d’argento che occhieggia
sull’ombelico nudo e la fissa con sorridente ardimento. «Avete un’arma e non la
sapete usare», dice con voce indignata «ci lasciate marcire in questa Sicilia
corrotta e violenta, senza una parola.»
Ore 12
Una studentessa dai calzettoni rossi l’accompagna a
visitare il convento arrampicato sulle rocce di C.
«Qui la monaca Filomena si fermava a pregare davanti alla
Madonna dell’angelo.» Ancora un angelo? Avrà la testa dai ricci color carota?
Si chiede Giorgia seguendo la studentessa dai calzettoni rossi su per una scala
ripida e scoscesa.
«Queste sono le celle» spiega lei aprendo una porta di legno
tutta incisa e intagliata. Dentro la stanzuccia bianca di calce si vedono: un
cantaro, un lettuccio, una catinella di metallo scrostato, una brocca bianca,
una croce appesa sopra la lettiera e un minuscolo inginocchiatoio di legno
grezzo. Accanto alla porta, sul pavimento giace una cassapanca su cui spiccano
dipinti elegantemente mazzetti di fiori gialli e lilla e due pappagalli dal
becco ricurvo e le ali rosse e verdi.
«E questa cassapanca?»
«Ogni monaca aveva la sua. Ci tenevano il corredo. La stessa
cassapanca, quando morivano, serviva da bara.»
«Da bara?»
«Questa cassapanca è stata dissepolta durante i lavori del
convento. Il corpo della suora è stato messo in una teca. Dicono che fosse
integro. È in lista per la beatificazione.»
La studentessa dai calzettoni rossi ora la precede lungo
corridoi labirintici che portano verso un cortile esagonale. Colonnine ritorte
di marmo bianco reggono le volte di un loggiato ombroso. In mezzo al cortile un
giardinetto striminzito in cui crescono disordinati polloni di rose e ciuffi di
lavanda. Al centro un pozzo di pietre grigie, sormontato da un arco di ferro
battuto.
Ore 13. Hotel Belvedere
Giorgia rientra in albergo. Si siede sul letto e
continua a pensare a quella cassapanca dipinta a colori vivaci. Prima ci
tenevano le lenzuola, gli asciugamani, la biancheria e poi ci adagiavano il
corpo della monaca morta. Ma da quando in qua le bare si dipingono con fiori e
pappagalli?
Cerca di immaginare la giovanissima suor Filomena giunta da
qualche mese al convento di C. con la sua cassapanca piena di stoffe. Porta un
velo nero appuntato sul capo. La gola è coperta dal camauro candido che le
scende sul petto come un grembiulino sempre pulito e stirato. Ogni due giorni
il camauro va lavato e messo a stendere. Ogni due giorni va inamidato e
stirato. Come vanno lavate e stirate le camicie di cotone grezzo che le giovani
suore indossano a pelle. Le piccole e fattive mani di Filomena sono sempre in
moto come vuole l’ordine del convento: una donna con le mani in mano si fa
preda del demonio, perciò bisogna tenerle attive: la mattina alle cinque c’è da
mungere le pecore e poi scaldare il latte nei grandi pentoloni di rame. Subito
dopo c’è da lavare le lenzuola e stenderle in giardino. Più tardi bisogna badare
all’orto: pulire, sarchiare, togliere le foglie morte, innaffiare i pomodori e
le verze. Quindi di corsa in cucina per setacciare la farina, tagliare le
verdure, friggere le uova, fare lievitare il pane, sgusciare i fagioli. Nei
momenti di pausa le dita dovranno cercare il rosario appeso al fianco e fare
scorrere i grani mormorando una preghiera. Poi ci sarà da applicarsi sul
ricamo, e verso sera, sui libri sacri e poi ancora attorno ai piatti sporchi
dopo la cena, e la notte, quando gli occhi saranno gonfi per il sonno e la
stanchezza, le piccole mani robuste dovranno reggere il pesante libro delle
preghiere, mentre le ginocchia si punteranno sul legno ruvido
dell’inginocchiatoio per l’ultimo saluto al Signore prima di coricarsi. Suor
Filomena conosce il suo dovere. Da quando è stata destinata al convento che
aveva appena otto anni, ha rinunciato agli specchi, ai vestiti, ai sogni
d’amore. La sua immaginazione infantile non riesce neanche a concepire la
qualità del sacrificio che sta affrontando. La vita indaffarata e la compagnia
continua di altre ragazzine come lei la distraggono dal pensiero della
segregazione. Le sue mani giudiziose intrecciano fili di seta, la sua gola,
quasi in silenzio, rimugina una canzone che usava cantare assieme alle sorelle
da bambina quando giocavano a scovare ranocchie nello stagno dietro casa.
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