Vandana Shiva, Le guerre dell’acqua, Feltrinelli |
«Questo libro è dedicato alla
popolazione di Tehri e della valle di Bhagirathi, le cui case stanno
per essere sommerse dalla diga di Tehri, che annullerà così anche
la penitenza di Bhagirath».
Questa è la dedica in apertura di Le
guerra dell’acqua, di Vandana Shiva, attivista e ambientalista
indiana. L’edizione è Feltrinelli, ed è un piccolo libro che fa
grande chiarezza sul tema dell’insufficienza idrica in numerosi
paesi del mondo. E sul fatto che le nuove guerre saranno sempre più
spesso combattute per il possesso dell’oro liquido, che oggi –
insieme al petrolio – è proprio l’acqua.
L’idea alla base del libro è
semplice, e riprende il messaggio di Gandhi: «La terra ha abbastanza
per le necessità di tutti, ma non per l’avidità di pochi». Parte
dalla sua terra, dall’India, l’analisi di Vandana Shiva (anche
lei indiana), per spiegare come la crisi dell’acqua sia «la
dimensione più grave e meno visibile della devastazione ecologica
della terra» – il libro è del 2002, negli ultimi dieci anni la
situazione è anche peggiorata.
L’acqua è da sempre un bene
prezioso. Ma nell’ultimo secolo lo è diventato ancora di più. I
potenti, progressivamente, se ne ne sono appropriati, per poi in
molti casi “mascherare” le guerre dell’acqua, facendole
apparire come guerre etniche o religiose. Guerre paradigmatiche –che
vedono contrapposte una cultura dell’acqua come bene di tutti a una
cultura mercificata dell’acqua in bottiglia – e guerre vere e
proprie, combattute a tutti i livelli.
L’acqua è sempre più diventata una
merce, e così viene quotidianamente gestita (l’avete visto il
video sulla storia dell’acqua in bottiglia? Rimediate
subito).
Il libro di Vandana Shiva ha il merito
di metterci di fronte al dilemma legato alla sua gestione: l’acqua
deve essere privatizzata o è soltanto un bene pubblico? Quanto ne
spetta all’uomo liberamente, e quanta alle aziende?
Progressivamente, le necessità delle
popolazioni sono aumentate, ma i loro diritti all’accesso all’acqua
diminuite. Eppure, il diritto all’acqua dovrebbe essere concesso a
tutti i popoli, perché acqua è sinonimo di vita.
Eppure... eppure
sempre più persone hanno problemi di accesso all’acqua, cosa che
per noi occidentali è impensabile. E sempre di più l’intervento
dell’uomo ha compromesso falde acquifere, pensiamo soltanto a
quello che accade anche in molte zone del nostro paese. In ogni caso
mentre in occidente e in generale nei paesi industrializzati si abbia
spesso abbondanza di risorse idriche, e anzi si parli molto spesso di
sprechi legati all’acqua, nella maggior parte dei paesi in via di
sviluppo per quello che riguarda le infrastrutture idriche siamo
ancora a livelli molto sotto la sufficienza.
Ad esempio in
molti
Paesi in via di sviluppo l’accesso all’acqua potabile è
decisamente insufficiente – a causa della struttura morfologica e
geografica del territorio, dell’alta densità della popolazione.
Stiamo parlando di stati come Israele, Cina, Bolivia, Messico, Ghana,
e ovviamente l’India, lo stato di Vandana Shiva.
La
lettura di questo libro permette di aprire meglio gli occhi, e di
avere uno sguardo d’insieme su un problema spesso celato, sul quale
non abbiamo modo – o tempo – di interrogarci. E pone al centro
della riflessione un concetto molto importante: la mano dell’uomo –
con i suoi interessi economici e politici – spesso rovina o
compromette quello che la natura ha creato. Dobbiamo impegnarci
sempre di più, e dobbiamo farlo tutti, per limitarne i danni, e
resistere.
Grazie Antonio per questo post, spero possa incuriosire e aprire nuove prospettive ai lettori che passano da queste parti.
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