giovedì 27 maggio 2010

La bambina.

Una settimana fa vi raccontavo in questo post ciò che mi stava succedendo. Avevo un contratto di lavoro in scadenza e in mente la decisione di reagire a questa cosa. Così mi ero preparata un caffè ed ero uscita per vedere una mostra. La più importante della mia vita. Oggi posso dire che probabilmente il contratto verrà rinnovato - anche se non è ancora definito nulla con precisione. Ma c'è una buona approssimazione. E ne sono felice. Così adesso vi parlo della mostra.

Sono andata qui. Da turista nella mia città. Per poi scoprire che in quella Via Giulio c'ero stata migliaia di volte. In questa piccola e raffinata galleria - Ermanno Tedeschi -
bianca come un confetto ho trovato qualcosa di davvero molto importante per me. Non esagero se vi dico che ho trovato, disegnata ovunque, la mia essenza, per citare Battiato. Ho trovato quella che molti chiamano anima. Se dovessi infatti spiegare con un'immagine chi io sono e cosa sono e come sto e cosa sento o almeno cosa ero fino a poco fa direi proprio: quella bambina. Quella bambina declinata in tutte le bambine della mostra. Che si intitola I wish I was special. Da un verso di Creep dei Radiohead. Quel titolo, quella canzone, quella bambina. Ero così spaesata giovedì. Sì è vero, piena di ottimi intenti. Di essere forte, di essere una leonessa, di affrontare aggressivamente la vita, la scadenza del contratto e mille altre cose. Ma dalla sedia della cucina in realtà si è alzata quella bambina, e in Via Giulio a suonare il campanello della galleria c'era quella bambina. E ancora non ne ero completamente consapevole. Io questa bambina l'ho cercata dappertuttto per tutta la vita. L'ho vista nello specchio per troppo poco tempo. Ho di lei poche fotografie: una in cui è lontanissima e sola sui gradini di una chiesa. Che coincidenza, l'artista che ha dipinto la bambina, che ha ritratto me senza saperlo, lavora in una chiesa sconsacrata. Come se...

Sì, come se anni dopo davanti a quella stessa chiesa lui avesse raccolto quella bambina e non sapendo di chi fosse, poiché io non la trovavo più, se la fosse portata dentro e l'avesse lanciata sulla tela. Ad aspettare me e tutti quelli come me. Ed eccomi lì, ventisei anni dopo, trentenne, che la rivedo. Che ti rivedo piccola noemi di quattro anni. Il fatto è che sono cresciuta poi molto in fretta. Dentro e fuori. Nelle foto successive non mi riconosco più. E l'altro fatto è che prima di rivederla disegnata, prima di questo strano periodo, mi mancava. Era dentro di me ma non la vedevo con chiarezza. Quindi sono rimasta ferma lì. Com'era lei. E guarda che sorpresa: la settimana scorsa l'ho rivista. Adesso che so dov'è, che è al sicuro, posso anche andare avanti. Crescere una volta per tutte come si deve.


E di questa mostra voglio aggiungere l'atmosfera che ho respirato da subito in galleria. Le persone che mi hanno accolta con un sorriso dolce, mi hanno dato le informazioni che ho chiesto, mi hanno stretto la mano. Quello che si sa e che si dice su certi ambienti in quella galleria è completamente smentito. Ho visto giovedì il volto gentile e appassionato dell'arte e dei suoi custodi. Così sono uscita da lì allegra. Io e la bambina ancora negli occhi. Ancora per mano a fare un'ultima passeggiata insieme, come fosse il 1984.

Se potete, O voi torinesi, andate a vedere questa mostra. Fermatevi di fronte a quelle bambine. Mantenete da loro la giusta distanza. Portatevi a casa il loro sguardo.

E qui c'è il sito dell'artista, Valerio Berruti, con tutte le info su di lui.

:)

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