lunedì 3 dicembre 2012

Anna Maria Ortese - L'Infanta sepolta.


Anna Maria Ortese, L'Infanta sepolta, Adelphi.



Ci sono molte ragioni per cui ho trascorso ieri parte della mia domenica con questa antologia di novelle. Una delle quali, la principale, c'entra con una splendida persona, in particolare nella sua veste di editor, ma spero, sono certa che vi racconterò tutto ciò con calma tra qualche mese.

Ho letto Anna Maria Ortese un po' ai tempi dell'Università. Non proprio all'Università, poiché non rientrava in quei miei anni in nessuno dei programmi di esame che mi erano capitati. Quindi la leggevo da sola (vi rimando a due brevi accenni che ne ho fatto sul blog, qui e qui, in passato), ma proteggendomi molto, nell'ambivalente e ingenua bramosia (per la sua scrittura) e panico (per la sua biografia) insieme del poterle, non so perché, in qualche strano modo, un giorno assomigliare. 

E lasciando soprattutto da parte Poveri e semplici che - ho deciso - affronterò un giorno soltanto se e quando il mio cuore sarà così forte da chiedermi lui, da samurai, di farsi disintegrare in mille pezzi, e per sempre. 

Ieri invece ho letto, in alcuni casi riletto (Oddio, ma quanti anni ho? Sto rileggendo Anna Maria Ortese!), alcune di queste novelle incluse in L'Infanta sepolta.

Una frivola premessa. Se lavorassi all'Adelphi (sarei una persona estremamente, proprio estremamente felice) ma soprattutto farei qualsiasi cosa, qualsiasi, anche spostare una montagna, se è il caso, per cambiare questo titolo. Non ne conosco le origini (se non che corrisponde a uno dei racconti, molto bello) e non so nulla di come si possa cambiare il titolo di un simile libro all'interno di una casa editrice. 

A occhio, direi che ciò rientra nella categoria del proibito. 

Ma, come leggerete più tardi, è proprio da questo libro che ho appreso che nulla è davvero impossibile nella vita. 

Comunque cambierei il titolo in: La Dea. Lo so, lo so: è un po' sparato, un po' telefonato, forse stucchevole. Ma lasciatemi fare, giocare, che siamo su un "bookblog". 

E poi corrisponde. Corrisponde alla scrittura, alla natura dolente, sublime, e quindi divina della Ortese. E allude al mio racconto forse preferito: 

Vita di Dea. 

Vita di Dea. Va letto, credo, in momenti molto circostanziati. Come riti di passaggio, spaventi, stati di grazia oppure di necessità e forte indigenza. Mai leggerlo nella quiete di una qualche normalità. Perché è come un miracolo, cui credi solo se sei molto triste o troppo felice, una divinazione, un'esperienza anche sensoriale che una mente normale non coglie affatto. Dunque, non vi auguro certo spaventi o stati di disgrazia; ma leggetelo, non so, ad esempio, mentre vi state innamorando. O se siete in viaggio in Finlandia, da soli, sopra un liscio ghiacciaio. 

Dovreste avere, in una parola, il cervello spalancato alle più inverosimili eventualità, e ai più straordinari paesaggi che il mondo vi può offrire.

Perché è così degno di lettura?

La storia è semplice. C'è questa ragazzina di nome Dea (nessuna paura della Ortese nella scelta dei nomi) che è la perfezione. 

"Dalla punta dei piedi leggeri fino alla fronte ampia e serena come il cielo, dagli occhi color nocciuola, di una dolcezza a nulla paragonabile (solo i raggianti angeli possono guardare come ella guardava, con una tale profonda infinita gioia), al purissimo ovale del volto, sottile nella cornice degli sparsi capelli biondi, ella emanava una grazia tale, un così meraviglioso potere, che tutti, parenti, amici, servi e chiunque la conosceva, ne rimanevano presi e incantati per sempre, e la fama della sua angelica beltà e gentilezza già varcava le mura rosse della nativa città". 

Dea. Capite bene cosa può succedere con una premessa del genere? Di tutto. Ma in realtà succede che Dea non è felice, soffre molto, per una serie di ragioni, tra le quali il fatto che presto o tardi si reincarnerà in una rana. 

Che detta così è una assurdità, mentre quando incrocerete lo sguardo di quella maledetta rana ne sarete completamente sopraffatti. 

Ecco perché leggerlo. Perché è superiore. Ed è divino. Riguarda gli angeli, l'anima, la felicità e la sofferenza, l'amicizia. E le rane. 

Il modo di scrivere anche è superiore, la scelta delle parole è somma, definitiva, magnifica, commovente, inarrivabile. Non si può sottolinearlo tutto, quindi non si sottolinea niente. Sta lì, a brillare vicino alle nuvole, come una vera visione celeste. 

E, infine, c'è la frase delle frasi:

"Questa Vita è talmente indipendente dal nostro pensiero limitato, che tutto, dico tutto, ogni più nobile cosa può accadere: e lo sa chi, capace di ricordare e osservare, prova continuamente davanti a essa un sentimento di rispetto e di terrore".



2 commenti:

Anonimo ha detto...

stupendo...

noemi ha detto...

Vero!!