domenica 22 maggio 2016

Rinascere internamente, due storie torinesi.



Mi è successa una cosa strana: nell'arco di pochi giorni, tra ieri e oggi, ho ascoltato raccontare due storie che si assomigliano, una relativa all'arte, l'altra alla natura, e mi pare portino un messaggio simile, che voglio condividere con voi lettori di questo blog e bevitori di cafffè. 

Ieri sera sono stata alla Cavallerizza Reale e ho visto la mostra Here. Ahimé è possibile visitarla fino a oggi, chi può ed è ancora in tempo potrà forse vederne un pezzetto. 

Tra le altre molteplici attività di ieri, io ho partecipato a una conferenza del restauratore e architetto Antonio Rava, un luminare in materia, che ha spiegato molte cose sia sul suo lavoro decennale, sia sulla Cavallerizza stessa. 

La Cavallerizza Reale, come forse molti torinesi (e non) sapranno, sta vivendo da alcuni anni un periodo di trasformazioni; attualmente è occupata da un gruppo di persone che la tiene viva con diverse iniziative legate all'arte e alla cultura (anche io ho fatto la mia piccola parte donando alcuni libri che, chi vuole, può cercare e leggere alla biblioteca). 

Questo non è lo spazio (ma soprattutto il tempo) per sviscerare il complicato tema della Cavallerizza, ma volevo soffermarmi su quanto ho visto è appreso relativamente alla mostra Here.

Si tratta di una mostra che ha letteralmente occupato parecchie stanze (e sono tante) dell'edificio di Via Verdi, ospitando oltre 200 artisti. Ogni singolo artista però ha fatto qualcosa di più: prima che cominciasse la mostra, infatti, la Cavallerizza era ancora in gran parte in stato di trascuratezza e degrado. Quindi ciascuno di loro ha scelto una stanza in cui avrebbe esposto le proprie opere, e poi si è dato da fare per pulirla e renderla adatta a un'esposizione. Accanto alle stanze ci sono le foto di come erano prima, a testimonianza del lavoro svolto. L'effetto è impressionante. Al di là della qualità delle opere, sempre alta e che ha attirato migliaia di persone, colpisce dunque anche il valore simbolico (e molto concreto insieme) dell'operazione. 

Analogamente, sentivo questo pomeriggio a una conferenza a Flor (esposizione di fiori e piante con incontri e conferenze a tema che coinvolge una bellissima via del centro torinese - Via Carlo Alberto), durante la bella presentazione di una guida di parchi e giardini a cura dell'Aiapp, che una speciale tecnica di bonifica di un terreno inquinato prevede l'utilizzo di mircoorganismi che internamente "curano" e guariscono il terreno stesso. Spero perdonerete la mancanza di termini tecnici, ma non è il mio ambito e non saprei spiegarvelo meglio. 

Ho però tratto una conclusione: c'è un modo di occuparsi degli spazi, del mondo in definitiva, che consiste nella cura di cui sono capaci alcuni esseri che possono contemporaneamente vivere dentro questi spazi "malati" e rivitalizzarli senza nuocere, anzi migliorandoli al punto da trasformarli in posti belli e sani. 

Mi è parso un messaggio interessante: forse anche allora dentro di noi esistono delle risorse che possono rendere più bella la vita. Mi piace pensare a una metafora: allora anche i libri che leggiamo sono come gli artisti della Cavallerizza o i microorganismi "dottori" della terra... ci forniscono le risorse per cambiare in meglio.

1 commento:

Dreamer ha detto...

Abitare e persino essere il proprio spazio, esprimere e vivere la propria identità. Delimitare, amare, condividere, respirare il proprio spazio è forse anche questa una vera forma d'arte.